Insieme siam partite
A tre anni dalla sua prima mobilitazione la marea transfemminista e intersezionale non accenna a fermarsi. Storia, bilanci e prospettive di Non Una di Meno
Questo testo è una dichiarazione d’amore. Come femministe, lottiamo quotidianamente per disinnescare l’amore tossico, fatto di possesso, denigrazione e violenza, per costruire altre intimità e reti di affetti: nuove relazioni d’amore. Come donne – o assegnate tali – abbiamo vissuto la violenza di genere sulla nostra pelle, e se adesso siamo qui a scrivere, a raccontare com’è nato il movimento femminista Non Una Di Meno (Nudm) in Italia e com’è esploso nelle piazze – insieme alle piazze di tutto il mondo – è proprio grazie a questo movimento, che ci ha dato la forza di nominare la violenza, e di prendere parola non come vittime, ma come femministe in lotta contro l’oppressione. Se lo facciamo insieme, è perché ci siamo conosciute a un corso di studi di genere a Parigi e poi, una volta tornate in Italia, ci siamo incontrate nei cortei e nelle assemblee di Nudm, siamo entrate a far parte della rete, e lì ci siamo ri-conosciute, nella sorellanza, nella lotta, nell’amore tra compagne che costruisce legami e connessioni più solide di qualsiasi legame di sangue.
L’8 ottobre 2016 eravamo ancora in Francia a completare il nostro master. Quel giorno a Roma si è svolto un incontro nazionale – organizzato da «Io Decido», rete femminista romana, Udi, storica associazione di donne e D.i.R.e, rete dei centri antiviolenza italiani – che avrebbe portato alla nascita del movimento femminista Nudm. A seguito del terribile assassinio di Sara di Pietrantonio, studentessa ventiduenne, avvenuto il 29 maggio 2016 a opera del suo ex fidanzato, le organizzazioni femministe italiane avevano deciso di mobilitarsi – sul modello di quelle argentine – per denunciare il carattere strutturale della violenza di genere che in Italia uccide una donna ogni tre giorni. Un «insieme variegato di forme e di scelte di vita, […] di associazioni, centri antiviolenza, collettivi femministi e queer, case delle donne e singole» ha dato il via alla prima grande manifestazione nazionale a Roma, in occasione del 25 novembre – giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne – e oltre 200 mila persone si sono riversate per le strade della capitale. Noi due ci siamo incontrate sotto uno striscione, ci siamo abbracciate in lacrime per tutte le emozioni che stavamo vivendo, ci siamo lasciate travolgere dalla marea.
Dove tutto è cominciato
Nudm è nata in un contesto di profonda crisi delle forme politiche tradizionali, partiti e sindacati. Il clima di sfiducia si è aggravato in particolare a causa dell’incapacità di dare risposte adeguate alla crisi economica che dal 2008 in avanti ha avuto effetti devastanti sulle fasce più vulnerabili della popolazione. Il fallimento delle forze liberali e socialdemocratiche nella gestione della crisi ha comportato un generale spostamento a destra dello spettro politico istituzionale, verso nuove proposte di matrice populista e nazionalista.
Queste forze politiche hanno utilizzato il tema dei femminicidi in modo strumentale, basandosi su un’accezione della violenza di genere come emergenza: in particolare hanno trattato la questione connettendola alla crescita dell’immigrazione, secondo la credenza che gli uomini non bianchi, soprattutto migranti, siano maggiormente portati a compiere violenza sulle donne. Non a caso le principali misure di intervento hanno riguardato le violenze ex post, in forma di inasprimento del piano giuridico e di militarizzazione dello spazio pubblico. Allo stesso tempo però i centri antiviolenza, le case delle donne, gli spazi femministi autogestiti e i progetti di prevenzione sono stati definanziati o costretti a chiudere.
L’accezione di donna su cui si basano le politiche delle forze neoliberali, populiste e nazionaliste, è quella delle donne come «riproduttrici della nazione», da tutelare in funzione del loro ruolo di madri e mogli, devote alla cura della famiglia. Questa osservazione fa riferimento alla nozione di femonazionalismo, sviluppata dalla sociologa Sara R. Farris per descrivere come la questione dei diritti delle donne sia stata impiegata dall’estrema destra e dai partiti neoliberali in Europa al fine di fornire una nuova giustificazione a delle prospettive politiche nazionaliste e razziste. Il disegno di legge Pillon, presentato dalla Lega nel 2019 durante il primo governo Conte, ha tentato di modificare il diritto di famiglia con l’intenzione di impedire alle donne di divorziare e di sottrarsi dai rapporti coniugali violenti. Inoltre, in questi ultimi anni, oltre alla storica presenza di medici obiettori di coscienza nelle strutture ospedaliere, in numerosi comuni, tutte le maggiori forze politiche hanno sostenuto mozioni contro l’aborto.
La lettura strutturale della violenza
In questo panorama politico Nudm ha aperto uno spazio di trasformazione e di possibilità. Si è dato subito un obiettivo concreto e ambizioso: la stesura di un piano femminista contro la violenza.
Nella volontà di affrontare la violenza in modo strutturale e non emergenziale Nudm ha creato otto tavoli tematici, ognuno dei quali tratta un punto specifico: percorsi di fuoriuscita dalla violenza, educazione, salute e diritti riproduttivi, comunicazione e media, lavoro e welfare, migrazioni e razzismo, piano legislativo e giuridico, sessismo nei movimenti, a cui più avanti si è aggiunto il tavolo sull’ecologia. Nel corso di assemblee nazionali partecipate da oltre mille persone, si sono alternati momenti di assemblea plenaria a momenti nei gruppi. Il risultato è stato un piano scritto dal basso, il cui obiettivo non è soltanto la fine della violenza contro le donne ma una trasformazione radicale di tutta la società.
Con un occhio sempre attento alle mobilitazioni femministe globali, Nudm si è strutturata in assemblee cittadine. Inizialmente presenti nelle città con una maggiore tradizione politica – Roma, Bologna, Milano, Napoli – in tre anni si sono moltiplicate in tutta la penisola: mentre scriviamo, possiamo contare una settantina di nodi territoriali. Le assemblee locali sono presidi femministi su tutto il territorio, luoghi di incontro, di scambio, di elaborazione e di messa in atto di pratiche, luoghi dove tante giovani si avvicinano per la prima volta alla politica. Il farsi rete fitta e capillare permette a Nudm di rafforzare la propria orizzontalità, e di tenere insieme – oltre la retorica – il piano locale e quello globale. Un esempio in questo senso, è la mobilitazione a Verona nel marzo 2019: nella città di Giulietta, era stato convocato il XIII Congresso mondiale delle famiglie, un ricettacolo di conservatori ultra cattolici appoggiati dall’estrema destra, con posizioni antiabortiste e antifemministe. A partire dalla proposta delle compagne di Verona, Nudm ha organizzato un corteo nazionale partecipato da oltre 100.000 persone e un’assemblea transnazionale, con ospiti da diversi paesi europei e sudamericani.
Transfemminista e intersezionale
Nudm ha introdotto una serie di elementi di rottura nel panorama femminista italiano, per molto tempo legato alla teoria della differenza sessuale e spesso orientato a praticare il separatismo come strumento politico. Nudm, invece, è fin dal suo inizio contaminata dalle riflessioni del transfemminismo che, pur riconoscendo le specifiche oppressioni materiali che colpiscono le donne, mette in discussione la centralità del soggetto politico «donna» come neutro e universale. Il genere stesso viene letto non come categoria naturale, ma come processo di costruzione sociale binario, gerarchico, produttore di violenza. Il soggetto del discorso di Nudm dunque sono le femministe (e le transfemministe): donne, lesbiche, frocie, trans*, intersex e tutte le soggettività che non si riconoscono nel binarismo di genere. A partire da questa consapevolezza, il movimento ha deciso di non essere separatista ma di lavorare in alleanza con gli uomini etero-cis.
Nudm ha scritto una pagina completamente nuova di storia del femminismo in Italia perché per la prima volta un intero movimento ha assunto una prospettiva intersezionale, tenendo conto delle interconnessioni tra le oppressioni di genere, razza e classe. Al contempo ci sono alcuni limiti nella lettura che ne fa Nudm: quello più evidente, è l’espunzione della parola «razza» dal piano femminista contro la violenza, eliminato a favore di termini più neutri come «origine geografica» o «etnia», considerati meno problematici. Certo, il movimento ha una solida riflessione sull’antirazzismo – in particolare sullo specifico posizionamento geo-politico dell’Italia all’interno della Fortezza Europa, sulla violenza generata dai confini, dal cosiddetto sistema di accoglienza e dal permesso di soggiorno. Su queste premesse Nudm ha partecipato alla costruzione e alla realizzazione di un corteo nazionale antirazzista alla frontiera franco-italiana di Ventimiglia il 14 luglio 2018. Allo stesso tempo, tuttavia, ci sono ancora delle difficoltà, sia sul piano pratico che teorico, a mettere in discussione la bianchezza che prevale nel movimento e i privilegi che ne derivano. Per questa ragione le persone razzializzate di Nudm hanno deciso di dotarsi di uno spazio non misto di azione e riflessione.
Lo sciopero e le pratiche di solidarietà femminista
Raccogliendo la proposta lanciata dal movimento femminista argentino, dal 2017 in avanti, Nudm ha organizzato ogni 8 marzo uno sciopero contro la violenza di genere. La prospettiva femminista con cui è stata adottata questa pratica ha portato a una ridefinizione del concetto e delle forme di «astensione dal lavoro», storicamente proposte dal movimento operaio. Nel momento in cui il soggetto centrale dello sciopero sono le donne, il lavoro da cui ci astiene non è solo produttivo, ma anche e soprattutto riproduttivo, svolto in forma gratuita e privata dalle componenti femminili dei nuclei familiari, oppure in forma retribuita in scuole, asili, ospedali, strutture educative, o domicili privati (soprattutto nel caso di donne migranti).
Su queste premesse lo sciopero non si configura soltanto come interruzione dell’attività lavorativa, ma come interruzione della sua femminilizzazione, razzializzazione e privatizzazione. Allo sciopero produttivo e riproduttivo si è affiancato anche lo sciopero dai/dei generi e dai consumi, come forme di lotta tese a mettere in pratica per un giorno un ribaltamento radicale della società, sintetizzato con la formula «8 punti per l’8 marzo».
Tutto ciò ha comportato un’organizzazione dello sciopero basato su forme condivise e collettive del lavoro di riproduzione sociale (ad es. la cura dei bambini, la preparazione dei pasti, lezioni in piazza) e quindi sulla solidarietà e l’alleanza tra soggetti normalmente posti in conflitto dalla divisione sessuale del lavoro. Insieme a spazi di condivisione delle esperienze, mutuo aiuto, autodifesa fisica e sindacale, laboratori sul tema della sessualità e della salute a cura delle consultorie, ma anche performance artistiche, occupazioni di nuovi spazi sociali: lo sciopero ha puntato alla riprodurre non più un sistema di oppressione ma un nuovo soggetto di lotta. Proponendo una trasposizione in forma collettiva del #metoo, Nudm ha rilanciato la pratica del mutualismo femminista attraverso l’hashtag #wetoogether, ovvero un modo per dire «è successo anche a tutte noi, e noi insieme saremo la forza per impedire che accada di nuovo».
Assumendo un carattere sindacale su un terreno storicamente trascurato o abbandonato dai sindacati tradizionali, Nudm ha inoltre supportato numerose vertenze sui posti di lavoro a composizione quasi o del tutto femminile. Il movimento ha sostenuto la denuncia pubblica di molestie sessuali; di licenziamenti mirati contro madri considerate un costo per l’azienda; ha rivendicato il diritto al reddito e al welfare come condizioni fondamentali per riuscire a sottrarsi alla violenza. Inoltre, il contrasto alle mozioni comunali antiabortiste è stato praticato attraverso l’utilizzo dell’immaginario delle «ancelle», reso celebre dal romanzo e dall’omonima serie The handmaid’s tale di Margaret Hatwood. Utilizzando l’abbigliamento imposto alle donne fertili nell’opera distopica di Hatwood, le attiviste di Nudm si sono presentate tra il pubblico delle discussioni comunali, indossando un mantello rosso, una cuffia bianca e lo sguardo rivolto verso il basso, e hanno impedito con la sola presenza efficacemente mediatizzata, la discussione e l’approvazione delle mozioni.
Un bilancio dei primi tre anni
A tre anni dalla sua prima mobilitazione, Nudm afferma una notevole capacità di tenuta che non ha precedenti nella storia recente del femminismo in Italia. Gli obiettivi che il movimento si è posto nel proprio piano programmatico sono ancora in realtà tutti da raggiungere, ma la pressione esercitata sulle istituzioni ha sicuramente avuto un ruolo nell’arginare il Disegno di legge Pillon, e ha costruito una forte legittimità attorno al lavoro dei centri antiviolenza, case delle donne, consultori e spazi femministi autogestiti. A questo si accompagna un nuovo proliferare di collettivi, spazi di aggregazione, laboratori, pagine online, pubblicazioni, e progetti sociali di matrice femminista. Anche le organizzazioni e gli spazi politici preesistenti al movimento oggi risentono di questa presenza, che ha dato un nuovo impulso alla presa di parola delle donne e delle femministe.
Tre anni di lavoro sul tema della violenza e il portato storico dell’esperienza dei centri antiviolenza, hanno permesso una riconcettualizzazione del lavoro di trasformazione sociale alla luce delle modalità in cui si svolgono i percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Si tratta in altre parole di andare oltre un approccio pedagogico da piccolo gruppo cosciente delle oppressioni in atto per mettere al centro i bisogni degli oppressi e delle oppresse, e di restituire loro, cioè restituirci a vicenda, la nostra capacità di mettere in pratica ogni giorno strategie di resistenza e sopravvivenza alla violenza.
Ciò che conta allora è lo spazio di possibilità che si apre nel momento in cui la rete ci permette di dirci l’un l’altra «Non sei sola», e trasformare questa consapevolezza in una nuova azione collettiva.
*Marie Moïse, attivista, è dottoranda in filosofia politica all’Università di Padova e Tolosa II, scrive di razzismo e colonialismo da una prospettiva femminista, con Alberto Prunetti ha tradotto Donne, razza e classe di Angela Davis (Alegre, 2018). Marta Panighel è dottoranda in Sociologia all’Università di Genova e attivista transfemminista queer. Si interessa di femminismi contemporanei, intersezionalità, razzismo e colonialismo. Insieme hanno tradotto Femonazionalismo di Sara R. Farris (Alegre).
Una versione in francese di questo articolo è in corso di pubblicazione all’interno dell’opera Féminismes dans le monde : 23 récits sur une révolution, Éditions Textuel
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