
Di che cosa ha paura Salvini?
La stretta sulle manifestazioni di piazza, prevista dal Decreto sicurezza bis appena approvato, mostra una consapevolezza del Ministro dell'Interno: qualunque opposizione oggi può nascere nelle strade non nelle aule parlamentari
Lunedì sera il decreto sicurezza bis è diventato legge. Tanto se ne è discusso e tanto se ne è scritto nelle ultime settimane, mettendo soprattutto in evidenza la criminalizzazione delle Ong e della solidarietà che praticano nel Mediterraneo: la campagna lanciata da Libera con lo slogan «la disumanità non può diventare legge» va in questa ineccepibile direzione di critica al provvedimento. Ci sono tuttavia due altri aspetti che meritano altrettanta attenzione: il primo relativo all’equilibrio dei poteri e delle competenze all’interno del governo e il secondo all’individuazione degli spazi di democrazia e di conflitto presenti nel nostro paese.
Con i primi articoli del decreto il Ministero dell’Interno avoca a sé competenze fino a ora in capo a (o condivise con) Ministero della Difesa e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Salvini aveva già operato ben al di là del proprio campo di competenza, ma lo aveva fatto approfittando dell’incapacità politica dei suoi alleati di governo e del grande consenso personale di cui dispone. Con il decreto approvato lunedì questo modus operandi viene formalizzato con un passaggio di competenze che accresce quelle del Ministero degli Interni e riduce questioni complesse a ordine pubblico: la gestione dei porti ha ricadute commerciali, sanitarie, di relazioni internazionali, umanitarie e anche di ordine pubblico; fino a ora la tessitura di questa trama complessa era in capo al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, mentre il decreto sicurezza bis sancisce la priorità dell’aspetto relativo all’ordine pubblico rispetto a tutti gli altri, sottraendolo a quel lavoro di composizione. Il tutto avviene all’indomani della dichiarazione di Salvini secondo cui «Toninelli è inadeguato», seguendo cioè un copione da manuale di scienza politica: prima si delegittima la persona e poi si passa a svuotare formalmente le funzioni che ricopre per avocarle a sè. Così come è avvenuto in relazione alla gestione dei porti questo processo potrà avvenire in futuro per ogni altro tipo di questioni che chiamano indirettamente in gioco l’ordine pubblico e le cui competenze fanno capo ad altri ministeri, come la gestione delle crisi aziendali. Fingere di non vedere la torsione autoritaria impressa da questo provvedimento e quanto rappresenti un pericoloso precedente è una responsabilità enorme.
Numerosi articoli del decreto sicurezza bis riguardano inoltre l’ordine e la sicurezza pubblica in relazione alle manifestazioni di piazza, inasprendo le misure già presenti nel codice penale. Nell’Italia che ha conosciuto la mattanza di Genova 2001 e che ha visto nel 2008 utilizzare i neofascisti per intimidire a suon di spranghe il movimento dell’Onda non c’era il decreto sicurezza bis, eppure i poteri discrezionali in capo alle forze dell’ordine erano enormi, così come il ricorso a trame nere – in continuità con la strategia della tensione – era una pratica ben consolidata (anche perché i sedicenti patrioti neofascisti si confermano sempre disponibili a intimidire chi si mobilita se a chiederglielo è una qualunque destra che sieda sui banchi del governo). Dati questi precedenti è davvero preoccupante pensare a ciò che potrà succedere nelle piazze dopo l’approvazione di questo decreto.
La componente repressiva del provvedimento è stata evidenziata da molti, ma c’è un ulteriore aspetto ancora più importante e riguarda la grande consapevolezza politica degli equilibri delle forze in campo nell’Italia di oggi che emerge dal linguaggio formale degli articoli riguardanti l’ordine pubblico. Il governo (cioè Salvini) sa benissimo che l’opposizione parlamentare non rappresenta in alcun modo un pericolo per il proprio consenso; il Pd guidato da Zingaretti è totalmente inconsistente e afono, ancora invischiato nell’eredità ideologica renziana dalla quale non ha minimamente preso le distanze, Forza Italia e Fratelli d’Italia passano ogni giorno a ribadire quanto non vedano l’ora che Salvini abbandoni il M5S e torni nel centrodestra, riconoscendogli la naturale leadership. L’unica alternativa possibile oggi, in grado di segnare un’inversione di tendenza nell’opinione pubblica, risiede nelle mobilitazioni di piazza. Evocarle nell’Italia del 2019 sembra un esercizio retorico e velleitario ma non si tratta di nulla di diverso da quanto avvenuto nel recente passato: nell’autunno del 2008 il governo Berlusconi IV godeva di un consenso enorme, reduce da una vittoria elettorale che gli aveva consegnato una solida maggioranza parlamentare; il Pd, guidato da Veltroni, era totalmente incapace di fare opposizione, perso tra ridicoli tentativi di governi ombra e faide interne figlie della malriuscita fusione tra Democratici di sinistra e Margherita che aveva appena dato vita a quel partito. Tutto sembrava fermo e immobile ma, in opposizione alla L.133/08, la cosiddetta Riforma Gelmini che aveva il chiaro intento di ridimensionare il sistema universitario pubblico e avallarne una trasformazione aziendalistica, nacque il movimento studentesco dell’Onda, che riuscì a far emergere nel paese un dissenso diffuso che attendeva interpreti in grado di farsene portatori. Come quella entusiasmante stagione di mobilitazioni si sia conclusa lo sappiamo benissimo così come conosciamo i suoi limiti; ma resta il fatto che con quel movimento irruppe nello spazio pubblico un’opposizione al governo in carica che mai sarebbe nata nelle aule parlamentari.
Probabilmente Salvini non ha pensato a quel precedente nel redigere il decreto sicurezza bis, ma di sicuro ha ben chiari i rapporti di forza nell’Italia di oggi e i pericoli reali per il suo consenso. Non a caso, alla vigilia di una manovra economica che si preannuncia tutt’altro che da «governo del popolo», ha deciso di rendere oggettivamente più difficile e pericoloso scendere in piazza. Il Ministro dell’Interno ha chiaro che il conflitto politico e la costruzione di qualunque alternativa nell’Italia del 2019 può nascere nelle strade e nelle piazze e non nelle aule parlamentari.
Chi non ne può più di questo governo e non vede l’ora di voltare pagina, dovrebbe riuscire a maturare la stessa consapevolezza, leggendo quel che è scritto tra le righe di questo decreto e rifuggendo da quella che Gramsci chiamava «la tendenza a diminuire l’avversario» che è sempre «un documento della inferiorità di chi ne è posseduto».
*Alfredo Ferrara è dottore di ricerca in filosofie e teorie sociali contemporanee presso l’università degli studi di Bari “Aldo Moro”. Si occupa di neoliberalismo e del pensiero politico di Antonio Gramsci.
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