La voce degli uncommitted
Un dialogo a più voci con gli attivisti palestino-americani di Listen to Michigan, il movimento che ha marcato il dissenso della base verso Biden e il suo atteggiamento sulla guerra a Gaza
Che differenza c’è tra i bambini ucraini con la pelle bianca e gli occhi azzurri e i bambini palestinesi dai colori scuri? Nessuna, eppure il governo americano con i soldi delle tasse di noi contribuenti salva i bambini ucraini mentre uccide quelli palestinesi. È una contrapposizione che rende il nostro dolore ancora più forte.
Sono parole di Abraham Aiyash, figlio di immigrati yemeniti e deputato democratico al Congresso del Michigan, ascoltato nel corso di un breve ma intenso viaggio a Detroit per le primarie democratiche e repubblicane del 27 febbraio che hanno riservato inattesi colpi di scena.
Il cambio di direzione, perlomeno nell’elettorato democratico, è avvenuto il 6 febbraio con la nascita del movimento dal basso Listen to Michigan – Vote Uncommitted, che ha raccolto non solo le migliaia di arabi e musulmani americani di Dearborn e Hamtramck – cittadine satelliti di Detroit in cima alla classifica statunitense per la presenza di tali comunità – ma una rappresentanza multietnica, multireligiosa, multigenerazionale e un’enorme partecipazione giovanile come non si vedeva dai tempi d’oro di Bernie Sanders. In meno di tre settimane il movimento – guidato dalla palestino-americana Layla Elabed, sorella minore di Rashida Tlaib e combattiva quanto lei, e dal portavoce Abbas Alawieh, anche lui palestino-americano, ex-capo staff a Washington prima per la stessa Tlaib e poi per Cori Bush – è riuscito a ottenere 101.000 voti uncommitted, cioè un voto non schierato. Barrando quella casella, presente sia sulla scheda democratica che su quella repubblicana, l’elettore dichiara l’intenzione di voto per il partito scelto senza però esprimere preferenze per un candidato, mandando dunque chiari messaggi che possono essere diversi di volta in volta. In questo caso il messaggio mandato a Biden costituisce un ammonimento preventivo sul comportamento che il presidente Usa terrà nei confronti della guerra di Gaza.
Di questo abbiamo discusso con Layla Elabed, Abbas Alawieh e il deputato Abraham Aiyash in due riprese, il 25 e il 28 febbraio.
Come, quando e perché è nato questo movimento e qual è l’importanza sia del voto uncommitted che avete chiesto agli elettori democratici, sia del Michigan più in generale?
Layla Elabed: La campagna Listen to Michigan – Vote Uncommitted è stata lanciata lo scorso 6 febbraio 2024, sulla base della frustrazione per la complicità di Biden, della sua amministrazione e del Partito democratico nel genocidio dei Palestinesi di Gaza e per l’incontrollato e incondizionato finanziamento che il nostro governo dà a Israele usando i soldi dei contribuenti americani. Il nostro movimento è un’emanazione di quello nazionale e globale per il cessate il fuoco e si è concentrato sul Michigan perché come swing state ha dimostrato di avere un ruolo decisivo nell’elezione del presidente e perché abbiamo la più alta concentrazione di abitanti di origine araba e religione musulmana. E poi, cosa più importante per la possibilità di votare uncommitted. Quando nel 2008 Barack Obama non figurava sulla scheda del Michigan, la sua campagna riuscì a mobilitare gli elettori giovani e coloro che stavano dalla sua parte a farlo, cosa che mise in grande imbarazzo la campagna elettorale di Hillary Clinton. Ora stiamo usando lo stesso strumento democratico, lo stesso mezzo.
Nel 2016 Bernie Sanders vinse il Michigan nelle primarie, mentre poi Hillary Clinton, che snobbò quello stato nella campagna per le elezioni generali, lo perse contro Trump. Nelle primarie del 2020, che si tennero in aprile in piena pandemia, fu Biden a vincere, anche perché ormai quasi tutti i candidati si erano ritirati per dargli il loro supporto. Alle elezioni generali Biden ebbe la meglio su Trump per circa 150.000 voti. Per quale motivo Listen to Michigan si è prefissato l’obiettivo di circa dieci-undicimila voti?
Layla Elabed: Proprio in riferimento alle elezioni generali del 2016 quando in Michigan Donald Trump batté Hillary Clinton per circa 11.000 voti. Quattro anni fa l’affluenza delle nostre comunità diede a Biden quella vittoria in Michigan che lo condusse direttamente alla Casa Bianca. Così da un punto di vista prettamente elettorale il presidente non potrà evitare di tener conto del voto del 27 febbraio e riflettere sul fatto che per vincere deve assolutamente recuperare l’elettorato che lo ha sostenuto nel 2020. Un elettorato direttamente coinvolto da quello che sta succedendo ora, ma appoggiato in modo molto forte anche da comunità ebraiche, come il gruppo Jewish Voice for Peace, comunità cattoliche e di altre fedi, così come da persone non credenti e dai movimenti universitari. Abbiamo il supporto di Our Revolution, il gruppo sandersiano nato nel 2016, dei Democratic Socialists of America, di due ex deputati di rilievo come Andy Levin, ebreo ed ex-presidente di una sinagoga, e Beto O’Rourke, e di molte personalità in vista, primo fra tutti Michael Moore che da Michigander e attivista è stato uno degli organizzatori del nostro movimento.
Come prevedibile c’è già chi vi accusa di essere dei traditori, di compromettere la democrazia e del fatto che il vostro voto manderà Trump alla Casa Bianca. D’altra parte c’è anche chi sostiene che alla resa dei conti abbasserete la testa e voterete per Biden, se non altro per non vedere ripristinato il Muslim Ban che Trump mise nel 2017 e che fu poi rimosso da Biden. Sapete già quale sarà il vostro orientamento nel caso in cui non otteniate il cessate il fuoco?
Layla Elabed: Personalmente io non so cosa farò a novembre, ma voterò secondo coscienza così come faranno le persone che hanno votato uncommitted. Non siamo un blocco monolitico, ma quello che sappiamo è che finché Biden non proclamerà un cessate il fuoco permanente non potrà recriminare la mancanza del sostegno necessario per vincere. Se alla Casa Bianca dovesse di nuovo finire Trump saranno solo Biden, la sua amministrazione e il Partito democratico a dover considerare sé stessi responsabili, perché l’80% dei democratici e il 66% degli americani la pensa come noi sulla necessità di porre fine a questo genocidio. Quindi se Biden non darà ascolto alla base del suo partito sarà solo colpa sua.
Abbas Alawieh: A chi ci accusa di compromettere la democrazia rispondiamo che siamo noi a vedere la compromissione della democrazia quando il volere della gente è totalmente ignorato dato che, a fronte della maggioranza della popolazione che vuole la fine di questa guerra, nel Congresso c’è solo il 4% a favore di queste richieste. Il fatto è che molti di coloro che detengono il potere politico nel nostro paese sono totalmente a favore della guerra. È solo attraverso il voto che si può mostrare il volere della gente. Io sono arrivato qui da bambino dopo essere sfuggito alle bombe israeliane sulla Palestina e siamo in tanti a Hamtramck e a Dearborn, che è la capitale araba d’America, a condividere questa esperienza. Sappiamo che cosa vuol dire stare sotto le bombe lanciate dagli Stati uniti, ne sentiamo ancora l’odore fin dentro le ossa, non sono cose che si dimenticano. È proprio per le esperienze che abbiamo vissuto e perché crediamo nell’America che Biden deve ascoltarci.
Quali strade avete tentato prima di arrivare all’idea di votare uncommitted?
Abbas Alawieh: Abbiamo fatto tutto quello che potevamo democraticamente fare. Quando a ottobre abbiamo cominciato a organizzare il movimento nazionale per chiedere a Joe Biden di smettere di finanziare il genocidio, ci è stato detto, da parte di persone totalmente accecate dalle questioni elettorali personali, che dovevamo tacere e lasciare che Biden vincesse le elezioni. Noi abbiamo risposto che novembre 2024 era troppo lontano e che i bombardamenti dovevano finire subito. Ma non è successo niente. Nei mesi successivi abbiamo continuato a chiedere le stesse cose e ogni volta ci è stato detto di stare zitti, perché altrimenti avremmo potuto compromettere Biden. Abbiamo manifestato, chiamato i nostri rappresentanti, mandato email, siamo andati sui social, una nostra delegazione guidata dal deputato Aiyash è andata alla Casa Bianca. Niente. E alla fine ai primi di febbraio è arrivata l’idea di Listen To Michigan per votare uncommitted. So bene quanto sia pericoloso Trump. Come assistente di un membro del Congresso ero a Capitol Hill il 6 gennaio durante l’assalto dei suprematisti bianchi che lui aveva incitato e non voterei mai e poi mai per lui. Ma è proprio perché non vogliamo di nuovo Trump alla Casa Bianca che Biden deve assumere un approccio diverso, perché il suo supporto a Netanyahu gli sta facendo perdere il Michigan.
Deputato Aiyash, il dicembre scorso lei ha partecipato allo sciopero della fame organizzato a Washington dal movimento globale per il cessate il fuoco. Successivamente si è anche recato alla Casa Bianca dove ha incontrato funzionari di alto livello che hanno quotidianamente rapporti con il presidente, uno dei quali era il diretto consulente di Biden per gli affari del Medio Oriente. Come sono andate le cose e che cosa è successo poi?
Abraham Aiyash: Il confronto è stato molto teso e non un semplice scambio di cortesie. Ma l’amministrazione non si deve essere preoccupata particolarmente, infatti nessuno è andato a consultare le altre principali comunità palestinesi dopo Dearborn, che si trovano una a Chicago e un’altra a Paterson nel New Jersey. Si sono preoccupati solo con Listen to Michigan, come dimostra il fatto che due giorni dopo il lancio del movimento Biden ha mandato una delegazione per parlare con noi. Non che si siano poi visti risultati concreti come ha dimostrato la successiva approvazione del Congresso di altri 95 milioni di dollari di spese militari per Ucraina e Israele, ma quello è stato davvero il primo segno della loro paura.
Qual è la sua posizione su Hamas?
Abraham Aiyash: Nessuno di noi celebra la morte di persone e di bambini innocenti che Hamas ha compiuto il 7 ottobre. È abominevole, inaccettabile e ha oltrepassato la linea di qualsiasi posizione morale sulla guerra e sull’umanità. Ma da quel momento chi è stato a sparare e a lanciare senza tregua missili e bombe su uomini, donne e bambini innocenti a Gaza? In questo momento non c’è nessun altro da incolpare se non coloro che stanno bombardando i palestinesi. Israele sente di essere più vicino alla pace ora che il 90% delle infrastrutture civili di Gaza è stato distrutto, due milioni di persone sono state sfollate, più di 30.000 uccise e circa 100.000 disperse? Quante persone devono morire ancora per arrivare alla pace e sconfiggere Hamas? Non c’è giustificazione alcuna per l’uccisione di gente innocente e non mi interessa chi la sta compiendo. Non c’è giustificazione. Punto. E così chiediamo ai nostri leader di comportarsi con la stessa chiarezza e compassione con cui si sono comportati con l’Ucraina. Non possiamo riportare in vita le oltre 30.000 persone uccise ma possiamo fare in modo che Biden ne impedisca l’uccisione di altre 30.000.
Conoscendo il Congresso e anche il Partito democratico, che ha al suo interno membri pesantemente finanziati da gruppi della destra israeliana come l’Aipac e la sua versione fintamente democratica Dmfi [Democratic Majority for Israel], che speranza si può riporre in queste istituzioni? A ottobre, quando Rashida Tlaib è stata censurata dal Congresso per il discorso tenuto a difesa dei palestinesi di Gaza, ai voti repubblicani si sono aggiunti quelli di 22 democratici e se diversi altri non l’hanno fatto è stato solo per una questione di convenienza calcolata con il bilancino.
Abbas Alawieh: Il potere dell’industria militare e dei soldi che elargisce è fortissimo e così anche quello dei gruppi di destra pro-Israele. Ma c’è anche tanto razzismo. Non molti giorni fa un repubblicano del Congresso ha invocato l’uccisione totale dei palestinesi di Gaza senza subire censure. Precedentemente altri membri del Congresso avevano chiesto che Gaza venisse completamente spianata e trasformata in un parcheggio, e nemmeno loro sono stati censurati. Rashida Tlaib invece lo è stata perché come americana-palestinese è una minaccia per quei razzisti che non sopportano neppure l’esistenza dei palestinesi. Quindi non ho alcuna speranza che il Congresso o il Presidente possano fare la cosa giusta per conto loro. Tuttavia ho fiducia nella pressione esterna della gente, nella forza del movimento che sta crescendo sempre più. Abbiamo già ricevuto diverse richieste di aiuto e di consigli da parte di organizzazioni di altri Stati, e ora, dopo il voto uncommitted, siamo letteralmente sommersi di email e siamo quindi sicuri che il movimento crescerà sempre più. Per il momento noi ci siamo già assicurati due delegati alla Convention democratica generale di Chicago. Mancano ancora tanti stati, vedremo cosa succederà.
*Elisabetta Raimondi è stata docente di inglese nella scuola pubblica. È attiva in ambito teatrale ed artistico, redattrice della rivista Vorrei.org per la quale segue dal 2016 la Political Revolution di Bernie Sanders.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.