
Il martire Oppenheimer
Christopher Nolan mette in scena la vita dell'inventore della bomba atomica. Tutto appare dettagliato e grandioso, ma ha la pecca di voler piacere a tutti i costi al grande pubblico
Se amate il cinema, senza dubbio andrete a vedere Oppenheimer, epico film biografico di tre ore di Christopher Nolan. Considerando la stasi cinematografica degli ultimi tempi, perché non dovreste scegliere questo spettacolo enormemente pubblicizzato e incredibilmente elogiato, che è destinato a ricevere tutti i premi possibili? Passerete ore a studiare il leggendario fisico e «padre della bomba atomica» J. Robert Oppenheimer, interpretato da Cillian Murphy, in larghi primi piani, soprattutto se vedi il film in IMax, che fa sembrare il volto di Murphy alto come un grattacielo e i suoi enormi occhi blu grandi come piscine.
Provare capire «cosa ha spinto Oppenheimer ad agire» suona vecchio quanto la bomba atomica. Questo film ci prova di nuovo, chiaramente partendo dal presupposto che sarà tutto inedito per le giovani generazioni. Tuttavia, se siete già al corrente dei pericoli della guerra nucleare, superati soltanto dalla serie in corso di catastrofi climatiche della fine dei tempi che ora sembrano più propense a ucciderci tutti, questo film mancherà di una certa urgenza.
Tuttavia, tutti i nolanismi amati dai suoi fan – che sono legioni dopo successi come The Dark Knight, The Dark Knight Rises, Inception, Interstellar e Dunkirk – vi sono rappresentati. Le tendenze cinematografiche hollywoodiane tradizionali ed emotivamente melodrammatiche di Nolan sono, come al solito, condite di intricati flashback, inganni narrativi, svolazzi di montaggio pirotecnici e una martellante colonna sonora esplosiva.
E poiché Nolan ora può impilare i suoi cast con attori famosi come un altro aspetto dei suoi altissimi costi di produzione, proverete l’esperienza ripetuta di registrare i volti delle celebrità mentre i personaggi vengono presentati. E compaiono così tanti personaggi che le scene a volte sembrano eventi sociali in cui incontrare persone. C’è Matt Damon nei panni del tenente generale Leslie Groves, che ha assunto Oppenheimer come capo della missione segreta per vincere la Seconda guerra mondiale creando una bomba atomica! C’è Robert Downey Jr che interpreta Lewis Strauss, presidente della Commissione per l’energia atomica degli Stati uniti! C’è Tom Conti in qualità di Albert Einstein! C’è Kenneth Branagh che è il fisico danese Niels Bohr! C’è Benny Safdie che ha la parte del «padre della bomba all’idrogeno» Edward Teller! C’è Josh Hartnett… Rami Malek… e Casey Affleck.
Tra le righe sto dicendo che non mi piacciono particolarmente i film di Christopher Nolan in generale, il che va considerato mentre leggete questa recensione. Inoltre non mi piace questo film in particolare. Ma, naturalmente, ci sono innumerevoli recensioni entusiastiche su Oppenheimer, quindi la mia rappresenta una rara opinione dissenziente.
Il film è costruito in modo da provare a mettere insieme i fili incrinati della personalità di Oppenheimer, pur riconoscendo che non c’è modo di arrivare a un tutto sensato quando si contempla la sua brillantezza visionaria, la sua politica vacillante, la sua turbolenta vita amorosa, il suo trionfo e la sua tragedia in qualità di «moderno Prometeo», e i suoi momenti di spavalda arroganza combinati con fasi di reticenza piena di sensi di colpa. In definitiva, Oppenheimer è trattato come un mistero oceanico di un uomo elevato al cielo nell’opinione pubblica per (secondo la maggioranza) aver salvato gli Alleati dagli orrori in corso del fascismo e della Seconda guerra mondiale, poi crudelmente messo alla berlina sulla base di false accuse anticomuniste. Ma la vera punizione è la sua terribile colpa dell’aver guidato il processo che ha scatenato su di noi gli orrori della guerra nucleare.
Nolan utilizza un modello di frattura narrativa simile a Citizen Kane per trasmettere la vertiginosa complessità di Oppenheimer nel crogiolo in cui si è trovato. Il titolo originale di Orson Welles per Citizen Kane era American, e nel suo film fa delle circostanze materiali di Kane una questione vitale. Nato nella dura classe operaia, diventa incredibilmente ricco dall’oggi al domani grazie all’accesso a vaste risorse naturali americane – nel suo caso, letteralmente diventando ricco con la miniera d’oro del Colorado Lode. Ciò rende possibile la sua ascesa alla fama e allo status di «grande uomo» ma allo stesso tempo lo svuota, tagliandolo catastroficamente fuori anche dalla sua famiglia e dalla comunità.
Come Welles, Nolan sposa l’idea dell’inconoscibilità del personaggio. All’inizio del film di Nolan, ad esempio, vedete l’incredibile incidente della mela avvelenata omicida che lo studente risentito Oppenheimer regala al suo professore. Da quanto risulta, è basato su un evento realmente accaduto mentre Oppenheimer studiava all’Università di Cambridge. Nolan rappresenta Oppenheimer con dolorosa simpatia come un ragazzo genio solitario, nostalgico di casa e ulteriormente isolato dai suoi coetanei per le sue visioni ossessive delle strutture alla base del caos brulicante che sembra costituire il mondo. Ha dimostrato di essere pietosamente consapevole della propria incompetenza in laboratorio, il che non corrisponde esattamente al tono superiore del vero Oppenheimer nel descrivere la sua educazione a Cambridge a un amico: «Sto passando un brutto momento. Il lavoro di laboratorio è una noia terribile, e io sono così cattivo che è impossibile sentire che sto imparando qualcosa… Le lezioni sono vili».
Nolan ha tratto il suo film da una biografia vincitrice del Premio Pulitzer che descrive Oppenheimer anche con tenera pietà, attribuendo l’avvelenamento alla sua ricorrente depressione. «Robert ha fatto qualcosa di così stupido che sembrava calcolato per dimostrare che il suo disagio emotivo lo stava travolgendo – scrivono i biografi Kai Bird e Martin Sherwin in American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer – Consumato dai suoi sentimenti di inadeguatezza e intensa gelosia, ha ‘avvelenato’ una mela con sostanze chimiche del laboratorio e l’ha lasciata sulla scrivania di Blackett».
Oppenheimer ha iniettato una mela con una sostanza tossica che forse non era letale come il cianuro rappresentato nel film, in cui Oppenheimer si vede mentre si sveglia la mattina al culmine del rimorso, scioccato dal proprio atto omicida. Torna di corsa nell’ufficio del professore per recuperare la mela dalla sua scrivania. Con suo orrore, uno dei suoi idoli – Niels Bohr – sta per dare un morso alla mela quando Oppenheimer gliela strappa via, dicendo senza fiato: «Wormhole!» [cioè «varco spazio temporale», Ndt].
Wormhole, capito? Un piccolo scherzo scientifico. Non è proprio quello che è successo nella vita reale. I resoconti sono un po’ vaghi, ma concordano sul fatto che in qualche modo la mela avvelenata di Oppenheimer non ha causato vittime, ma è stata comunque scoperta dalle autorità di Cambridge. Il padre di Oppenheimer dovette affrettarsi per evitare che il giovane Oppie venisse espulso, anche assicurando al figlio visite periodiche da uno psichiatra.
Il non così giovane Oppenheimer ha continuato a compiere ulteriori atti di sconsiderata arroganza. Secondo un’altra recente biografia di Oppenheimer, «da giovane professore in California, si è schiantato con la macchina mentre correva facendo a gara con un treno, un incidente che ha lasciato la sua ragazza priva di sensi. Suo padre si fece perdonare regalando alla giovane donna un quadro e un disegno di Cézanne».
Perché non includere la corsa temeraria contro il treno di Oppenheimer, molto più cinematografica, in questo film biografico? È altrettanto indicativo di ciò che verrà dopo come lo è l’incidente altamente simbolico della mela avvelenata (Oppenheimer ha dato a tutta l’umanità una mela avvelenata, ma non è riuscito a strapparla via questa volta). Il «donnaiolo» Oppenheimer si è dimostrato un disastro involontario ma comunque totale per le donne della sua vita.
Anche se, è vero, sembra attratto da donne oscure, depresse e prive di senso dell’umorismo che sono membri o ex membri del Partito comunista. Il suo amore di lunga data, Jean Tatlock (Florence Pugh) si suicida quando Oppenheimer pone fine alla loro lunga relazione a fasi alterne. La moglie alcolizzata e a lungo sofferente, Kitty (Emily Blunt), viene descritta come marcita in una meschinità sempre più angosciata dal matrimonio, nel corso del quale ha rifiutato ripetutamente la maternità nel modo più duro.
Ma non c’è modo di rendere gli aspetti più aspri, strani e incredibilmente arroganti della personalità di Oppenheimer conformi al ritratto che Nolan sta costruendo. Aspetterete a lungo prima che un film biografico americano faccia uno sforzo serio per raccontare la verità più dura. È un genere terribile per questo motivo. Gli aspetti più interessanti e perspicaci delle vite di persone famose sono quasi inevitabilmente censurati.
Attingendo alla pietosa magrezza di Cillian Murphy – che ha raggiunto attraverso una drammatica perdita di peso che difficilmente poteva permettersi – e alle possibilità più morbide del suo viso con la bocca rosa e gli occhi grandi, Nolan ci presenta un naif perennemente distratto, teneramente eccentrico che si lascia trasportare dalle proprie visioni ed entusiasmi finché non è troppo tardi per fare i conti con le conseguenze schiaccianti di ciò che ha fatto. Non ha molto senso, in particolare, la ben nota e imponente ambizione di Oppenheimer.
Potrebbe certamente aiutare a spiegare alcuni suoi comportamenti altrimenti sconcertanti, come la sua insistenza nel comparire davanti al tribunale riunito per rimuovere il suo nulla osta di sicurezza e offuscare la sua reputazione in forme potenzialmente fatali per la sua carriera titanica. Accadeva nell’era delle liste nere di McCarthy per partecipazioni al comunismo molto minori rispetto a Oppenheimer, per quanto frammentarie fossero le sue attività concrete. Nel 1954, le probabili conseguenze erano ovvie. Lo stesso Einstein avvertì Oppenheimer di non apparire e poi, quando Oppenheimer si rifiutò di ascoltare, lo congedò con un’osservazione tagliente al suo assistente: «Ecco un narr», che in tedesco significa «sciocco».
Il rifiuto di Oppenheimer di evitare l’udienza è attribuito al suo sincero patriottismo, ma sicuramente anche il suo senso di importanza personale e intoccabilità ne facevano parte.
Come dimostra il film, una volta ricevuti gli attacchi della commissione, Oppenheimer divenne morbido e cauto in un modo che fece infuriare sua moglie, che voleva che lui combattesse con forza contro le forze del governo statunitense che stavano dietro alla lista nera. Nolan lo rappresenta come una sorta di «martirio di Saint Oppenheimer», ma una certa quantità di grossolano carrierismo avrebbe potuto essere più evidente, come quando sua moglie grida: «Perché non combatti?».
Dopotutto, aveva molto da perdere. Come dimostra il film di Nolan, Oppenheimer nel dopoguerra era famoso, considerato il massimo scienziato d’America e forse del mondo, celebrato sulla copertina della rivista Time. La sua convinzione di poter aiutare a condurre la gestione delle armi nucleari da parte del governo lungo linee più umanamente attente lo fece davvero licenziare da Harry S. Truman in quanto «piagnucolone», ma il fatto è che in realtà veniva consultato dal presidente su ogni altra importante vicenda in corso.
Quello di Nolan è il tipo di film che presenta una battuta astoricamente drammatica e una pausa con brivido di orrore del pubblico quando qualcuno menziona il nome di «Los Alamos», la misteriosa località nel deserto dove è avvenuta la costruzione segreta della bomba atomica e il sito dei test di Oppenheimer. C’è esattamente lo stesso tipo di brivido antistorico in Via col vento (1939), quando Rhett Butler cita la battaglia che si sta preparando in una piccola città della Pennsylvania che potrebbe decidere il destino dell’intera Guerra civile, chiamata – pausa esasperata – «Gettysburg». È banale da morire, ma piace sempre alla folla.
C’è anche, più di una volta, l’intonazione della famosa citazione martellante di Oppenheimer dal testo indù della Bhagavad Gita, in reazione al suo lavoro sull’ultima arma di distruzione di massa: «Ora sono diventato morte, il distruttore di mondi». Nella vita reale, i detrattori di Oppenheimer hanno sostenuto che le sue citazioni pretenziose tratte da letture ampie anche se eclettiche erano tra i suoi tratti retorici più esasperanti, ma in questo film non possono esserci strabilianti sguardi umoristici su queste dichiarazioni.
Il che mi fa apprezzare ancora di più i meme mash-up selvaggi e divertenti di Barbenheimer che hanno caratterizzato lo stesso giorno di debutto incongruo ma stranamente compatibile con la Guerra Fredda tra Barbie e Oppenheimer. Nel mio preferito c’è un’immagine inquietante e distorta in bianco e nero del volto di Oppenheimer nella vita reale con la didascalia: ««Now I am become Barbie girl, in Barbie worlds».
L’ansiosa profondità nella gestione del tema oggetto del film fa parte della tipica strategia di Nolan di informare il mondo, e i membri dell’Accademia e altre entità premianti, dell’importanza dell’argomento scelto. Nolan sta promuovendo il film con la stampa dicendo che J. Robert Oppenheimer è «la persona più importante mai vissuta», quindi ne consegue logicamente che il suo film è una visione cruciale e che anche tutte le sue scelte di regia seriamente ponderate sono terribilmente importanti. I critici annotano le informazioni su queste scelte come pubblicisti e le riportano fedelmente a un pubblico debitamente impressionato, come la sorprendente decisione di Nolan di non mostrare le vittime giapponesi dei bombardamenti atomici. Invece, vediamo Oppenheimer che si limita a immaginare gli effetti della bomba sui membri del suo entusiasta pubblico statunitense.
Ma l’assoluta mancanza di realtà fisica data ai risultati del lancio di bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki – il rifiuto di ritrarre l’annientamento di massa – è uno degli effetti di aggiramento più sbalorditivi del film. È ridicolo pensare che il fatto che Oppenheimer si immagini, al sicuro negli Stati uniti, la pelle scorticata di alcune persone che stanno applaudendo il suo discorso e un corpo carbonizzato che gli impedisce il cammino mentre si allontana dal podio con marcia trionfale, sia in qualche modo «più efficace e agghiacciante».
Non mostrare in alcun modo memorabile o realistico le orribili conseguenze del più grande risultato di Oppenheimer è una strategia sicura, ancora una volta, per preservare la simpatia del pubblico per l’eroe, di cui generalmente hai bisogno se vuoi un grande successo. E Christopher Nolan vuole sempre un grande successo.
*Eileen Jones insegna alla University of California, Berkeley. Si occupa di critica cinematografica per JacobinMag, dal quale è tratto questo articolo. La traduzione è a cura della redazione.
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