Marco Bentivogli: il sindacalista che piace alle imprese
Prima le convergenze con Marchionne, poi con Renzi e Calenda, infine con i quotidiani della destra liberal. Il sindacalista della Fim Cisl è il nuovo interprete della cultura che ha allargato disoccupazione, precarietà e povertà
Nel tempo della crisi delle relazioni industriali e dell’arretramento del ruolo politico del sindacato nella vita democratica dei paesi occidentali, Marco Bentivogli incarna il profilo del sindacalista “moderno”, interprete di una cultura dell’integrazione degli interessi dei lavoratori con quelli dell’impresa. Adattamento e cooperazione sono le due parole d’ordine che ispirano la strategia sindacale del segretario generale della Fim (Federazione Italiana Metalmeccanici) Cisl. Parole che servono a tracciare un confine netto tra i sindacati “moderni” attenti allo sviluppo del paese e i sindacati “antagonisti” affezionati alla cultura del conflitto sociale e quindi estranei all’interesse generale. Lo scontro con la Fiom diventa negli anni il terreno privilegiato su cui Bentivogli costruisce la propria notorietà negli ambienti televisivi e nella carta stampata, divenendo nel tempo un punto di riferimento per le forze politiche interessate a indebolire l’autonomia del sindacato italiano. Dal Foglio al Sole 24 ore i principali quotidiani della destra liberal lo eleggono a nuovo interprete del sindacalismo italiano.
La Cisl, i metalmeccanici e il rapporto con Fca
La carriera sindacale di Bentivogli si svolge tutta dentro le fila della Cisl. Dai primi passi come coordinatore dell’area dei lavoratori under 35 sino alle prime cariche di segretario provinciale del sindacato dei metalmeccanici. Dal 2014 diventa segretario nazionale della Fim Cisl, carica che ricopre attualmente dopo essere stato confermato il 9 giugno del 2017. Sale alla ribalta della cronaca per il rapporto privilegiato intrattenuto con la proprietà di Fca e con l’ex Amministratore Delegato Sergio Marchionne durante gli anni turbolenti della crisi economica che colpirà due stabilimenti storici del gruppo piemontese: Pomigliano e Termini Imerese. Sono gli anni in cui la più importante industria italiana decide di imprimere un colpo durissimo alle organizzazioni sindacali, culminato con l’uscita dell’allora Fiat da Confindustria e dal contratto nazionale. Una decisione unilaterale che apre una fase nuova nella storia delle relazioni industriali, avviando un processo di americanizzazione del modello di rappresentanza sindacale. Da un rapporto negoziale riconosciuto nelle forme del contratto nazionale si passa ad un modello “padronale”, in cui l’impresa si erge ad un’unica e insindacabile autorità nello stabilire le regole del gioco e le condizioni di lavoro. Al sindacato non resta che accettare una funzione subalterna, di semplice ratifica delle decisioni prese dalla proprietà, su cui non ha più alcun potere di condizionamento. Chi non si rassegna e prova a denunciare il nuovo clima autoritario imposto dal fronte padronale viene tacciato di andare contro gli interessi del paese. E’ il caso della Fiom e del suo allora segretario nazionale, Maurizio Landini, che viene indicato dallo stesso Bentivogli come esempio di sindacalista da salotto, espressione di un mondo che non esiste più, simbolo di un passato da archiviare. La crisi economica è lo sfondo per un attacco durissimo ai diritti collettivi e alla democrazia sindacale. In questo scenario prende forma il nuovo contratto di primo livello del gruppo Fiat spa, senza la firma della Fiom, che inasprisce le condizioni di lavoro, attraverso l’intensificazione dei turni, la riduzione delle pause, la variabilità degli aumenti salariali alla crescita della produttività aziendale. Un modello che comporterà negli anni una contrazione vistosa dei salari dei dipendenti del gruppo Fca. Da uno studio della Fiom si evince che un operaio dipendente del gruppo guadagna circa 300 euro in meno di un collega con lo stesso inquadramento impiegato in un’azienda aderente al contratto nazionale di categoria. Una disfatta del sistema Fca che pare non scalfire le granitiche certezze di Marco Bentivogli, che nel luglio scorso in un articolo sul Sole 24 ore si lancia in un’appassionata difesa del sistema di relazioni industriali edificato dal gruppo. Con toni che trasudano un rancore mai sopito, Bentivogli si scaglia in una violenta invettiva contro la Fiom, rea di aver ostacolato i prodigiosi scenari disegnati dalla proprietà di Fca. Una prova tra le più intense ed appassionate di difesa dell’interesse dell’impresa, delle sue prerogative e del suo potere illimitato.
Il sindacato e la politica secondo Bentivogli
Ma è nel rapporto con la politica che Marco Bentivogli dà un saggio del suo contorsionismo e della sua innegabile abilità. L’impeto riformatore di Matteo Renzi, la sua retorica “nuovista”, le sue continue provocazioni contro la Cgil e la Fiom – tra cui il celebre riferimento al gettone nell’iphone – trovano nel segretario nazionale della Fim Cisl un alleato organico. Finalmente Bentivogli trova a Palazzo Chigi la spalla che ha trovato in Fca, un leader decisionista, allergico alla mediazione, spavaldo e abbastanza spregiudicato da archiviare definitivamente gli ultimi brandelli di un rapporto ormai logorato, quello tra gli eredi del partito comunista e il più grande sindacato del movimento operaio. Non è un caso che una parte della carta stampata dipinge Bentivogli come l’interprete più audace del nuovo corso imposto dal presidente del Consiglio. Fioccano articoli che ne esaltano la capacità di adattamento allo spirito del tempo, la sua distanza da un sindacato ostaggio delle vecchie nostalgie del Novecento.
Il conflitto quotidiano che Renzi apre con la Cgil e che culmina con l’approvazione del Jobs Act apre uno spazio politico promettente per Bentivogli. Il segretario della Fim Cisl non si fa attendere e si presenta in grande stile alla kermesse organizzata dal leader del Partito Democratico, Matteo Renzi. E’ nel palcoscenico saponato della Leopolda, luogo eletto alla selezione del nuovo ceto politico renziano che Bentivogli l’8 novembre 2016 dà un concentrato del suo livore contro la Fiom. Suggellando con quella presenza il consenso del suo sindacato alle politiche del governo in tema di lavoro, Bentivogli apre il suo intervento con il suo evergreen: davanti a un sindacato che vuole aiutare il paese ce n’è uno che lo vuole fermare, con la testa rivolta al passato. “E allora non si può fare a meno del sindacato, ma di una parte del sindacato si può fare a meno” (qui il video integrale dell’intervento). Il bersaglio è ancora una volta la Cgil e la Fiom che continua a crogiolarsi su “eroiche sconfitte”, rivendicando un punto di vista autonomo in una società divisa tra interessi confliggenti. Il motto è “siamo tutti sulla stessa barca”, il problema è esclusivamente di chi non ha spirito di adattamento. La cultura della cooperazione con l’impresa e con il governo si trasforma in fedeltà, in un patto dal sapore corporativo, funzionale a dividere il mondo del lavoro e acquisire un canale privilegiato con chi comanda. In questo scenario si colloca il rapporto privilegiato che Marco Bentivogli intrattiene con l’allora ex ministro per lo sviluppo economico del governo Renzi, Carlo Calenda. Tra i due matura un’affinità politico-culturale e una certa sintonia caratteriale. Si passa dalla convergenza sulle piattaforme di politica economica alla scrittura di editoriali a doppia firma. Sul quotidiano di Confindustria, il Sole 24 ore, cominciano a comparire lunghi articoli in cui si celebra il ruolo taumaturgico del piano di investimenti – chiamati enfaticamente Industria 4.0 – sullo sviluppo del tessuto produttivo italiano. Nelle sue comparsate televisive Bentivogli non si sottrae a incensare il contributo fondamentale del ministro Calenda nel proiettare l’Italia al livello delle più potenti economie avanzate. Eppure, i risultati ancora una volta cozzano con la retorica immaginifica del duo Bentivogli-Calenda. Industria 4.0 si trasformerà in un grande regalo fiscale alle imprese e sarà incapace di incidere sul paesaggio economico nazionale. Il super ammortamento che consente alle imprese di portare dal 40% al 150% il costo deducibile su tutti i beni strumentali acquistati (macchine, software) avrà una ricaduta positiva unicamente per le tasche degli imprenditori, che potranno contare su un risparmio netto sugli investimenti futuri. L’indagine Desi (Digital Economy and society index) colloca l’Italia al 29esimo posto nel novero dei paesi europei con competenze digitali, davanti solo a Romania, Bulgaria e Grecia. Un’altra sconfitta per Bentivogli.
Vecchi contro giovani per salvare il potere disciplinare dell’impresa
La sconfitta elettorale del Partito democratico, il 4 marzo, segna una battuta d’arresto nel protagonismo politico del segretario della Fim Cisl. I tentativi dell’amico Calenda di conquistare un ruolo di primo piano nella crisi del PD falliscono. I quotidiani nazionali ironizzano sui goffi inviti a cena dell’ex ministro dello sviluppo economico, disertati dai vertici del suo stesso partito. Quello che sembrava un matrimonio perfetto si trasforma in un incubo. La risposta di Bentivogli non si fa attendere. Il repertorio non cambia. Il nemico a cui indirizzare l’ira è ancora lo stesso, la Cgil, rea di aver aperto le porte del governo al populismo. In un’intervista rilasciata il 31 ottobre al Foglio dichiara: “il populismo sindacale è l’ostetrica del populismo politico”. La Cgil diventa l’imputata numero uno del crollo del partito democratico. Sono parole di fuoco quelle scagliate da Bentivogli contro l’iniziativa referendaria per l’abolizione dei voucher e per il ripristino l’art. 18. “L’abolizione dei voucher ha comportato drammi ad alcune persone”. La memoria dell’unità dei lavoratori metalmeccanici culminata nel 1973 con la nascita della Flm (Federazione dei lavoratori Metalmeccanici) a opera di tre grandi dirigenti sindacali: Bruno Trentin, Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto viene definitivamente accantonata sull’altare dello scontro permanente, cercato e voluto ostinatamente da Bentivogli. Se la Cgil è rea di aver alimentato il clima di dissenso contro il governo sono le politiche sul terreno pensionistico e le timide modifiche al contratto a termine ad indignare il segretario della Fim Cisl. Con un affondo che ricorda le stilettate di Maurizio Sacconi alla Cgil, Bentivogli accusa il governo in carica di essere troppo incline a proteggere alcune fasce di lavoratori, trascurando l’interesse del paese. “Il combinato disposto tra sussidi e pensioni rischia di portare fuori tiro un obiettivo importante, cioè che le condizioni di lavoro siano migliori e che le tecnologie umanizzino il lavoro”. Insomma, per Bentivogli il problema della scarsa competitività del paese sono i sussidi a chi perde il posto di lavoro e l’abbassamento dell’età pensionabile. Un ragionamento che lo porterà a evocare lo scontro generazionale come esito naturale delle politiche assistenzialistiche del governo. “La discussione sulla Fornero è diventata tanto ossessiva che anche i ragazzi la vedono come causa dei loro problemi”. Ragazzi che sbagliano, ovviamente, quando scioperano contro l’alternanza scuola-lavoro (qui il tweet contro lo sciopero degli studenti). Ragazzi che vanno addomesticati alla cultura della flessibilità del lavoro, dei lunghi tirocini e degli stage.
L’imperativo della flessibilità e dell’obbedienza all’autorità dell’impresa deve tornare ad essere il principio guida che regola la vita lavorativa e sociale. Il mantra è sempre lo stesso: bisogna garantire alle imprese massima disponibilità di manodopera docile e accomodante, flessibile alle esigenze del mercato, che solo l’impresa deve interpretare e soddisfare. Dall’autonomia del punto di vista operaio alla completa integrazione del lavoro all’ impresa. Non serve scomodare Karl Marx per osservare come l’idea di sindacato incarnata da Bentivogli costituisca un tentativo di allargare anziché restringere la forbice di potere tra chi dipende dal salario e chi dipende dal profitto. Una forbice che in questi anni è cresciuta, seminando disoccupazione, precarietà e povertà. Le vere cause che hanno portato Lega e Cinque Stelle al governo del paese.
*Simone Fana si occupa di servizi per il lavoro e per la formazione professionale. Autore di Tempo Rubato (Imprimatur), scrive di mercato del lavoro e relazioni industriali.
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