Ombre nere sulla Germania
Il paese si affaccia sul vuoto politico del dopo-Merkel, coi Verdi dati primo partito nei sondaggi. Ma l’estrema destra cresce nelle urne, mentre settori delle forze dell’ordine e neonazisti danno vita a una strategia della tensione molecolare
A una settimana dalle elezioni europee in Assia, a Kassel, la polizia ha trovato il corpo senza vita di Walter Luebcke, presidente distrettuale. L’uomo è stato ucciso in casa sua con un colpo di pistola alla testa. Il politico cristiano-democratico era uno dei personaggi più riconosciuti a livello federale per le sue posizioni di apertura verso i migranti e di antirazzismo cristiano. Posizioni che già dal 2015 lo avevano costretto a vivere sotto scorta per le minacce subìte da parte di estremisti di destra: uno dei quali sarebbe sospettato per l’omicidio. La società tedesca dopo il terremoto elettorale si ritrova sotto shock e solo qualche giorno fa in Meclemburgo Pomerania dieci agenti delle Schutzeinsatzkommando, unità speciali di polizia, sono stati arrestati per connivenze con l’estrema destra, trovati in possesso di liste di possibili nemici politici.
L’assassinio di Luebcke è il più recente e drammatico di una serie di fatti che già da tempo accadono in Germania. In questo contesto, il mondo della politica si prepara, fortemente indebolito, a un passaggio di fase epocale.
Fine di un ciclo
Angela Merkel ha annunciato che al termine di questo mandato si ritirerà dalla vita politica. Con la sua ormai proverbiale resilienza, la cancelliera, figura anomala nel conservatorismo tedesco, ha surclassato tutti i suoi avversari politici interni alla Cdu. Così facendo però ha precluso ogni possibilità di rinnovamento. A guardare l’orizzonte post 2020 non si può nascondere angoscia e più di qualche dubbio. Durante i suoi quindici anni di leadership, Merkel ha sempre normalizzato il conflitto ed evitato di sciogliere i nodi più contraddittori che le si presentavano. Questa scelta ha pagato nell’immediato, ma adesso rischia di precipitare in un’eredità insostenibile per una ceto politico evidentemente non all’altezza della sfida. Il terrore per il caos e l’ignoto del dopo Merkel sta producendo nella macchina kafkiana di poteri federali, agenzie di sottogoverno, organizzazioni parastatali e gruppi di interesse preoccupanti scricchiolii. Il governo federale vive di una schizofrenia asfittica in cui si moltiplicano proposte legislative, protagonismi locali, vuoti di potere, torsioni autoritarie e questioni sociali. In questa sorta di Repubblica di Weimar a bassa intensità si affaccia il rinnovato protagonismo dell’estrema destra, per decenni marginalizzata. Inceppatasi temporaneamente la macchina del consenso di Alternative fuer Deutschland, almeno a Ovest, alcuni settori ordoliberali stanno assumendo uno strano atteggiamento di sottovalutazione verso gravi connivenze tra apparati di sicurezza dello stato e gruppi neonazisti. Su questi avvenimenti, l’ultimo governo Merkel sta decidendo di non decidere. Un errore grave, che potrebbe rivelarsi anche un azzardo fatale.
Per comprendere al meglio è bene mettere in fila fatti di cronaca, rapporti, scandali, almeno i principali, che riguardano gli apparati statali e l’area dell’estremismo di destra, dal partito xenofobo Alternative fuer Deutschland fino ai gruppi clandestini e terroristi neonazisti, eredi della famigerata organizzazione Nsu. In questo quadro si inserisce il drammatico omicidio di inizio giugno del politico cristiano e antirazzista Walter Luebcke.
Eins, Zwei, Polizei…
Intorno alla fine del 2017, l’ex presentatore dell’emittente Zdf Peter Hahne dichiarò in un talk show in prima serata: «Tutti i poliziotti di Berlino votano Alternative Fuer Deutschland». Pochi giorni dopo l’uscita televisiva di Hahne, in Turingia, qualcuno notò che, alle elezioni regionali, 5 candidati su 38 di Afd erano ex ufficiali di polizia. Il capolista Hoecke più volte in campagna elettorale aveva confessato pubblicamente di sognare una «frangia frustrata proveniente dagli apparati di sicurezza dello stato pronta ad ammutinarsi contro i superiori». Da tre anni ormai, sempre più spesso si riportano episodi di racial profiling, di indagini motivate da pregiudizio razziale, religioso o antisemita, condotte arbitrariamente violente contro militanti di sinistra e non solo, insabbiamenti e mancanza di misure disciplinari contro diversi poliziotti legati ad ambienti neonazisti. Recentemente persino il docente dell’Accademia di Polizia di Amburgo, Rafael Behr, in un’intervista allo Spiegel, ha dovuto ammettere che le reclute in polizia di anno in anno hanno sempre più spesso visioni del mondo razziste e autoritarie. I problemi di razzismo delle polizie dei Laend erano già emersi negli anni precedenti, spesso ignorati come fatti di cronaca episodici e marginali. Basti evocare le connivenze tra servizi segreti, polizie dei Land orientali e gli omicidi della «banda del Kebab», meglio nota, appunto, come Nsu (Nationalsozialistische Untergruend, cioè Clandestinità Nazionalsocialista). Oppure la morte, ancora senza giustizia, di un rifugiato, Oury Jalloh, trovato legato e carbonizzato in una cella della stazione di polizia a Dessau.
La Nationalsozialistischer Untergrund, grazie alla complicità di apparati statali deviati, ha seminato per anni morti e feriti su tutto il territorio federale, ultimo dei quali proprio a Kessel la città di Luebcke. Esattamente in Assia, la ricca regione di Francoforte sul Meno, pochi mesi fa l’avvocata di alcune delle vittime dell’Nsu, Seda Basay Yildiz e sua figlia hanno iniziato a ricevere minacce di morte firmate così: «Saluti, Nsu 2.0». Quando la vicenda si è fatta insostenibile sono partite le denunce e le indagini hanno portato alla scoperta di una cellula di estremisti, formata da almeno cinque poliziotti che avevano attinto a informazioni giudiziarie per arrivare all’attivista e legale e alla sua famiglia. Sempre nella stessa regione, e ancora nel 2018, a Kirtorf, un’altra indagine interna alla polizia ha scoperto a casa di altri 5 agenti una collezione di stemmi nazisti, vietati per legge in Germania, insieme a un arsenale di armi non dichiarate oltre che un archivio con diversi documenti che collegavano i poliziotti a un famigerato e numeroso gruppo armato di estrema destra: i Reichsbuerger, cioè i Cittadini del Reich. Questo movimento clandestino spesso implicato nel commercio di armi è stato accostato ad alcuni esponenti di Alternative fuer Deutschland. Secondo le ultime notizie, conta quasi 19.000 membri. Attualmente, in Assia, ci sono almeno 17 agenti di polizia indagati per estremismo di destra e sospesi dal servizio (altri 14 sono tornati però impunemente a lavoro).
In un altro ricco Laend occidentale, la Baviera, feudo elettorale della Csu del Ministro degli interni Seehofer, hanno fatto notizia i video che riprendevano diversi agenti fare saluti nazisti. Anche in questo caso le indagini sono partite dopo la morte sospetta di un giovane rifugiato somalo, nel febbraio 2018, quando questi era in custodia in una caserma di polizia. La vicenda ha subito attirato l’attenzione dei media sulla polizia bavarese e, ancora una volta, ha dischiuso un vaso di Pandora. Si è scoperta una cellula di circa 40 tra ufficiali e agenti delle squadre speciali di intervento bavaresi (l’Usk, Unterstuetzkommando) responsabili della pianificazione e dell’esecuzione di attacchi razzisti o antisemiti, di violenze contro i colleghi che volevano denunciare e contatti con una galassia eversiva di gruppi neonazisti. L’Usk bavarese anni prima era finita al centro di inchieste giornalistiche su torture contro i migranti e abusi, minacce e violenze private contro esponenti di sinistra. Mentre la polizia bavarese inneggiava al Terzo Reich, si sono registrate ripetutamente, sempre nel 2018, a Rosenheim o ad Augusta o a Ulm e in altre località minori della Baviera aggressioni a migranti. Solo in rarissimi casi gli agenti sono stati sospesi dai loro incarichi, malgrado i reati che venivano loro contestati. Il fatto che le Commissioni disciplinari dei diversi Laend e l’anomalia di alcune leggi di polizia di alcuni Laend garantiscano questa impunità è oggetto di dibattito.
La sacra alleanza
I casi in Assia e Baviera hanno fatto parlare delle solite mele marce. Ma in Sassonia le connessioni tra servizi segreti, polizie ed estrema destra appaiono sistemiche e rendono la dimensione del fenomeno. L’ex Laend della Germania Est, dove alle ultime europee AfD ha stravinto con oltre il 30 per cento dei consensi, l’anno scorso è stato teatro, a Chemnitz, di violenti pogrom xenofobi oltre che di marce notturne e armate di migliaia di esponenti dell’estrema destra. La regione di Dresda e Lipsia è stata la base proprio dell’Nsu che lì trovava anche appoggi e una solida rete di copertura. Nell’ultimo anno, sono trapelate intercettazioni preoccupanti, risalenti già al 2015, che documentano il solido legame tra Alexander Kurth, pluri condannato neonazista e militante dell’Npd, i Legida (la versione di Lipsia dei noti comitati di cittadini xenofobi Pegida nati a Dresda) e alcuni agenti di polizia della città sassone. Oltre la condivisione di informazioni sensibili sui militanti antifascisti e una sfacciata complicità, colpisce l’uso di un vocabolario che rimanda al codice comunicativo di Matteo Salvini in Italia. Si parla di zecche rosse, di buonismo, sostituzione etnica e invasione. Tra gli agenti intercettati figura anche il responsabile della formazione delle reclute sassoni che già nel 2018 era stato denunciato da un giovane collega che aveva diffuso gli screen shot dei messaggi che venivano inviati alle reclute. I messaggi erano tutti a sfondo razzista, nazionalista e antisemita con richiami diretti al Terzo Reich. A Dresda, durante la visita della cancelliera Merkel, un altro agente monitorato da tempo ha diffuso informazioni riservate sulla visita di stato ai manifestanti di Pegida e della scena neonazista che volevano colpire la cancelliera. Lo stesso agente era tra quelli che aveva, da infiltrato mesi prima, dato informazioni agli estremisti su «possibili obiettivi» sensibili e aveva consigliato ai colleghi di sottoporre a fermo di polizia «intimidatorio» alcuni giornalisti «ficcanaso» che erano riusciti a identificare tra i manifestanti dei Pegida diversi agenti di polizia fuori servizio. Dalla Sassonia si è scoperta una ragnatela fittissima di legami e ramificazioni anche verso altri Laend. Uno dei casi più eclatanti riguarda proprio il leader dei Pegida, Lutz Bachman.
A poche ore dall’attentato al mercato di Natale 2016 a Berlino, in Breitscheldplatz, il discusso leader xenofobo twittò: «Secondo fonti interne della polizia di Berlino l’assassino è un musulmano tunisino, troviamolo». Per giorni i comandi della polizia hanno ufficialmente escluso di conoscere l’identità dell’assassino. Ma Lutz Bachmann sembrava parlare proprio di Amis Amri, tunisino appunto. Proprio grazie a quel tweet avventato si scoprirono le connessioni tra la squadra della polizia berlinese che monitorava la grande comunità musulmana della capitale e i gruppi di estrema destra sassoni che nell’islamofobia ha un tratto identitario.
Ovviamente anche gli attivisti e i partiti di sinistra sono sempre più spesso bersaglio di questa «sacra alleanza reazionaria». Nel dicembre 2017, 42 attivisti berlinesi ricevettero lettere anonime di minacce. Erano esponenti dell’area degli squat della capitale, nella storica zona di Rigaer Strasse. Gli antagonisti, che avevano resistito l’anno prima a uno sgombero a opera della polizei, decisero di mostrare durante una conferenza stampa le missive ricevute. Nelle lettere si faceva riferimento a informazioni private preannunciando che sarebbero state consegnate a gruppi neonazisti per produrre rappresaglie contro la campagna che la Rigaer Strasse aveva fatto contro gli agenti che avevano provato a sgomberare gli squat in modo violento e illegittimo. A seguito di inchieste giornalistiche e indagini si scoprì che le lettere erano state inviate tutte dal quartier generale della polizia berlinese, addirittura dall’ufficio deputato a monitorare i gruppi eversivi di destra.
Nello stesso anno, gli antifascisti collegarono i diversi attacchi alle case di politici della Linke, nel quartiere multiculturale di Neukoelln, alla scarcerazione di un neonazista membro della sezione locale di Afd. Malgrado le evidenze, la polizia negò ossessivamente qualunque connessione, parlando di criminalità comune, «probabilmente turca o libanese». Solo recentemente, in un dossier dei servizi segreti, si è scoperto che lo stesso neonazista indicato dai collettivi antifascisti di Neukoelln aveva riorganizzato una cellula di Nationalistische Autonomen che si riuniva in una birreria nella periferia sud del quartiere per pianificare le azioni violente. La riorganizzazione era stata resa possibile dalla connivenza proprio dello stesso ufficiale della polizei responsabile delle indagini sugli attacchi, fotografato e intercettato mentre partecipava ai meeting del gruppo. Il caso è stato subito schermato da un perentorio, ma imbarazzato, «No comment», anche se oggi è al centro di interrogazioni al senato di Berlino. Tra gli obiettivi non c’è solo la scena autonoma o i partiti di sinistra. Lo scandalo più recente riguarda le rivelazioni fatte, a maggio 2019, dallo Zeit sulla polizei del Laend del Meclerburgo-Vorperania Occidentale. Nel Laend si tiene dal 1997 uno dei festival techno più importanti d’Europa: il Fusion. Il festival è organizzato da collettivi, associazioni, gruppi della scena della sinistra libertaria tedesca. Il Fusion è un luogo di incontro di tutta la sinistra antagonista della Repubblica Federale, che durante il suo svolgimento si autofinanzia e promuove dibattiti ed eventi, attirando persone da tutta Europa (circa 80 mila ogni anno). Nel marzo 2019, a pochi mesi dall’inizio del festival, il Ministro degli Interni del Laend (Cdu), per imprecisate «ragioni di sicurezza», ha provato a imporre agli organizzatori la presenza della polizia durante i giorni di festa, pena il divieto di svolgimento. La notizia ha creato molto dibattito e polarizzato l’opinione pubblica su quella che è parsa un’immotivata e arbitraria provocazione. Mentre l’opinione pubblica discuteva quasi in astratto della contraddizione tra sicurezza e libertà d’espressione, sono venuti fuori documenti interni della polizia. In un dossier redatto mesi prima si è scoperto che erano già pianificati interventi eccezionali di sicurezza, addirittura con l’uso di reparti dell’esercito. La ragione di un piano eccezionale di polizia era quella di «prevenire possibili conflitti» in occasione di un evento in cui dal 1997 non si sono mai verificati incidenti. Nel documento si parlava di circa 1.000 agenti antisommossa e di un centinaio di poliziotti in borghese da infiltrare all’interno del festival e si richiedeva la disponibilità di mezzi pesanti e idranti. I Piani di sicurezza per il Fusion si sono mostrati per quello che erano: un’aggressione finalizzata a fare in modo che questa sarebbe stata l’ultima edizione dell’evento. Questi documenti portavano la firma di un ufficiale, docente della Scuola di Polizia del Laend. L’ufficiale è un noto esponente di Alternative fuer Deutschland e in passato è stato condannato e sospeso per reati di violenza aggravata durante l’esercizio delle sue funzioni. L’autore del dossier aveva inoltre fornito nomi, cognomi, domicilio di residenza degli organizzatori a gruppi neonazisti locali. Subito dopo lo scandalo sollevato dal Zeit, i comandi di polizia hanno fatto marcia indietro e frettolosamente dichiarato in una nota ufficiale: «Viste le risposte in termini di sicurezza degli organizzatori una nostra presenza sul terreno non è più necessaria».
Il governo federale sembra minimizzare i fatti più gravi e ignorare tutti gli appelli fatti anche dal mondo della cultura e del giornalismo. Nonostante la dimensione del fenomeno il ministro dell’interno Seehofer, esponente di una destra bavarese spesso accusata di strizzare l’occhio proprio proprio ad Alternative fuer Deutschland, continua, sempre più a fatica, a parlare di «emergenze sicurezza» legate a frange «dell’estremismo islamico» o al pericolo rappresentato dai movimenti antagonisti.
A complicare il quadro, gli scandali che hanno travolto altre due istituzioni, questa volte federali. Sono due istituzioni in cui la mancanza di controllo e intervento del governo di Grosse Koalition appare evidente e persino grottesca. Parliamo dell’esercito, la Bundeswehr, e i servizi di intelligence interna, Bundesamt fuer Verfassungschutz (l’organo di controllo che dovrebbe sorvegliare proprio su tutti i movimenti neonazisti ed eversivi in quanto anticostituzionali).
«Gott mit uns!»
Il primo caso, ancora avvolto da omissis e ambiguità è salito agli onori della cronaca nella primavera del 2018, grazie a due coraggiose inchieste del Taz e di Focus.de che hanno scoperto un’indagine interna al ministero federale della difesa su un’associazione clandestina chiamata Uniter. L’associazione era composta da oltre 200 ufficiali e soldati dell’élite militare, il famigerato Kommando Spezialkraeft. Non ci troviamo davanti a una tranquilla associazione corporativa, ma a una struttura che si poneva come obiettivo la «destabilizzazione dell’ordine costituito». Pare che questa Gladio teutonica si preparasse a una specie di golpe, chiamato Tag X (Giorno X), e si serviva di case sicure che fungevano da depositi di armi non registrate. Uniter era organizzata su base territoriale, il che ha reso però più difficile e farraginoso il lavoro di indagine della corte federale. All’inizio dell’inchiesta, sotto la pressione della magistratura e dei media, le relazioni con i gruppi di estrema destra erano state smentite dalla stessa imbarazzata ministra, sempre Cdu, Ursula von der Leyen. L’indagine federale è partita comunque dal Baden Wuettenberg e, servendosi di infiltrati e intercettazioni, ha riconnesso i fili persino con alcuni ufficiali che erano stati momentaneamente prestati ai contestatissimi servizi di sicurezza del G20 di Amburgo. Col passare dei mesi tra il 2017 e il 2018, lo scandalo ha assunto dimensioni difficilmente gestibili da parte dello stato maggiore della Bundeswher con interi battaglioni e caserme coinvolte, liste di prescrizione di politici, attivisti e giornalisti da colpire, campi di addestramento paralleli e nostalgie della Seconda guerra mondiale. In una serie di depistaggi e ambigui comunicati ufficiali, l’inchiesta prosegue ancora oggi sebbene schermata da «ragioni strategiche di sicurezza nazionale». Per le autorità del ministero la mancanza di connessioni dimostrabili e dirette con gli ambienti dell’estrema destra rende difficile confermare la veridicità degli intenti dell’associazione militare. Contro questa posizione insopportabilmente ambigua del governo si è più volte schierata la Linke e la Fondazione culturale antirazzista Antonius Amadeus.
Un membro dell’organizzazione, il tenente «Franco A.», era riuscito a procurarsi documenti come rifugiato siriano nel 2017 e al momento del suo arresto stava pianificando (ed era quasi in fase esecutiva) l’omicidio proprio di alcuni esponenti della Linke e della presidentessa dell’Antonius Amadeus Stiftung, sotto la falsa bandiera del terrorismo islamico. Insieme a lui alla vigilia dell’attentato furono fermati e accusati altri due commilitoni, uno dei quali membro della sezione locale di Alternative fuer Deutschland. Dall’arresto dell’uomo noto come «Franco A.» si è riusciti a ricostruire in controluce la rete Uniter, allargandola anche a Svizzera e Austria. Nelle perquisizioni, nelle indagini, negli arresti legati a Uniter e soprattutto all’episodio del tenente Franco A. sono intervenute esclusivamente le forze di Polizia dell’Assia e della Baviera, cioè quelle ritenute più ambigue. Il governo federale ha calmato le acque perché, in piena crisi interna, non vuole oggi mettersi contro l’esercito proprio mentre si spinge verso una sua dimensione sovranazionale e comunitaria a tutela degli interessi geopolitici, dell’Ue, e quindi della Germania.
Al di fuori della legalità
Nell’agosto dello scorso anno, per di più, i vertici del Bundesamt fuer Verfassungschuft, l’autorità in difesa della Costituzione. Quest’ultimo episodio, che ha addirittura fatto temere per la sopravvivenza del governo di Grosse Koalition, è probabilmente quello che più di tutti riesce a rendere il contesto politico di irresponsabile inedia in cui la Cdu e la Csu, oltre che l’insipiente Spd, stanno affrontando un fenomeno che si allarga a macchia d’olio.
Dopo le inchieste sull’Nsu del 2012, che evidenziarono le mancanze nella condotta dei servizi segreti e gravi omissioni nelle indagini sul gruppo terroristico, Angela Merkel decise di cambiare i vertici dell’intelligence, screditata agli occhi dell’opinione pubblica. Fu posto così alla guida della onnipotente Agenzia federale in difesa della Costituzione, proprio l’avvocato conservatore Hans Georg Maassen, esponente dell’anima più reazionaria dei cristiano democratici. Dal 2012 al 2018 Maassen ha diretto l’agenzia, riformandone la linea di comando ma anche usando la propria posizione di visibilità per smarcarsi dalla cancelliera Merkel, assumendo pubblicamente posizioni via via sempre più controverse. Malgrado le sue ripetute provocazioni, per quella dottrina di governo dell’estremismo di centro merkeliano, Maassen aveva mantenuto saldamente il proprio ruolo. Almeno fino all’agosto del 2018, quando tutto il mondo e l’opinione pubblica tedesca si svegliarono sconvolti dalle immagini dei pogrom e dalle violenze xenofobe di migliaia di naziskin a Chemnitz. In quell’occasione la cancelliera, con un altro dei suoi blitz, dette il ben servito alla destra del suo partito che si muoveva dietro Maassen. All’indomani dei primi pogrom nella città sassone, in un’intervista alla Bild, Maassen aveva messo in dubbio l’esistenza stessa di prove credibili dei raid nazisti. Malgrado decine di filmati su YouTube aveva affermato candidamente che l’intelligence da lui guidata, non aveva registrato alcun episodio di violenza. In un momento in cui l’intera società tedesca si aspettava risposte dal Bundesamt fuer Verfassunschutz le dichiarazioni del numero uno dell’agenzia, avevano scatenato la tempesta perfetta. Dopo queste dichiarazioni al Bundestag tutti i partiti, tranne l’Afd, ne chiesero immediatamente la rimozione. La cancelliera Merkel appoggiò la richiesta, ottenendo il doppio risultato di dare un capro espiatorio all’opinione pubblica e liquidare la destra del suo partito. Il ministro Seehofer, che di Maassen condivide il background reazionario, con il più classico dei promoveatur ut moveatur lo nominò come segretario di stato all’interno, con la beffa di assegnarli la funzione di controllo sui servizi di intelligence. Sfortunatamente per entrambi subito dopo la nomina venero alla luce i rapporti che già nel 2015 Maassen intratteneva con esponenti di primo piano dell’Afd. In questi colloqui riservati, proseguiti fino a pochi mesi dai fatti di Chemnitz, l’avvocato dava consigli ai populisti su come eludere proprio i controlli dell’agenzia da lui presieduta. Dopo la fuga di notizie, in una sorta di delirio paranoide, l’ormai ex capo dei servizi iniziò a teorizzare di essere stato vittima di un complotto della «sinistra radicale infiltrata nel governo della Merkel». Maassen, indifendibile anche per Seehofer, è stato pre-pensionato: trascorre il tempo libero tenendo conferenze in giro per l’Europa, attaccando da destra le politiche sull’immigrazione e sulle frontiere dell’Ue e rilanciando la minaccia del terrorismo islamico, della difesa delle radici cristiane europee come priorità dei servizi di sicurezza degli stati.
Recentemente lo Spiegel ha parlato di ulteriori legami tra ex dirigenti dei servizi e l’estrema destra austriaca (in crisi dopo l’Ibiza Gate che ha fatto cadere il governo). Dalle dimissioni di Maassen, nell’autunno 2018, i servizi di sicurezza interni sono nei fatti commissariati in attesa di nominare una figura politica di garanzia.
Convergenze inedite
Tutte queste vicende accompagnano l’avvicinarsi della fine dell’era Merkel ma soprattutto parlano della mancanza di governo sugli apparati dello Stato da parte di ciò che rimane della Cdu-Csu e dell’Sps. Dalla periferia, dai livelli locali, partendo dalle polizie dei Laend, dalle accademie di addestramento, dai sottoufficiali dell’esercito, l’anima xenofoba tedesca, in piena rivalsa da grandeur geopolitica, scala le gerarchie e costruisce relazioni. Tuttavia, l’impressione è che l’opinione pubblica tedesca sia meno irresponsabile dei partiti al governo. Pochi mesi fa quasi a preannunciare il trionfo elettorale dei Verdi (che oggi secondo alcuni sondaggi sarebbero addirittura il primo partito tedesco, sopra la Cdu-Csu), per la prima volta i temi legati a immigrazione e sicurezza non erano in cima alle priorità dell’elettorato, sostituite dalle questioni ambientali e climatiche. In secondo luogo i media stanno sempre più dando spazio a inchieste, anche molto coraggiose visto il livello di violenza, sull’agibilità di cui gode l’estrema destra tra gli apparati di sicurezza e in alcuni territori. Un’ultima ragione ha a che fare con la forza di organizzazione e di alleanza tra movimenti, migranti, chiese protestanti, disoccupati, donne, giovani. Un’inedita saldatura politica e sociale in un quadro di violentissima polarizzazione tra visioni di mondo opposte e inconciliabili.
Queste soggettività sono sempre più presenti nel dibattito mainstream dell’era tardo-merkeliana e appaiono ai più come i portatori vivi delle contraddizioni mai risolte negli scorsi 15 anni. Su di loro la storica responsabilità di fronteggiare questa pericolosa e mostruosa alleanza di «eversione e sicurezza» schmittiana. Non è detto però che la farsa cui la storia è condannata a ripetersi non sia drammatica come i recenti fatti di sangue dimostrano. Esserne consapevoli è fondamentale affinché questa volta l’anima autoritaria e reazionaria tedesca sia respinta all’inferno, per rimanerci una volta per tutte.
*Nicola Carella è ingegnere e attivista. Dal 2012 vive a Berlino occupandosi di welfare, precarietà e cambiamenti macroeconomici. Ha collaborato con il parlamento europeo redigendo uno studio sulle strategie economiche di Amazon e Ali Babà. Scrive su diversi siti di informazione in lingua italiana raccontando la politica dal punto di vista dei movimenti tedeschi. Da quattro anni offre consulenza gratuita a Berlino per italiani immigrati sul welfare e il lavoro con le associazioni Basta e Babylonia.
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