Adiós, viejo rebelde
Fin tanto che ci saranno ingiustizie, al mondo, fin tanto che, come diceva lui stesso, un bambino muore di fame in Argentina, ci sarà sempre un Osvaldo Bayer che scriverà contro il potere
Forse starà bevendo un whisky con Julio Cortázar . O scambierà qualche pallonata con Osvaldo Soriano, prendendolo in giro perché il San Lorenzo è una squadra che ha preso il nome da un prete. Oppure discuterà con Rodolfo Walsh sul violento mestiere che hanno fatto per una vita: scrivere contro il potere, svelare i meccanismi delle dittature, narrare le storie degli ultimi del mondo.
Di sicuro Osvaldo Bayer da qualche giorno non è più con noi. Non ha mai avuto il cellulare, usava la mail solo ai tempi in cui se ne faceva un po’ carico la compagna di una vita, Marlies. Lui era sempre a giro, in qualche lejano sur: doveva partecipare alla cerimonia di apertura di una biblioteca di una scuola di bambini mapuche in cui nessuno va, ma lui certo non poteva mancare. Oppure teneva un seminario su “memoria e scrittura” e l’unico modo per incontrarlo era fargli la posta alla fine della lezione. Che poi magari, come è successo a chi scrive, finiva per invitarti alla sua casa nel quartiere Belgrano di Buenos Aires, che Soriano aveva definito «un vero tugurio» e lui alla lettera l’aveva scritto anche sulla porta: el tugurio. Se non siete passati da quella casa, non siete mai stati a Buenos Aires.
Scrittore e storico argentino, anarchico utopista e pacifista a oltranza, memoria vivente delle lotte operaie del paese australe. Mille vite aveva fatto, Osvaldo. L’avevano condannato a morte, l’avevano incarcerato in un penitenziario femminile, i suoi libri bruciavano nelle piazze negli anni della dittatura militare. Eppure alla fine rispuntava, miracolosamente vivo, fieramente nemico di ogni potere. Discendente da un fabbro tedesco emigrato in Argentina, Bayer faceva parte di quella generazione di autori latinoamericani che hanno lasciato un segno, inventando il genere della scrittura ibrida di no ficción per raccontare i travagli dell’America del Sud.
Sarà ricordato innanzitutto per la Patagonia rebelde, la ricostruzione di un genocidio di operai rurali compiuto nel 1920/21 dall’esercito argentino come rappresaglia per uno sciopero e per l’occupazione dei latifondi patagonici. Un evento negato dalla storia ufficiale che Bayer ricostruì nei dettagli, fino a rinvenire fosse comuni con centinaia di cadaveri. Dalla Patagonia rebelde fu girato un film vincitore di un Orso d’argento a Berlino nel 1974. Pochi mesi dopo la fine delle riprese, Bayer fu condannato a morte da un gruppo clandestino di estrema destra, l’Alleanza Anticomunista Argentina, e riparò in esilio in Europa. Si occupò a lungo della memoria dell’emigrazione libertaria e delle recenti lotte degli indigeni, in particolare i Mapuche, contro Benetton e i grandi proprietari terrieri.
È famosa la sua inimicizia con Bruce Chatwin, accusato da Bayer di aver scritto il suo libro sulla Patagonia adottando il punto di vista dei latifondisti gringos. Epici anche gli aneddoti d’esilio, in cui univa il tango triste al proverbiale umorismo argentino.
Da anni diceva di voler morire a Buenos Aires, dove aveva perso per mano militare tanti compagni di lotta e di giornalismo militante. Negli ultimi tempi questo vecchio indebolito era diventato, col suo corpo fragile, un’icona per svariate generazioni di attivisti. Memoria vivente del suo paese, faticava a trattenere ormai i ricordi e stava scivolando lentamente nell’oblio. Ma ogni volta che serviva, usciva per strada su una sedia a rotelle per sollevare il pugno chiuso contro ogni ingiustizia.
Dalla vigilia di Natale Osvaldo Bayer è diventato un mito argentino. È come Carlitos Gardel: si dice sia morto, ma gli argentini non ci credono. Lo sanno tutti che Gardel è vivo e cada dia canta mejor, canta sempre meglio, e basta infilarsi in certe milonghe dove i turisti non osano mettere piede e potete ascoltare la sua voce. Per Osvaldo è lo stesso. Fin tanto che ci saranno ingiustizie, al mondo, fin tanto che, come diceva lui stesso, un bambino muore di fame in Argentina (e succede, per la miseria, succede), ci sarà sempre un Osvaldo Bayer che scriverà contro il potere. Per questo Osvaldo Bayer continuerà a scrivere anche adesso che non è più tra noi. E ogni giorno scrive meglio. Adiós, viejo rebelde.
*Alberto Prunetti, scrittore e traduttore, è autore di 108 metri. The new working class hero (Laterza), PCSP (Alegre Quinto Tipo) e Amianto. Una storia operaia (Alegre). Per Alegre dirige la collana di narrativa Working Class.
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