Non è possibile che fuori non c’è più nessuno
Se ne è andato Nanni Balestrini, poeta, scrittore, agitatore culturale che ha mescolato innovazione artistica a impegno militante. Lo ricordano generazioni di invisibili
L’immagine di un poeta ricercato per associazione sovversiva e insurrezione armata contro i poteri dello stato che scappa dal suo paese indossando un paio di sci e lanciandosi dal confine verso il dorsale francese delle Alpi è quella che meglio racchiude lo stile e la vita di Nanni Balestrini, che è scomparso ieri notte a Roma a 83 anni.
Balestrini era parte di quella generazione di intellettuali e militanti che avevano capito con grande anticipo che l’Italia stava finalmente uscendo dalla cappa degli anni Cinquanta, dalla dimensione angusta del paese agricolo verso le nuove contraddizioni dell’essere potenza mondiale rappresentate dal boom economico. Questo scenario economico e sociale richiedeva una cultura di nuovo tipo, nuove narrazioni e nuovi nessi con i fermenti politici che si affacciavano sulla storia. «Mi interessa fare cose che nessuno ha mai fatto – diceva riassumendo la sua linea di condotta – In una maniera completamente diversa».
Quando diede vita al movimento letterario Gruppo 63 aveva già dimostrato di essere un agitatore artistico e culturale vulcanico e instancabile. Veniva dal lavoro alla casa editrice Bompiani e poi in Feltrinelli. Aveva già dato vita al suo progetto di componimenti poetici affidati alla creazione di un calcolatore e aveva già pubblicato alcune poesie che anticipavano l’avanguardia letteraria di quel decennio. Altri sapranno ricostruire meglio il suo stile poetico e letterario, qui osserviamo come Balestrini sposò in maniera integrale il suo essere all’avanguardia da farne un tutt’uno con l’impegno politico. Ancora prima del Sessantotto, Balestrini si avvicinò ai nuovi movimenti sociali. «Mi rendo conto di avere avuto la fortuna di vivere due per me meravigliose stagioni, quella della neoavanguardia letteraria degli anni Sessanta e quella del movimento degli anni Settanta, stagioni belle, giuste, entusiasmanti, che mi permettono di sopportare senza rassegnazione tutto lo squallore successivo», ha detto qualche anno fa ad Antonio Gnoli di Repubblica.
È con gli anni Settanta che Balestrini comincia a scrivere opere narrative, oggi tutte riedite da DeriveApprodi – casa editrice alla quale voleva bene e che non ha mai smesso di fiancheggiare – con apparati critici e nuove introduzioni. Anche in questo caso Balestrini ha dimostrato la grande capacità di unire la potenza delle storie a uno stile letterario sperimentale, e di fare incrociare questi due elementi deflagranti con la carica politica e l’urgenza di descrivere il reale. «Non sono un narratore che inventa personaggi e storie. Amo raccontare le situazioni collettive», diceva dei suoi romanzi. Sono pagine che definirono uno stile, fin dal primo volume: Vogliamo tutto, del 1971, racconta i conflitti dell’operaio-massa visti da un lavoratore del sud in una grande fabbrica. Erano quelli che parteciparono a lotte durissime contro l’idea stessa di lavoro e di fatica. Nei cortei, ricordano allarmati i dirigenti comunisti dell’epoca, intonavano sghignazzando il coro picaresco «Branca branca branca leon leon leon», dal film di Mario Monicelli uscito in quel periodo, più che accodarsi all’epica «Bandiera rossa». Balestrini racconta questa rude razza pagana partendo dalla voce in prima persona del protagonista. Quel punto di vista singolare, grazie al ricorso ad anacoluti e sperimentazioni retoriche, tracima spesso nella prima persona plurale del Noi, si mescola con le parole degli slogan e dei documenti di agitazione, incrocia le forme espressive della cultura di massa. È un flusso di coscienza contrappuntato a immagini e diviso in vere e proprie scene, in uno stile cinematografico che annulla il senso e la necessità stessa della punteggiatura.
Il romanzo successivo, uscito cinque anni dopo, è La Violenza Illustrata. Balestrini compone nove capitoli che descrivono diverse situazioni di violenza metropolitana: a volte è aggressività individuale, altre brutalità dettata dall’alienazione del sistema, in altri casi forza collettiva o intensità dettata dall’impeto liberatorio. Gli anni che vanno dalla strage di piazza Fontana alla tragica morte di Giangiacomo Feltrinelli sono quelli in cui l’artista annusa prima di tutti che la situazione si sta facendo sempre più cupa. Ciò non gli impedisce di cercare vie di salvezza collettiva e di costruire reti tra riviste e progetti culturali che offrano sbocchi all’incredibile forza creatrice rappresentata dai movimenti rivoluzionari. Ha scritto Gli Invisibili, probabilmente il romanzo più importante, in termini di capacità di ricostruzione del contesto sociale ed esistenziale e forza narrativa e poetica dei movimenti sovversivi che alla fine degli anni Settanta vennero sconfitti dalla repressione spietata, la stessa che costrinse lo stesso autore a rifugiarsi, con centinaia di suoi compagne e compagne, a Parigi per cinque anni prima di uscire del tutto assolto dall’infernale macchinazione del 7 Aprile. «I ragazzi del Sessantotto erano già più adulti, ma quelli del Settantasette erano molto giovani, e la violenza della repressione ha portato a un’ondata di cinismo, di suicidi, di morti per eroina», diceva a Stella Succi in questa bella intervista. Il suo fiuto per le storie e la curiosità per i soggetti collettivi lo avrebbe poi portato a imbattersi nelle curve degli stadi: «Un giorno ero seduto al Conchetta, il centro sociale milanese, e per caso ho sentito dei ragazzi delle Brigate Rossonere che raccontavano delle loro trasferte, e le raccontavano come se stessero raccontando delle imprese eroiche, imprese di guerra, da caccia grossa, con un impeto di esaltazione. E allora li ho conosciuti, ho fatto amicizia, e ho pensato: ci devo scrivere un libro». È così che nacque I Furiosi, uscito nel 1994, quando ancora in pochi raccontavano gli ultras da dentro e senza moralismi. Dieci anni dopo uscirà Sandokan, che racconta la storia di camorra dei casalesi anticipando di due anni i temi di Gomorra di Roberto Saviano.
Balestrini, la cui generosità e disponibilità erano pari solo alla raffinatezza e allo stile sobrio con il quale portava in giro la sua intelligenza, è stato uno dei traduttori della storia dei movimenti fino agli anni Novanta. Anche grazie al lavoro che fece insieme a Primo Moroni (e a Sergio Bianchi) nel mettere insieme L’Orda d’oro, il libro che ricostruisce con documenti dell’epoca e analisi precisi e dettagliate «la grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale» del decennio che seguì il Sessantotto italiano. Quando, finiti gli anni Ottanta del riflusso, il gruppo rap militante degli Ak47 dovette ricordare in una canzone il caso della militante rivoluzionaria Silvia Baraldini, reclusa negli Stati uniti dopo aver contribuito all’evasione della Pantera Nera Assata Shakur, scelse alcuni passaggi de Gli Invisibili.
dove sono dove siete quando eravamo mille diecimila centomila non è possibile che fuori non c’è più nessuno non è possibile che non sento più niente che non sento più una voce un rumore un respiro non è possibile che fuori c’è solo un immenso cimitero dove siete mi sentite non sento non vi sento non sento più niente
Gli invisibili si chiedevano che fine avessero fatto tutti, dove fosse finita la lotta di classe. Erano i reclusi nelle carceri speciali e gli esuli in Francia. Anni dopo, si sentivano invisibili anche i nuovi soggetti produttivi che dopo la fine del modello fordista cercavano forme di lotta e organizzazione adeguate ai tempi nuovi. Anche quelle nuove generazioni di militanti, venute dopo la grande sconfitta del Novecento, hanno voluto molto bene a Nanni Balestrini, hanno accarezzato le pagine dei suoi libri, che hanno riconosciuto in quanto duri e schierati ma mai feroci. Li hanno sentiti nella loro forza mai nostalgica o passatista. Sempre mossi dall’esigenza di trovare nuove parole, inediti modi di combinarle insieme per sorprendere il nostro nemico.
*Giuliano Santoro, giornalista, scrive di politica e cultura su il Manifesto. È autore, tra le altre cose, di Un Grillo qualunque e Cervelli Sconnessi (entrambi editi da Castelvecchi), Guida alla Roma ribelle (Voland), Al palo della morte (Alegre Quinto Tipo).
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