Emmanuel Macron non è l’anti-Salvini
Il presidente francese vuole presentarsi come ultimo baluardo contro il “populismo”. Per Danièle Obono, deputata de La France Insoumise, è in realtà il “centro estremo” ad alimentare l’ascesa delle destre in Europa
Per le elezioni europee del 24–26 maggio del 2019, molti media liberali prevedono l’ennesimo confronto tra il campo “progressista” e “internazionalista” rappresentato dalle forze centriste ed europeiste, e la minaccia di una nuova destra incarnata da figure quali il Ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini. Senz’altro alle europee si prevede un risultato storico per la Lega, così come per altri partiti di (estrema) destra del continente. Ma c’è anche l’ascesa di nuovi movimenti della sinistra radicale, che sfidano il centrismo neoliberale nel nome di una trasformazione dell’Unione europea, basata sulla difesa dei servizi pubblici, l’ecologismo e la lotta per la democrazia. Questa nuova sinistra è a sua volta divisa tra chi cerca un processo di riforma dentro gli attuali trattati europei e chi prevede una rottura più netta con le istituzioni dell’Ue. La France Insoumise (Lfi), il cui leader è Jean-Luc Mélenchon, fa parte di quest’ultimi, promettendo di avviare il suo programma di riforme anche se non sarà compatibile con gli attuali trattati. Se Mélenchon ha preso quasi il 20% dei voti alle elezioni presidenziali del 2017, la sua rivendicazione della sovranità francese ha provocato polemiche tra le forze della sinistra. Allo stesso tempo, Lfi viene spesso tacciata di essere un partito “nazionalista” dai sostenitori di Emmanuel Macron, come se fosse paragonabile al Rassemblement National (ex-Front National) di Marine le Pen. Ma nonostante i suoi sforzi per presentarsi come “l’anti-Salvini” a livello europeo, il président Macron porta avanti lui stesso una politica anti-migranti. Ha promosso la costituzionalizzazione dello stato di emergenza (che implica misure “anti-terroristiche” e repressive contro le popolazioni musulmane) nonché l’esternalizzazione del controllo delle frontiere, ormai dipendente dai regimi repressivi nordafricani.
Danièle Obono è una dei nuovi deputati di Lfi. Non è solo una politica ma anche una militante impegnata nelle lotte antirazziste e contro la violenza poliziesca e ha parlato con Jacobin delle elezioni europee, della militanza nei quartieri popolari di Parigi, e di cos’è essere una deputata nera nella Francia del 2018.
Il mese scorso le notizie delle perquisizioni presso la sede de La France Insoumise (Lfi) hanno fatto il giro del mondo. Per te si è trattato di una mossa politica e non solo giudiziaria?
Fa parte di un processo iniziato già a settembre. Emmanuel Macron va molto male nei sondaggi, a causa degli effetti delle sue politiche, ma soprattutto dopo l’affare Benalla [nel quale la scorta del presidente è stata filmata mentre picchiava i manifestanti fingendosi un poliziotto]. Nel contesto di una forte opposizione sociale e politica a Macron, Jean-Luc Mélenchon de La France Insoumise ha raggiunto il suo apice elettorale, diventando la più importante e coerente opposizione al presidente. In questo contesto, abbiamo visto una serie di attacchi nei confronti de La France Insoumise. Emmanuel Macron ha iniziato una campagna per le prossime elezioni europee in cui afferma di rappresentare i “progressisti” contro i “nazionalisti”, mettendo noi e il Front National nello stesso sacco “populista”. Il governo è andato in crisi con le dimissioni del ministro dell’ambiente ecologista, Nicolas Hulot [centrosinistra] e del ministro degli Interni Gérard Collomb, indebolendo la posizione del presidente. Non a caso, le perquisizioni si sono svolte nello stesso giorno in cui Macron ha fatto il rimpasto di governo. Le incursioni della polizia negli affari di giornalisti e politici sono solitamente preannunciate ai vertici del governo, quindi non c’è dubbio che il Primo Ministro sia stato messo a conoscenza prima che accadesse. Il tutto è stato preparato con largo anticipo. Penso che sia stato progettato per indebolire il principale movimento di opposizione nel momento in cui il governo ha cercato di “voltare pagina”. Macron vuole presentarsi come l’unica alternativa ai “populisti” in queste elezioni. Siccome gli elettori della classe media sono tradizionalmente più propensi a votare, e in effetti più sensibili a ciò di cui parlano i media, probabilmente verrebbero destabilizzati da questo tipo di storia.
Citi i tentativi di Macron di presentarsi quale forza di resistenza al “populismo”, in una sorta di gioco di ombre con Matteo Salvini in cui si alimentano a vicenda. Macron vuole porsi come un’opposizione “cosmopolita” all’estrema destra, ma allo stesso tempo ha lasciato in sospeso la zona Schengen e ha esternalizzato il controllo delle frontiere ai regimi autoritari in Nord Africa. Nella logica della vostra resistenza a Macron, che importanza ha la lotta al suo preteso “anti-razzismo”?
Direi che il suo discorso più che sull’antirazzismo si concentra sulla contrapposizione della politica “progressista” al “populismo”. Quest’ultimo termine è usato dai giornalisti, ma l’assenza di una definizione chiara lo rende spesso fuorviante; almeno sul piano politico, negli ultimi due o tre anni è stato usato principalmente per equiparare l’estrema sinistra all’estrema destra. Non ci definiamo “populisti”, ma siamo orgogliosamente dégagiste [volendo rovesciare il potere] e parliamo della “rivoluzione cittadina” e del popolo come base di una trasformazione radicale. Il termine “populista” è un modo per tacciarci di nazionalismo. E questo riconduce al modo in cui Macron è stato eletto: se si guarda ai sondaggi sui motivi per cui la gente ha votato per lui [nel secondo turno delle elezioni del 2017], la ragione più importante è stata quella di votare contro Marine Le Pen. Questo era già vero nel ballottaggio del 2002 tra Jacques Chirac e Jean-Marie Le Pen, con la differenza che, mentre Chirac vinse dal 82-18%, Macron ha vinto 66-34%.
Questa è la stessa operazione che Macron vuole ripetere nelle elezioni europee: vale a dire ritrarre se stesso come l’anti-Salvini. Questo nonostante che subito dopo le elezioni italiane Macron abbia spiegato di aver condiviso alcune delle posizioni di Salvini sull’immigrazione. In effetti, i vertici europei si sono spostati verso una politica sempre più repressiva nei confronti dei migranti. Non c’è vera opposizione su questo terreno. Una delle prime crisi all’interno del partito La République en Marche di Macron nell’Assemblée Nationale ha riguardato i migranti, è stato il primo disaccordo interno su un disegno di legge. Molti parlamentari hanno espresso la loro opposizione. C’è stata una forte mobilitazione delle associazioni di migranti (e pro-migranti), che si sono espressamente opposte al disegno di legge. Per il partito di Macron e il suo elettorato, sia che provenissero dai socialisti, dall’Eelv [Verdi], o addirittura dal centrodestra umanista, è stato sconvolgente scoprire quanto autoritario e repressivo sia il governo su questo terreno. La detenzione di bambini, e l’estensione di questa pratica a un periodo di 90 giorni, è stato un argomento particolarmente controverso. Il governo e la sua maggioranza parlamentare hanno respinto tutti gli emendamenti che mettevano in discussione la detenzione dei minori. In effetti, è la politica di Trump: detenere i bambini semplicemente perché figli di migranti. Questo era un punto di conflitto interno che sfidava la credibilità di Macron. E una domanda sulla quale i cosiddetti “progressisti” si trovano in difficoltà, soprattutto quando il ministro dell’Interno Collomb adotta discorsi di estrema destra sull’essere “invasi” dagli immigrati o quando molti parlamentari pro-Macron chiamano le associazioni pro-migranti “trafficanti di esseri umani”. Questo, ancora una volta, legittima un discorso di estrema destra. Prendi il caso dei recenti vertici franco-africani: Macron sembra ossessionato dalla cosiddetta “bomba demografica” delle donne africane che hanno troppi figli, con una narrativa coloniale estremamente reazionaria sui corpi delle donne nere. Macron afferma di opporsi a Salvini, afferma che [noi di Lfi] siamo uguali all’estrema destra e si presenta giovane, cosmopolita e moderno. Ma tutto ciò è lontano dalla realtà.
In precedenza, hai affermato che tradizionalmente, nelle elezioni europee, gli elettori della classe media votano di più degli altri francesi. Hai una notevole esperienza militante: quale può essere il tuo ruolo nell’incoraggiare la partecipazione di strati più ampi della popolazione?
Dopo le elezioni presidenziali e la creazione del nostro gruppo parlamentare, abbiamo messo un accento particolare sulla questione ambientale e sul problema dell’energia nucleare, che è oggi un campo di battaglia e un punto di mobilitazione chiave. La questione europea è un’altra questione centrale, poiché le politiche di Macron sui tagli sociali e sul liberalismo economico sono la trascrizione dei presupposti che esistono a livello europeo. Questi sono gli assi chiave attorno ai quali ci stiamo mobilitando. Questa è una mobilitazione elettorale che riguarda anche i diritti sociali. Dalle elezioni del 2017 abbiamo lottato duramente per conquistare coloro che di solito si astengono, ma anche per costruire lotte, ad esempio lotte ambientali e sindacali come quella delle donne che lavorano come addette alle pulizie all’hotel Hyatt [di Parigi]. In particolare, nei quartieri poveri, abbiamo iniziato a tenere riunioni [i rencontres nationales des quartiers populaires] progettate per riunire attivisti e residenti locali e parlare della lotta al livello più territoriale – sui problemi degli inquilini, sulla manutenzione degli spazi verdi, su servizi pubblici e simili. L’obiettivo è mobilitare i residenti che partecipano alle lotte, in modo da facilitare anche l’auto-organizzazione. Essere utili nella vita quotidiana delle persone, ad esempio con la raccolta e la distribuzione di vestiti, o a Marsiglia quando le persone si sono riunite per ridipingere le scuole fatiscenti. I nostri incontri in questi quartieri fanno parte di questo impegno: ispirandoci al pensiero di attivisti come Saul Alinksy, ci concentriamo su questioni molto concrete, dagli ascensori rotti al lavoro, assieme alle associazioni locali, ai centri sociali e alle organizzazioni dei residenti. Facciamo il lavoro “vecchio stile” come distribuire volantini per convocare manifestazioni, e così via, ma dobbiamo anche cambiare il nostro modo di militare, facendo più lavoro porta-a-porta per scoprire cosa suscita la rabbia delle persone e aiutarli sul terreno delle questioni che gli stanno più a cuore. Non è solo una questione di elezioni europee, ma di costruire relazioni a livello locale, stabilire legami con la popolazione e, magari, essere maggioritari il giorno delle elezioni nel 2022. É un modo di costruire riconoscimento reciproco e una rivoluzione cittadina, gettando le basi per l’auto-organizzazione.
Sei stata bersaglio di attacchi accesi a causa dei tuoi legami con i movimenti antirazzisti e anti-coloniali in Francia. Per citare un paio di esempi, sei stata condannata per aver rifiutato di pronunciare le parole “Vive la France”, e anche oggetto di confusioni che cercavano di legarti a Houria Bouteldja [una scrittice decoloniale controversa]; hai difeso il suo impegno antirazzista ma allo stesso tempo criticato altri aspetti delle sue posizioni. Perché pensi di essere stata presa di mira?
Penso che in generale l’antirazzismo sia stato a lungo un punto debole della sinistra. E a ciò si aggiunge il fatto che negli ultimi dieci o quindici anni non ci sono stati movimenti antirazzisti di massa paragonabili (con tutti i loro limiti) a quelli degli anni Ottanta. Ciò riflette anche un fallimento della sinistra al governo, che ha attuato politiche anti-migranti e non è riuscita a combattere le discriminazioni. Per alcuni anni, tuttavia, sono sorte correnti anti-razziste che hanno avanzato una certa riflessione sul razzismo strutturale, sulle ragioni per cui anche la sinistra ha molto da fare per costruire un approccio postcoloniale, o sui motivi perché la sinistra stessa è così bianca e non coinvolge una gamma più ampia di categorie sociali. Bisogna lavorare su questi nodi. Ma c’è un problema fondamentale di strategia e analisi. Mentre c’è stato un avanzamento in termini di ricerca sugli studi postcoloniali e sugli studi culturali, questo è molto meno evidente a livello politico o anche tra i militanti.
In questo contesto, di fronte sia agli attacchi del governo sia al modo in cui la laïcité viene agitata nell’offensiva contro i musulmani, così come nel più ampio contesto della guerra al terrore e delle confusioni tra Islam e terrorismo, emergono anche tensioni all’interno della sinistra. Per il potere, l’opzione più semplice è stata quella di provare ad usare me come punto di divisione, come una deputata nera e donna di meno di quarant’anni. Sono un bersaglio sia per i potenti che per l’estrema destra, che mi individuano come “anello debole della catena” che possono usare per distruggerci. Fortunatamente, tutto ciò non ha avuto successo. Ci sono dibattiti sia in France Insoumise che nella sinistra più larga, l’analisi dell’islamofobia e del razzismo strutturale e l’uso strumentale della laïcité creano tante polemiche. Ma il nostro programma ha gettato le basi per una lotta antirazzista condivisa, che ci permette di resistere agli attacchi che cercano di dipingere Danièle Obono più vicina a questo o a quello e quindi in contrasto con France Insoumise. Ci sono davvero molte sensibilità diverse al nostro interno, ma il punto è che abbiamo abbastanza punti in comune per lavorare insieme.
Ma pensi che France Insoumise abbia fatto abbastanza per andare oltre i limiti della sinistra istituzionale su questo punto? Ad esempio in termini di opposizione alle violenze poliziesche?
Abbiamo una posizione molto forte su questo tema che Jean-Luc Mélenchon ha avanzato durante la campagna [presidenziale del 2017], dopo il caso di un giovane violentato dalla polizia con un manganello, Théo Luhaka. Diversi parlamentari di La France Insoumise, tra cui Eric Coquerel e Mathilde Panot, sono stati presenti a tutti i raduni a sostegno della famiglia Traoré che chiede giustizia per Adama [un giovane di 24 anni morto in custodia di polizia nel 2016]. Nella prima sessione parlamentare uno dei ddl che abbiamo presentato chiedeva la fine dei controlli di identità, al fine di combattere l’uso della profilazione razziale da parte della polizia. La lotta contro le violenze poliziesche è una domanda chiave, presente già nelle parti del nostro programma sul razzismo, sulla discriminazione e sulla giustizia. Questo è un fronte chiave della lotta antirazzista, molto enfatizzato da La France Insoumise, e su cui lavoriamo anche con altri collettivi, nel rispetto della loro autonomia. Faccio parte della commissione parlamentare sulle questioni di giustizia, sicurezza e polizia, quindi questa è una lotta sia a livello di movimento che a livello parlamentare.
Qual è esattamente il ruolo che puoi svolgere in parlamento?
In una certa misura, abbiamo dovuto trovare il nostro ruolo sperimentandolo. Non si deve operare solo all’interno delle istituzioni, ma anche essere coinvolti nei movimenti. La nostra strategia per conquistare il potere inizia dai movimenti dei cittadini in cui costruiamo la nostra forza, e anche quando saremo al potere avremo bisogno di questo tipo di mobilitazioni per vincere il tiro alla fune che sicuramente sorgerà. Cerchiamo di essere molto presenti nell’Assemblée nationale – anzi, siamo uno dei gruppi parlamentari più attivi – per capire cosa sta succedendo lì e per dimostrare che siamo in grado di proporre dei ddl rilevanti. Ciò è possibile perché siamo anche legati alle associazioni, lavoriamo costantemente ai nostri emendamenti, a proporre ddl, a sfruttare le informazioni che le associazioni ci danno. Usiamo il parlamento come tribuna per le lotte e le mobilitazioni che si stanno verificando nella società. Non possiamo parlare per i movimenti o sostituirli, ma possiamo far sentire la loro voce. Ad esempio, Caroline Fiat, una deputata che in precedenza era un’assistente infermieristica, ha lavorato molto sulle questioni che interessano le cure per anziani e gli ospedali, e così può parlare delle lotte in questo settore, citando le parole delle persone in lotta. Questo è anche un modo per convincere la gente ad ascoltare ciò che sta accadendo nell’Assemblée nationale, perché ciò che diciamo rompe con l’atmosfera generale del dibattito istituzionale. Quindi, il compito è di essere un megafono, di portare la voce dei movimenti, di renderli più visibili senza pretendere di sostituirli. Naturalmente, i media non portano sempre quel messaggio, preferendo invece parlare di questioni più meschine.
France Insoumise ha stretto un’alleanza con Podemos in Spagna e il Bloco d’Esquerda portoghese, espressa nella dichiarazione “Ora il popolo!”. In attesa delle elezioni europee, quali sono le basi per riunire questi movimenti e come può essere cambiata l’Europa?
Qualcosa è già cambiato in Europa. Quando ho iniziato a fare politica attivamente, l’Italia è stata la terra del Forum Sociale Europeo a Firenze, delle [proteste anti-G8] a Genova, di Rifondazione Comunista, e di un governo di centrosinistra; la sinistra radicale e il movimento contro la guerra in Iraq italiani erano un punto di riferimento per tutti noi. Ora quella sinistra è scomparsa mentre la Lega e il Movimento cinque stelle sono al governo. Matteo Renzi era il Macron italiano, così come Macron è il Renzi francese. Questa è la conferma del modo in cui l’estrema destra e il centro estremo si alimentano a vicenda. Ci ispiriamo ai movimenti no global e ai forum sociali europei. Quindi, già abbiamo le basi per dire cosa deve essere fatto diversamente. La linea di demarcazione è emersa in Grecia, quando il governo Syriza di Alexis Tsipras ha accettato il Memorandum imposto dalle istituzioni europee. Si può dire che non abbia avuto altra scelta. Ma per noi, l’importante è dire che siamo pronti a disobbedire ai Trattati europei. La sinistra europea è divisa dalla questione della possibilità di cambiare rotta all’interno del quadro esistente. Noi e altri come noi stiamo lottando per cambiare questi trattati, una camicia di forza neoliberale che sta soffocando i popoli d’Europa. Non è possibile modificare la distribuzione della ricchezza all’interno dei parametri imposti da tali Trattati; quindi, se le regole rimangono le stesse, dovremo implementare il nostro programma nonostante loro. “Ora il popolo” propone una strada diversa: la redistribuzione delle ricchezze, investimenti pubblici, la lotta ai paradisi fiscali, la transizione ecologica. Probabilmente non tutti condivideremo esattamente le stesse posizioni teoriche sull’Europa, ma il caso greco ha prodotto una visione pratica condivisa: che dobbiamo insistere nell’applicare il nostro programma, anche se ciò richiede uno scontro.
*Danièle Obono è una militante anti-razzista e deputata di La France Insoumise. David Broder è uno storico e traduttore inglese, redattore europeo di Jacobin Usa.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.