Quei bravi neofascisti di Viterbo
Di giorno raccolgono beni per i poveri, sostengono cuccioli e cause animaliste, si lasciano intervistare ripudiando, a parole, la violenza. In strada, di notte, si mostrano per quello che sono. In entrambe le versioni restano inclini al vittimismo
Dopo lo stupro di cui sono accusati due suoi membri, uno dei quali consigliere di minoranza nel comune di Vallerano, la branca viterbese di CasaPound si è guadagnata i riflettori nazionali e da più parti si grida alla marea nera nella Tuscia. L’approccio emergenziale rischia però di mettere i fatti in una prospettiva alterata. Nel viterbese i neofascisti di CasaPound non sono una forza trascinante o capillarmente radicata.
Di certo la loro presenza a Civita Castellana, centro produttivo del viterbese un tempo definita con una certa enfasi “Stalingrado della Tuscia” e oggi simbolo dello smantellamento della base di sinistra nel Lazio, con una percentuale a due cifre (10%) all’ultima tornata elettorale, suscita impressioni forti. Ma già per le votazioni del prossimo 26 maggio l’assalto alla città della ceramica è rimandato. Il 27 aprile il portavoce di Civita Alberto Mereu prende atto della «estromissione di fatto» del suo movimento, «alla fine di un teatrino miserabile imbastito tra FdI e Lega, che prima hanno fatto finta di litigare, minacciando di concorrere separate e che ora, a quanto pare, correranno insieme, lasciando fuori per il momento Forza Italia (la quale risulterà però a questo punto decisiva per il ballottaggio) e definitivamente noi, troppo scomodi per i leghisti».
Se lo scacco di Civita dovesse ripetersi altrove in futuro, nel gioco del trono per raccogliere l’eredità e il peso cruciale che fu di Alleanza nazionale e prima ancora della Democrazia cristiana a Viterbo e dintorni, i leader locali di Cpi, dati per favoriti, potrebbero ritrovarsi senza scranno, soppiantati dagli omologhi meloniani.
In tutta la Tuscia le affermazioni alle urne della “scomoda” CasaPound sono rimaste più virtuali che sostanziali, decisamente meno rilevanti dei fatti di cronaca che li hanno visti come protagonisti.
Viterbo è la nostra «roccaforte» nel Lazio. Così annunciava Cpi dopo i risultati delle elezioni del marzo 2018, forte dei 6.317 voti al Senato, dei 4.391 alla Camera e del 3, 2% ottenuto dal suo candidato presidente alla regione Lazio, Mauro Antonini. Numeri consolatori rispetto alla soglia nazionale, bloccata sotto l’uno per cento, un fallimento, paragonato alla sovra esposizione mediatica goduta in campagna elettorale. «La nostra è oramai una forza politica con cui ognuno dovrà fare i conti – si leggeva nel comunicato che annunciava la “scalata” al Palazzo dei Priori per le successive amministrative – determinante per gli equilibri politici viterbesi».
Nonostante i soli 1.016 voti raccolti dal candidato sindaco Claudio Taglia alle comunali di un anno fa, è innegabile che Viterbo e tutta la sua provincia stia facendo da anni i conti con la presenza di quello che si autodichiara un soggetto politico fascista e i giornali continuano a definire una forza di estrema destra, un partito come un altro. Sfogliando l’archivio della cronaca locale si mette insieme un corposo curriculum di blitz, risse e aggressioni, alcune entrate nel radar della stampa nazionale, altre (la maggior parte) rimaste nei confini della Tuscia.
Per riconoscerle bisogna seguire fumose circonlocuzioni, che rimandano a soggetti «ben conosciuti in città» per il credo politico e la sede in cui gravitano, che solo a essere nominata espone al rischio di ritorsioni e querele, poco importa se non motivate, restando celata dietro la formula di «ambiente di estrema destra».
La strategia della testuggine
Viterbo si sarebbe dunque dimostrato il terreno ideale per la strategia della testuggine, che di giorno bombarda i social di iniziative pro bono (solo per italiani, è chiaro) e di notte, a giudicare dai fatti di cronaca e le inchieste che coinvolgono alcuni personaggi, non rinuncia alla violenza. Tanto poi basta declassare a simpatizzanti i militanti che hanno brandito le mazze, per lavarsene le mani e far spallucce al grido di: «Boia chi li conosce!».
E quando i simpatizzanti sono talmente organici da aver fatto da portabandiera, una exit strategy si trova sempre. «Apprendo dai media che un consigliere comunale di CasaPound di un paese vicino Viterbo è stato accusato di stupro e per questo arrestato – commenta il leader nazionale Simone Di Stefano la notizia dello stupro di Viterbo, esplosa sui media il 29 aprile – La persona in questione è stata immediatamente ESPULSA da CasaPound ed ha rassegnato le dimissioni da consigliere comunale».
La tolleranza zero, in apparenza, stride con la politica finora tenuta da Cpi nei riguardi delle gesta della sezione dei Cimini. Quest’ultima, dalla pagina Facebook «Casapound Italia Viterbo», parla subito di «gogna mediatica», «prove che scagioneranno i nostri ragazzi» e «reato estraneo al nostro dna». Ma se la doppia elica non mente, anche i precedenti hanno tanto da raccontare, mostrando ben altra impronta genetica.
6 novembre 2014: mentre è in corso la partita di terza categoria tra Magliano Romano e Ardita San Paolo, un gruppo di incappucciati aggredisce con spranghe e mazze i tifosi dell’Ardita, venti feriti in quattro minuti di pestaggio bestiale. Il movente? Per i calciatori del team romano è chiaramente un attacco «alla crescita del modello di calcio e di sport popolare» simboleggiato dalla squadra. In manette finiscono in nove, tra cui spiccano Diego Gaglini, che ha corso come sindaco di Viterbo per Cpi e altri candidati per le comunali, come Ervin Di Maulo, già arrestato per aggressione, Federico Miralli e Alessio Reinkardt.
Di Stefano twitta: «Gaglini è innocente, ed è mio fratello». I giudici non concordano e arrivano le condanne: quattro anni per lesioni aggravate a Di Maulo, tre a Diego Gaglini, confermati in appello.
Di Stefano non ritira la fratellanza né la tessera, cosa che non avviene nemmeno quando il presidente di Casapound Cimini Jacopo Polidori e il militante Luca Santini vengono condannati in primo grado a due anni e otto mesi per la cinghiamattanza fascista di Vignanello, spedizione punitiva del febbraio 2017 a danno di Paolo, 24 anni, reo di aver perculato con ironia su Facebook lo stile comunicativo di Casapound.
Cinghiamattanza style
Nel 2017 un giovane di 22 anni viene aggredito in discoteca di Viterbo al grido di «Frocio, sei Frocio!». Colpito al volto con una chiave nascosta nel pugno, riporta un distacco di retina e solo un intervento d’urgenza scongiura la perdita dell’occhio. Tre giorni dopo, nello stesso locale, il copione si ripete con un 27enne accerchiato e aggredito da quelli che la testata Tusciaweb definisce ventenni «appartenenti ad ambienti di estrema destra». Per entrambi gli episodi la questura rifiuta di riconoscere il movente ideologico, il braccio romanamente teso oscura la luna: se aggredisci qualcuno perché lo odi e lo odi perché il suo modo di essere rinnega il tuo essere fascista, la tua non è una violenza politica.
Inizierà il 31 gennaio 2020 il maxiprocesso ai diciotto imputati per «l’arancia meccanica di Santa Rosa», aggressione furibonda ai danni di cose e persone durante la partecipata festa patronale che il 3 settembre vede la statua della santa attraversare il centro di Viterbo. Fatti del 2015 che presentano il classico copione di pugni, tavoli rovesciati e cinghiate, per i quali un cinquantenne ha avuto un orecchio quasi reciso, avvenuti di fronte a decine di testimoni. «Raccontarono di gente a torso nudo e con la testa rasata – scrive ancora Tusciaweb – Erano tifosi della Viterbese e del Latina, i cui gruppi di ultrà Questione di stile e Brigata littoria sono gemellati da anni, legati anche da consonanza politica in quanto gruppi di estrema destra». Nessuna delle vittime si è costituita parte civile, il movente politico è stato escluso, si è trattato, per gli inquirenti, di una storia di violenza tra ultras innescata dall’alcol. Il classico format dell’estremismo sportivo che questure e giornalisti usano spesso e volentieri per evitare di usare la parola che inizia con la F.
Invece, per capire gli stretti legami tra Questioni di Stile e CasaPound basta leggere il comunicato della tartaruga sull’arresto di Ervin Di Maulo dopo l’aggressione all’Ardita, pubblicato dal sito del gruppo ultras: «Ancora una volta un nostro militante è stato messo alla gogna dall’opinione pubblica (…) è ormai abitudine attribuire un movente politico a qualsiasi problema di ordine pubblico che turbi la nostra “ridente” cittadina (…) è l’ennesima “caccia alle streghe” sapientemente orchestrata dalla penna di qualche scribacchino».
Viterbo è nera?
Gennaio 2019, a Bagnaia, alle porte di Viterbo, la band romana Inna Cantina Sound ha da poco terminato un concerto: «Alle due di notte, mentre caricavamo gli strumenti dopo un bellissimo concerto, siamo stati accerchiati e insultati per i versi delle nostre canzoni da un gruppetto di fascisti e uno di noi è finito al pronto soccorso per i pugni ricevuti». Durante l’aggressione ai musicisti si grida: «Viterbo è nera, Viterbo è fascista, Viterbo è nazista». Vengono identificati quattro presunti aggressori, «tutti maggiorenni della provincia – la fonte è ancora Tusciaweb – uno dei quali apparterrebbe ad ambienti di estrema destra». I nomi non vengono diffusi e perciò nessun collegamento può essere fatto con CasaPound e i suoi “ambienti”.
Del resto gli anfratti di estrema destra a Viterbo non sono certo nati con CasaPound, ma con i fascisti della tartaruga hanno preso slancio, guadagnato sponde un tempo impensabili, aperto le porte a figure istituzionali e trovato spazio in amministrazioni piccole e grandi.
Un risultato ottenuto con una normalizzazione di facciata. I camerati di CasaPound sono come i Pinguini del cartoon Madagascar, a favore di telecamere e social si mostrano carini & coccolosi, raccolgono beni per i poveri, sostengono cuccioli e cause animaliste, si lasciano intervistare ripudiando, a parole, la violenza. In strada, di notte, si mostrano per quello che sono. In entrambe le versioni restano inclini al vittimismo, chi li inchioda, episodio dopo episodio, alle loro azioni, è il vero fascista, l’antidemocratico che vuol spegnere la loro scomoda voce.
Ma come si fa a ignorare il curriculum dei neofascisti viterbesi?
Anche Francesco Chiricozzi, 21anni, consigliere comunale di CasaPound a Vallerano, fermato assieme al militante Riccardo Licci, 19 anni, per lo stupro di una donna di 36 avvenuto la notte del 12 aprile in un ex pub, l’Old Manners Tavern, oggi circolo riservato alla cerchia di Cp aveva preso parte all’aggressione di Vignanello. Era ancora minorenne e il processo a suo carico inizierà a luglio. Per quella aggressione nessuna presa di distanza da parte di Di Stefano e della dirigenza nazionale del movimento, nemmeno ventilata l’ipotesi dell’espulsione. Di Stefano ha ribadito di essere sempre stato a favore della castrazione chimica, evidentemente non ha nessun problema con le aggressioni a colpi di cinghia. O forse con lo stupro di Viterbo va in scena l’ennesima manipolazione della violenza sulle donne a scopo puramente propagandistico. Non ci sono immigrati da additare, i camerati indifendibili possono essere usati per gonfiare il petto e strappare consensi facili, tutto pur di far scomparire dal campo il legame tra i fatti di Vignanello e di Viterbo: la matrice, fascista è la stessa, la violenza, fascista, è compiuta dalle medesime mani sotto la solita trista bandiera.
Del resto sui profili social di Chiricozzi campeggia ancora un manifesto contro la violenza degli immigrati a danno delle donne italiche: «La prossima Pamela, la prossima Desirèe potrebbe essere tua figlia, tua moglie o tua sorella. Sveglia».
Già, sveglia, Viterbo è la roccaforte, l’apripista, chissà cosa ci riserveranno nel futuro i fascisti carini & coccolosi di CasaPound.
*Selene Pascarella ha una laurea in Scienze della comunicazione e una specializzazione in narrazione seriale televisiva. Giornalista e criminologa, unisce la passione per il piccolo schermo a quella per la cronaca. Ha scritto di serie tv per Carta, Speechless, Urbanfantasy.it e Horror.it ed è autrice del libro Tabloid Inferno (Alegre Quinto Tipo, 2016)
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