
Boris Johnson sarà un disastro per la working class
Fa battute razziste, è contrario al salario minimo e ha passato tutta la sua carriera politica a fare la guerra ai sindacati: il nuovo primo ministro britannico farà solo gli interessi dei ricchi
Con una serie di eventi degni di un film di Charlie Chaplin, il goffo ex sindaco di Londra Boris Johnson, diventerà oggi il nuovo primo ministro britannico. È considerato da tutti un eccentrico simpaticone, ma Johnson ha studiato attentamente la sua immagine mediatica. Come dimenticare il modo in cui ha risposto alla polemica scaturita dalle dichiarazioni in cui chiamava le donne musulmane velate «buche da lettera« e «rapinatori di banche»? Si è presentato in televisione in bermuda e ha offerto il tè ai giornalisti in tazze appariscenti, ma non ha mai risposto nel merito, né tantomeno si è scusato.
Johnson ha studiato al prestigiosissimo College di Eton e a Oxford, e una volta faceva parte della famigerata lega interamente maschile del Bullingdon Club, la cui cerimonia di iniziazione prevede di bruciare una banconota da 50 sterline davanti a un senzatetto. Ma questo non impedirà ai suoi amici nei media di presentarlo al pubblico come uomo del popolo, nelle prossime settimane. Oltre cinque milioni di persone nel Regno Unito stanno attualmente lottando per arrivare alla fine del mese a causa di lavori a bassa retribuzione e precari, cui va aggiunto il costante aumento del costo della vita, e il meglio che i conservatori riescono a fare è promettere (tra gentiluomini, si intende) di ridurre delle tasse per i ricchi.
Carrierista e ipocrita con scarse remore, può essere facile dimenticare che questo odierno paladino della Brexit una volta dichiarò che l’unico vantaggio di lasciare l’Unione Europea sarebbe stato «riconoscere che la maggior parte dei nostri problemi non sono causati da Bruxelles, ma dal nostro cronico modo britannico di pensare a breve termine, da una gestione inadeguata della cosa pubblica, dalla pigrizia, dal basso grado di competenze, da una cultura della gratificazione facile e da una carenza di investimenti infrastrutturali e nel capitale umano ed economico».
Chiunque legga l’editoriale di Johnson pubblicato sul Daily Telegraph nell’aprile 2016 considererebbe buon diritto il nuovo leader tory un sostenitore del remain, nella misura in cui sottolinea nel testo i benefici dell’Ue e afferma che «la quota di adesione appare piuttosto bassa paragonata con l’ampiezza del mercato che garantisce». Eppure, qualche ora dopo quello stesso giorno, Boris Johnson si è ritrovato al vertice di una campagna ben finanziata per il leave.
Johnson è la quintessenza del partito tory. È un razzista che parla dei neri usando la parola Pickaninny [insulto razzista usato negli Usa, storpiatura del portoghese pequenino] e ha detto che Barack Obama prova una «antipatia ancestrale» per la Gran Bretagna a causa delle sue origini keniote. Ha anche sostenuto che il problema dei paesi ex-colonie britanniche non sta «nel fatto che una volta eravamo noi al potere, ma che non lo siamo più».
Dichiarazioni come questa si sono susseguite negli anni: ha definito gli abitanti della Papua Nuova Guinea «cannibali», ha detto che le donne vanno al College solo per «trovare un uomo da sposare» e che gli uomini gay sono «frocetti svestiti». Un record molto adatto a un politico che ha inaugurato la sua campagna elettorale con lo slogan «riunire il paese».
Le polemiche delle ultime settimane, tuttavia, hanno completamente tralasciato la parte più sordida della storia di Boris Johnson: il suo rapporto con i lavoratori. Johnson ha passato quasi tutta la sua carriera a fare la guerra ai sindacati. Negli anni 2000 è stato uno dei più importanti oppositori del salario minimo, sostenendo che avrebbe «distrutto i posti di lavoro». E quando era sindaco di Londra si scontrava regolarmente con i lavoratori del trasporto pubblico.
Vale la pena ricostruire questa vicenda. Boris Johnson fece ruotare la sua campagna elettorale da sindaco di Londra attorno all’impegno di non chiudere le biglietterie della metropolitana. Si fece anche immortalare dai fotografi nell’atto di firmare un contratto. «Alla domanda su quante biglietterie dovranno chiudere», diceva, «la mia risposta è zero». Poi Johnson ha rinnegato questa promessa e i lavoratori della società Rmt, che gestisce le biglietterie, sono entrati in sciopero. E lui allora ha scelto di intraprendere una campagna per vietare il diritto di sciopero, piuttosto che mantenere la parola data. Ha chiesto, in particolare, di introdurre un quorum del 50% di affluenza alle urne sindacali per poter indire qualsiasi sciopero. Questa misura è alla base delle riforme della legge anti-sindacale introdotte dai Tories nel 2016.
Boris Johnson odia profondamente la classe operaia. Che altro si può dire di uno che ancora molti anni dopo la strage di Hillsborough scrive che gli abitanti di Liverpool «si crogiolano nel vittimismo», o che avrebbero dovuto riconoscere le colpe «dei tifosi ubriachi che dal fondo della folla hanno cercato insensatamente di arrivare vicino al campo da gioco»?
130.000 membri del Partito Conservatore, per lo più, hanno catapultato Boris Johnson al numero 10 di Downing Street. A loro non dispiace il sostegno di Johnson all’austerità, alle privatizzazioni o alla deregulation. Anzi, molti di loro avranno brindato quando ha dichiarato in una recente intervista che nessuno più di lui si è «battuto dalla parte dei banchieri» dopo la crisi del 2008. «Li ho difesi giorno dopo giorno, giorno dopo giorno», ha concluso.
Forse è per questo che Boris Johnson è così determinato a opporsi alle «grinfie rosse del socialismo» del Partito Laburista. Perciò la posta in gioco per i lavoratori, per qualunque futura elezione contro Boris Johnson, è molto alta. Molto dovrà essere chiarito sulle sue amicizie con Donald Trump e con Steve Bannon, avvoltoi pronti a spolpare il settore pubblico britannico in caso di una no-deal Brexit.
Dal momento che Boris Johnson sta per portare la Gran Bretagna sul ciglio di un burrone il prossimo 31 ottobre, è meglio non dimenticare quello che ha detto nel 2004, quando è stato allontanato dalla prima fila dei Tory: «Cari amici, per esperienza personale ho scoperto che non esistono disastri, ma solo opportunità. E, in effetti, opportunità per fare nuovi disastri». Se sei ricco quanto Boris, non esiste disastro troppo grande da non poterci guadagnare qualcosa.
*Lauren Townsend lavora come cameriera nella catena di ristoranti TGI Fridays ed è un’attivista di Unite the union. Questo articolo è uscito su Tribunemag. La traduzione è di Riccardo Antoniucci.
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