
La lotta per la vicepresidenza
Kamala Harris sembrava quasi sicura della nomina invece regna ancora il caos intorno al nome che il candidato del Partito democratico Biden deve scegliere come sua vicepresidente
Il 29 luglio scorso Politico pubblicava: «Il primo di agosto Joe Biden ha scelto Kamala Harris come compagna di corsa per le elezioni del 2020». Sebbene l’articolo venisse immediatamente modificato, lo screenshot originale ha fatto il giro dei social, facendo ipotizzare che Politico, come altri importanti organi di informazione, avesse avuto la notizia in anticipo per poter preparare il pezzo, ma con un embargo fino al primo agosto.
Kamala Harris e la presunta certezza della vicepresidenza
Se vera, la notizia non sarebbe stata poi così sorprendente, dato che le quotazioni di Kamala erano sempre più alte e che proprio il giorno prima era stata pubblicata una foto del taccuino di Biden con annotazioni positive scritte a mano sotto il nome della senatrice californiana. «Joe Biden’s notes: ‘Do not hold grudges’ against Kamala Harris» titolava il 28 agosto il Chicago Tribune, pubblicando la foto scattata da Andrew Harnick, e citando il primo appunto: «Non portare rancore». Era un evidente riferimento al primo dibattito presidenziale del 2019, quando Kamala aveva messo Biden alle strette sulla questione del bussing, il servizio dei bus scolastici atto a favorire l’integrazione attraverso lo spostamento di bambini e ragazzi di colore in scuole di zone diverse da quelle di residenza. «That little girl was me», gli aveva detto parlando di un’alunna di seconda elementare che usufruiva del bussing in California, proprio mentre Biden collaborava con due segregazionisti per impedire l’approvazione di una legge federale che lo rendesse obbligatorio a livello nazionale.
Tra i diversi i fattori che avevano contribuito a portare Kamala Harris in cima alla lista delle potenziali vp, l’identità razziale l’aveva avvantaggiata soprattutto nel testa a testa con Elizabeth Warren, altra professionista del doppiogiochismo essendo stata in buona parte responsabile della sconfitta del suo «amico» Bernie.
L’importanza della scelta di una vicepresidente nera
La scelta di una donna nera è diventata un’istanza quasi prioritaria soprattutto dopo gli eventi scatenati dalla morte di George Floyd. Naturalmente mai nemmeno per un secondo Biden e il suo entourage si sono sognati di considerare le candidature di donne progressiste di alta caratura morale ed esperienza come Nina Turner, Barbara Lee o Pramila Jayapal, a dispetto della pantomima della task force con i progressisti messa in piedi per fingere di collaborare sulla stesura della piattaforma democratica. Tuttavia altre democratiche «centriste» non bianche erano entrate nella rosa delle candidate, come ad esempio Stacey Abrams, l’ex-concorrente per la carica di governatore della Georgia, che a torto si era quasi convinta che sarebbe stata la prescelta.
Nel giugno di quest’anno, sferrando un bel sinistro alle sue colleghe bianche, Amy Klobuchar (dimessasi dalla corsa presidenziale con Pete Buttagieg per sostenere improvvisamente Biden proprio a due giorni dal Supertuesday del 3 marzo che avrebbe segnato l’inizio della fine di Bernie Sanders), aveva personalmente consigliato Biden di andare in quella direzione: «Credo davvero, come ho detto al vicepresidente ieri sera quando l’ho chiamato, che penso che questo sia il momento di mettere una donna di colore su quel ticket». Klobuchar, tra le preferite di Biden, aveva ormai perso ogni possibilità di essere scelta quando si era scoperto che nel 2006 proprio lei, allora procuratrice di contea nel Minnesota, non aveva perseguito Derek Chauvin, il poliziotto assassino di George Floyd, coinvolto all’epoca in una sparatoria mortale.
Nel rush finale salgono le quotazioni di Susan Rice e Karen Bass
Sta di fatto comunque che dopo il falso annuncio di Politico, svista o non svista che fosse, la deadline del primo agosto data da Biden per la scelta della sua compagna di corsa è slittata al giorno 10, ributtando Kamala Harris nell’incertezza.
I giochi, già difficilissimi di per sé nell’elezione più strana della storia statunitense e con un candidato presidente che, se eletto, molto probabilmente non riuscirà a portare a termine neppure il primo mandato, si sono infatti riaperti, ridando forse qualche speranza anche a Elizabeth Warren. Ma soprattutto portando in pole position le candidate di colore Karen Bass e Susan Rice e, come sottolinea la Cnn, in modo non propriamente pacifico: «Nelle più di due dozzine di interviste di questi giorni con la Cnn, membri del Congresso, donatori di punta del partito democratico, alleati di Biden e altre persone connesse al processo per la scelta della vicepresidenza hanno detto che la deputata Karen Bass, la sessantaseienne presidente del Black Caucus, ha guadagnato molto terreno nell’ultima fase della ricerca. Tra furiose speculazioni e operazioni lobbistiche sulla storica decisione di Biden, anche la senatrice californiana Kamala Harris e la ex-consulente per la sicurezza nazionale di Barack Obama Susan Rice sono considerate tra le candidate più serie».
Se Susan Rice, classe 1964, era già nella cerchia ristretta delle potenziali vp, l’interesse crescente verso Karen Bass, classe 1953, è una vera sorpresa. Susan Rise vanta un’esperienza politica e diplomatica. Ex-ambasciatrice degli Stati uniti all’Onu, nella seconda amministrazione Obama-Biden è stata scelta per «svolgere un ruolo importante nel difendere la politica estera di Obama, particolarmente in Siria». Con Susan Rice vicepresidente, Biden si sentirebbe al sicuro e a suo agio, soprattutto dal punto di vista dei rapporti personali, della fiducia e della fedeltà di una persona amica con la quale ha lavorato a stretto contatto per quattro anni.
Karen Bass, medico, ex-speaker dell’Assemblea della California negli anni della crisi del 2008, e dal 2011 deputata a Washington, dove è ora a capo del Black Caucus del Congresso, vanta invece esperienze politiche che, come lei stessa dichiara, «mi hanno rafforzata nella capacità di affrontare una crisi economica», mentre «aver lavorato in pronto soccorso in situazioni tra la vita e la morte mi ha insegnato a destreggiarmi anche in momenti di crisi sanitarie». Pur non avendo «la rete di connessioni nazionali che hanno le sue principali rivali», come si legge nell’articolo «Karen Bass rises as sleeper pick to be Biden’s vp», la deputata californiana «potrebbe essere vista, allo stesso modo di Biden, come una figura di transizione nel Partito democratico, in quanto al momento non sembra interessata a conquistare la Casa Bianca quando Biden lascerà l’incarico». Bass viene anzi definita la «anti-Kamala», proprio alludendo all’ambizione presidenziale che animerebbe Harris, argomento che in questi giorni sembra essere al centro del controverso dibattito sulla scelta.
Kamala Harris perde quota
Per «aver perso lo stato di favorita nella tumultuosa ricerca della vp di Biden», come recita un pezzo di Business Insider, Kamala Harris deve ringraziare il particolar modo Chris Dodd, uno dei consulenti di fiducia di Joe Biden. Tutti i media hanno infatti dato grande rilievo al racconto di Dodd relativo a un suo incontro con Harris, nel quale lei non avrebbe mostrato alcun «rimorso» per la faccenda del bussing e anzi gli avrebbe detto che quell’attacco faceva solo parte del gioco della politica. Ma il problema dell’affidabilità di Harris è la principale preoccupazione di Dodd, «della cerchia più ristretta di Biden e di alcuni donatori» che non sanno «se Harris possa essere una vicepresidente fidata per Biden o se invece metta le sue ambizioni politiche personali davanti a tutto».
Per il momento il caos sembra dunque regnare sovrano, anche perché sia Susan Rice sia Karen Bass hanno nei loro curriculum dei fatti che potranno essere ampiamente sfruttati dai loro avversari nei dibattiti pre-elettorali e con cui i media repubblicani potranno andare a nozze. Il commentatore più autorevole e famoso di Fox News, Tucker Carlson, è già partito all’attacco di uno dei punti più deboli di Susan Rice, la crisi di Benghazi, mentre il problema più serio per Karen Bass riguarda i passati apprezzamenti per Fidel Castro e per Scientology.
Comunque una soluzione dovrà per forza arrivare nei prossimi giorni, almeno in tempo per preparare i materiali pubblicitari prima della Convention Nazionale Democratica di Milwaukee, Wisconsin, in programma dal 17 al 20 agosto.
*Elisabetta Raimondi è stata docente di inglese nella scuola pubblica. È attiva in ambito teatrale ed artistico, redattrice della rivista Vorrei.org per la quale segue da tre anni la Political Revolution di Bernie Sanders.
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