
Il poeta rivoluzionario dei nostri tempi
La nuova antologia di Linton Kwesi Johnson è l'occasione per riscoprire l'artista che ha unito poesia e dub con forza militante e carica poetica
«All’inizio – ricorda Linton Kwesi Johnson – scrivere versi era per me un atto politico e la poesia un’arma culturale nella lotta di liberazione dei neri». Pochi autori contemporanei sono stati così schietti, o così capaci, nel posizionare la letteratura nel contesto della lotta viva dei movimenti di emancipazione, siano essi proletari, postcoloniali o, nel caso di Johnson, una combinazione dei due.
La raccolta storica di suoi scritti in prosa Time Come: Selected Prose (Picador, 2023) viene pubblicata per la prima volta quest’anno, e Johnson entra ancora una volta sotto i riflettori culturali con apparizioni all’Edinburgh Book Festival e in conversazioni al Southbank Centre di Londra. La sinistra può solo trarre vantaggio dalla rivisitazione e dal recupero della sua vibrante eredità tra gli scrittori più radicali.
A quasi cinquant’anni da quando divenne famoso come poeta dub e attivista, i versi di Johnson conservano il loro potere di testimonianza vitale dell’esperienza degli afrodiscendenti inglesi a partire dalla metà degli anni Sessanta. È un atto d’accusa ai molteplici modi coi quali in quest’arco di tempo la supremazia bianca s’è inserita nella vita britannica: dalla brutalità della polizia alla deportazione, alla violenza di strada e agli abusi verbali.
Leggere il lavoro di Johnson significa immergersi nella vita e nei tempi delle persone che hanno resistito e combattuto contro tutto questo. Come ha recentemente notato Kit de Waal, autrice ed editore militante e con una coscienza di classe, la poesia di Johnson documenta «la realtà contro cui la mia generazione si è scagliata negli anni Settanta e Ottanta»: le sue parole distillano le lezioni e le lotte del black power e dell’antifascismo in quegli anni, preservandoli per una nuova generazione di attivisti.
Dal talento letterario senza pari, l’indole rivoluzionaria di Johnson è radicata nelle tradizioni musicali e anti-imperiali delle comunità caraibiche di Londra. Nato e cresciuto in Giamaica, dove sua nonna, sebbene analfabeta, sapeva recitare a memoria passi della Bibbia di Re Giacomo, all’età di undici anni Johnson raggiunse sua madre a Brixton.
Nel 1970 si unì al Black Panther Party britannico. Il tempo trascorso tra i militanti antirazzisti, ha detto in seguito, si è rivelato un periodo formativo. Attraverso le biblioteche comunali e i gruppi di discussione politica «ha scoperto la letteratura nera. Scoprire libri scritti da autori neri sui neri è stata una rivelazione, perché nulla nella mia scuola nel Regno unito mi aveva dato il minimo accenno dell’esistenza di un simile corpus di testi».
Per gli adolescenti della generazione di Johnson, che «raggiungevano la maggiore età in una società razzista», il Black Panther Party era sia un’organizzazione politica che un centro di attività intellettuale. Le sue pubblicazioni e sessioni educative fondevano tradizioni caraibiche, asiatiche e diasporiche di lotta di classe e antimperialismo. La sua pratica combinava un internazionalismo espansivo con un’opposizione militante alla violenza della polizia, al razzismo giudiziario e all’emarginazione sistemica delle comunità nere. Forse la cosa più importante è che si è ritagliato uno spazio democratico in una metropoli spesso ostile alle comunità diasporiche che vi erano emigrate, fornendo manodopera e assistenza come parte degli ampi sforzi di ricostruzione che seguirono la Seconda guerra mondiale.
Per il giovane futuro scrittore, la rivelazione di W. E. B. Du Bois, The Souls of Black Folk, sembrava una sorta di «poesia in prosa», mentre Making of the English Working Class dello storico marxista britannico E. P. Thompson – integrato dalle opere di Vladimir Lenin, Mao Zedong e Marcus Garvey – contribuì a chiarire e contestualizzare la politica di classe e razza così come si palesava nelle strade del sud di Londra.
Informata da letture così diverse e composta in un ricco gergo giamaicano, la poesia di Johnson combina slancio vernacolare e coraggio politico, pulsa di ribellione proletaria e, in alcuni momenti, di una fedeltà visionaria alle persone e agli ambienti che lo hanno formato. Con accattivante spavalderia, «Wat About Di Workin’ Class?» analizza un panorama globale di disperazione economica e di peggioramento della disuguaglianza, quando «La crisi è all’ordine del giorno», prima di mettere in luce un senso di azione di massa: «Allora, che ne dici di working class, compagno presidente/ Che dire della working class/ Loro pagano il costo/ Portano la… L’insurrezione è all’ordine del giorno».
La lealtà di Johnson poggia fermamente e ferocemente sui lavoratori, come trasmette anche la sua poesia «Di Black Petty Booshwah» – lanciando una critica senza esclusione di colpi di «Dem wi’ side wid oppressah / W’en di goin’ get ruff». Abbiamo la percezione che la solidarietà collettiva per questo poetico insurrezionalista conta molto di più della mobilità verso l’alto di pochi privilegiati, o nelle sue parole: «Dem a search position / Aaf di backs of blacks».
Resistenza provocatoria
Johnson offre il senso del dinamismo storico, con una comprensione profetica di come la prolungata esperienza di sfruttamento e sottomissione possa alimentare la lenta fiamma della sfida. In questo senso il suo lavoro ricorda gli scritti liberatori di Frantz Fanon e James Baldwin, analisti della supremazia bianca e messaggeri di una resistenza epocale al suo regno. «La schiavitù era il nome e l’accumulazione di capitale il gioco», dice Johnson,
E nonostante siano trascorsi quattrocento anni, la violenza contro il popolo persiste come una luce nuda in una casa piena di dinamite. E il sangue non ha cessato di sgorgare, ma continua a scorrere. E la brutalità si intensifica sotto un nome diverso… Quindi, per i giamaicani oppressi, la storia non è un ricordo fugace del lontano passato, ma il peso insopportabile del presente.
Tuttavia, anche se il suo lavoro cerca di esaminare e articolare quel «peso insopportabile», Johnson apporta calore ed empatia alle sue visioni evocative. Il baritono ironico della sua interpretazione, sensibilità e umorismo morbido, i riferimenti incantatori dalla cultura rasta, la volontà di infondere le posizioni critiche e politiche con gioia linguistica: tutto ciò contribuisce alla forza e all’attrattiva dei suoi versi.
Come scrisse una volta di Bob Marley, i suoi «testi non possono essere letti senza essere ascoltati», rendendo ogni incontro con la sua poesia un’esperienza coinvolgente. «Loraine», ad esempio, un’irresistibile poesia d’amore, ha tutta l’intimità di un sussurro. «Ogni volta che piove penso a te», inizia, prima di scorrere dolcemente nella musica, nitida come un sogno.
«La mia intenzione – ha detto Johnson – era creare versi per l’occhio e l’orecchio, radicati in una tradizione caraibica dell’oralità». Intervistato nel popolare programma della Bbc Desert Island Discs, ha anche sostenuto che uno dei suoi obiettivi, quando si proponeva come poeta, era «sovvertire la lingua inglese» – una qualità che ha irritato un’istituzione letteraria patologicamente inospitale verso le vitalità e le precisazioni di un gergo così politicamente impegnato.
Questo antagonismo ha spesso una forte sfumatura razziale. Un profilo particolarmente eclatante del 1982 nello Spectator suggeriva che Johnson occupasse la posizione di una «figura fantasy» nella scena letteraria, paragonabile al personaggio del «negro delle serie tv, in parte spacciatore di droga della malavita, in parte nobile combattente contro l’oppressione della polizia», prima di notare che in effetti era «una persona mite e simpatica, un impiegato del Tesoro in tutto e per tutto… parlava con un accento gradevole ed educato, del tutto diverso dalla sua personalità poetica».
La sprezzante condiscendenza e il disinvolto pregiudizio di queste considerazioni erano indicativi del tenore dei tempi, durante il primo governo di Margaret Thatcher. Significativamente, sono arrivati poco più di un anno dopo che Johnson, insieme al collega attivista ed editore John La Rose, aveva contribuito a fondare il New Cross Massacre Action Committee, in segno di protesta contro l’attentato incendiario dei suprematisti bianchi a New Cross che nel gennaio 1981 causò la morte di tredici giovani neri (e molti altri furono feriti).
Per Johnson, «la risposta della polizia» al massacro, «aiutata e incoraggiata da settori dei media, con l’implicita approvazione del governo, è stata quella di usare il proprio potere per negare giustizia ai sopravvissuti all’incendio, alle persone in lutto e ai morti». E così, in uno sforzo senza precedenti, guidato dalla comunità, il comitato di base ha mobilitato ventimila manifestanti per la Giornata d’azione dei neri, sei settimane dopo l’atrocità, evidenziando l’insabbiamento da parte dei media e delle autorità di polizia e mostrando una potente risposta al razzismo endemico nella società inglese.
Johnson ha onorato anche le vittime dell’attentato. Viscerale e inquietante, la sua poesia «New Crass Massahkah» si aggira tra la festa in casa e le conseguenze del crimine, ondeggiando tra «Di movin / An a groovin / An dancin’ to di disco» prima di fermarsi di botto, mentre l’orribile fatto e il senso del crimine altera la scena: «But stap / Yu noh remembah / Ow di whole a black Britn did rack wid rage / Ow di whole a black Britn tun a fiery red».
Con la sua atmosfera di dolore prolungato e denuncia latente, l’incrollabile riconoscimento dell’insensibilità istituzionale e del malessere sistemico, la poesia anticipa «Ghosts of Grenfell» del rapper Lowkey, dedicata alle dozzine di persone uccise e ferite nell’incendio della Grenfell Tower nel 2017. Come ha sottolineato Johnson, tuttavia, il dolore del massacro di New Cross non era legato solo al fatto che i giovani neri erano stati il bersaglio di tale spaventosa violenza, ma che non vi era stata «nessuna manifestazione di compassione» sulla sua scia: nessuna «simpatia» nell’arena pubblica, «mai nessun messaggio di cordoglio da parte della Regina o del primo ministro».
L’odio che i giovani neri sopportavano per mano sia dei fascisti che della polizia – drammatizzato anche nella sua famosa poesia «Sonny’s Lettah» – era sintomatico di un disprezzo e di un’antipatia generalizzati verso la vita nera. «Non esisteva un’istituzione statale che non fosse piena di pregiudizi razziali – ha ricordato Johnson – La barra dei colori era viva e vegeta».
Lirismo del sangue e del fuoco
Uno dei punti di forza di Johnson come poeta è la sua capacità di combinare una visione analitica della società nel suo insieme con la vicinanza e l’autenticità dell’esperienza vissuta. Il suo lavoro, come osservò una volta della musica reggae giamaicana, è pieno di «un lirismo che contempla la sofferenza umana, i terribili tormenti, la fatica» della storia moderna, «un lirismo il cui immaginario è quello del sangue e del fuoco». Imbattersi in «New Crass Massahkah» significa sentire il terribile dolore delle persone in lutto per New Cross, ma anche vedere, con nuova chiarezza, le cause strutturali delle ingiustizie che hanno cercato di riparare.
Oggi, mentre socialisti e antirazzisti tentano di contrastare non solo la nociva rinascita della destra politica, ma anche i pericoli dell’equivoco liberale (sui temi della guerra, dell’austerità, della crisi climatica, dei diritti dei rifugiati), il persistente radicalismo di Johnson risplende come un faro. La sua visione retrospettiva di Thatcher – commemorata mestamente da alcuni politici del partito laburista come una «figura imponente», che ha collocato «i sindacati all’interno di un quadro giuridico adeguato» – è piacevolmente risoluta. Ha osservato:
A mio avviso, Thatcher era una spietata guerriera della classe dominante. . . . [Lei] sarà ricordata da molti neri della mia generazione come una bigotta e una xenofoba che ha alimentato il fuoco dell’odio razziale, dando sostegno ai fascisti che sono stati incoraggiati a compiere attacchi terroristici contro i neri e gli asiatici. Quando lamentava il fatto che la Gran Bretagna fosse stata invasa da culture aliene, era musica dolce per le orecchie del National fronte e del British national party.
Come suggeriscono tali osservazioni, la politica di Johnson rimane radicata nelle strade nelle quali si è formata. «Li combatteremo. Fascisti, e aggrediscono. Quindi noi contrattacchiamo. Poi li ricacceremo indietro», canta in «Fite Dem Back», un grido di battaglia antifascista che tiene insieme piglio disinvolto e intento militante: «Gli spaccheremo il cervello / Perché non c’è niente lì dentro».
Nel panorama politico contemporaneo, sempre più caratterizzato da attacchi reazionari e ritirate a sinistra, Johnson si distingue come la figura più rara: un poeta popolare e il radicale dei radicali. Nel suo lavoro e nella sua persona mantiene vive le molteplici correnti di lotta e resistenza, sofferenza e solidarietà, storia e musica, che hanno reso i movimenti di emancipazione del proletariato nero globale carichi di forza trasformativa come nei decenni successivi alla metà del secolo durante l’ondata di movimenti decoloniali e antisegregazionisti.
Con voce alta e parole lucide, l’instancabile disprezzo per le aggressione fasciste, le incrollabili accuse di connivenza istituzionale e al malgoverno delle élite, la sua profonda coscienza internazionalista, la sua passione e il suo spirito, i suoi versi aggraziati e umani, emerge dalla mischia come un figura letteraria essenziale: uno dei più potenti scrittori del nostro tempo.
*Ciarán O’Rourke è un poeta e attivista irlandese. Il suo libro più recente è Phantom Gang(The Irish Pages Press, 2022). Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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