
Sánchez a destra, Spagna in bilico
Mentre il presidente del consiglio che si era presentato come innovatore ricuce con la vecchia guardia del Psoe, la campagna giudiziaria contro Unidas Podemos e le tensioni sulla riforma del lavoro incrinano l'asse di governo
Il rapporto tra i due soci del governo spagnolo, Partito Socialista (Psoe) e Unidas Podemos (Up) è molto peggiorato negli ultimi giorni. Le cause scatenanti di questa crisi sono state, da un lato, gli ostacoli che la ministra del lavoro di Up, Yolanda Díaz, sta trovando nel suo stesso governo per portare avanti la riforma del mercato del lavoro e, dall’altro, la decisione della presidentessa del Congresso dei deputati, del Psoe, di rimuovere un deputato di Up condannato per violenze a pubblico ufficiale senza che ciò fosse previsto dalla sentenza. Le tensioni vengono comunque da lontano e alla base c’è una diversa concezione dello Stato da parte dei due partiti. In minoranza nel Congresso, la destra sta usando da tempo gli apparati della magistratura, dell’esercito, della polizia e dei mezzi di comunicazione per attaccare in tutti i modi Podemos, seguendo uno stile che è stato foriero di successi in Brasile contro Lula e Dilma Rousseff. A fronte di questa politica di guerra giudiziaria, il Psoe continua a sentirsi Partito-Istituzione, ovvero a rifiutare la riforma profonda di questi settori e a cedere verso le anime più conservatrici del paese, su tutte la monarchia.
La riforma del lavoro
La causa dell’improvviso peggioramento di questa tensione è comunque di tipo economico e riguarda il progetto di riforma del mercato del lavoro. Nei giorni scorsi la Ministra dell’Economia – sostenuta dal presidente Pedro Sánchez – ha affermato di voler prendere le redini del negoziato con sindacati e imprenditori. La pretesa di Nadia Calviño – economista con una lunga esperienza lavorativa nella Commissione europea e Prima vicepresidente del consiglio – ha lasciato stupefatta la Ministra del Lavoro di Up, Yolanda Díaz (Seconda Vicepresidente), che dal mese di marzo sta portando avanti i tavoli con le parti sociali e che, a detta di tutti, era prossima a chiudere la trattativa nel mese di novembre. E invece, come se nulla fosse stato fatto in questi mesi, al Congresso di Comisiones Obreras (il principale sindacato del paese) Calviño ha affermato che il negoziato vero comincia adesso e che è necessario realizzare un pacchetto «equilibrato», un modo di dire in antitesi con tutto quanto finora realizzato da Díaz.
La risposta di Unidas Podemos non si è fatta attendere: dapprima la segretaria generale di Podemos (e ministra dei diritti sociali) Iole Belarra ha denunciato pubblicamente l’ingerenza della ministra dell’economia e preteso la riunione di un tavolo bilaterale tra le due formazioni; in seguito, poi, è arrivata la risposta tanto attesa di Yolanda Díaz. Alla chiusura del Congresso di Comisiones Obreras, Diaz è stata esplicita: l’abrogazione della riforma del lavoro del Partito Popolare verrà approvata nel 2021, nonostante che ci siano persone che lavorano per impedirlo. In un modo o nell’altro i tempi stringono: la Spagna deve, infatti, approvare la riforma entro l’anno per non vedere compromesso una prima parte del Fondo di recupero dell’Unione Europea.
L’ascesa di Yolanda Díaz
Le tensioni tra i due alleati si registrano fin dalla nascita dell’esecutivo, a inizio 2020. Ma in un modo o nell’altro la paura di una sconfitta in eventuali elezioni anticipate e l’impossibilità di cambiare la maggioranza, han fatto sì che il governo abbia retto le pressioni. Nel mezzo, due leggi di bilancio abbastanza ambiziose, con spese sociali molto alte, han fatto sì che la sinistra della coalizione sopportasse ritardi in questioni decisive come la riforma del diritto penale o quella fiscale, o che gli venisse occultata la fuga dell’ex-Re Juan Carlos di Borbone negli Emirati Arabi. Ma soprattutto Up ha potuto rivendicare proprio il ruolo di Yolanda Díaz come Ministra del Lavoro, una dirigente emersa per le sue qualità tecniche e politiche e che da diversi sondaggi appare oggi come la leader più stimata dall’elettorato. E forse è proprio questa la chiave della nuova crisi.
Mentre Unidas Podemos nei sondaggi continua ad attestarsi tra il 10 e il 12% (ben lontano dal 21% del 2015), Yolanda Díaz è apprezzata trasversalmente. La dirigente galiziana e comunista (militante del Pce) è emersa con forza durante i duri giorni della pandemia, permettendo l’approvazione di dodici accordi con le parti sociali, tra cui sei rinnovi del cosiddetto «scudo sociale», ovvero le misure in sostegno dei lavoratori in cambio della permanenza del posto di lavoro. Queste misure, come affermato da diversi studi, hanno permesso di salvare milioni di posti di lavoro e hanno generato un dibattito su quanto diversa sia stata la gestione della crisi economica da parte del Psoe e del Pp tra il 2008-2015 rispetto a quella portata avanti dal governo rosso-viola. Non solo, Díaz ha anche permesso due aumenti del salario minimo e ha approvato due importanti norme come quella sul lavoro da casa e sui rider. Ha ottenuto, dunque, l’impegno di Sánchez ad approvare quest’anno l’abrogazione della riforma del mercato del lavoro del 2012.
Con tale obiettivo Díaz – strenua sostenitrice della concertazione – ha aperto il tavolo con sindacati e imprenditori, fiduciosa di poter raggiungere l’obiettivo entro l’anno. La sua proposta implica una riduzione dei poteri dell’impresa, un rafforzamento della contrattazione di settore e il limite al 15% del personale con contratto a tempo.
Quest’unione di concretezza, empatia e predisposizione al dialogo ha fatto breccia tra gli spagnoli, con gran timore del Psoe. Questo perché le ambizioni di Díaz non si fermano al Ministero del Lavoro. Sin dalle dimissioni di Pablo Iglesias dal governo è stato chiaro che sarebbe toccato all’avvocatessa giuslavorista di Ferol prendere il ruolo ed è infatti oggi la più probabile candidata di Unidas Podemos per le prossime elezioni generali, previste per il 2023. A questo punto è giunto l’attacco di Nadia Calviño (sostenuta da Pedro Sánchez). I vertici del Psoe vogliono frenare l’ascesa di Díaz, stemperare gli aspetti più innovativi della sua riforma e togliere alla ministra galiziana la maternità della legge.
Guerra giudiziaria contro Podemos
L’altro fronte aperto che ha causato la crisi è stata la decisione della presidentessa del Congresso, Meritxell Batet, di rimuovere il deputato di Up Alberto Rodríguez a seguito di una sentenza di condanna, senza che ciò fosse previsto nel dispositivo. Come già accaduto con un’altra importante dirigente di Podemos, Rodríguez è stato condannato per violenza a pubblico ufficiale senza nessun’altra prova che la testimonianza di un agente – nonostante la contrarietà di due giudici del Tribunale supremo. In questo caso, tuttavia, mentre nella sentenza redatta dal giudice conservatore Manuel Marchena – lo stesso che condannò i dirigenti indipendentisti nel 2019 – non era decretata formalmente la perdita del seggio, il magistrato chiedeva in una missiva personale a Batet per informarlo sulla rimozione del condannato dal Congresso dei Deputati. Pressata da destra per un’iniziale titubanza e nonostante il parere contrario alla rimozione dell’Ufficio di presidenza e dell’ufficio legale, Batet ha infine deciso unilateralmente di togliere il seggio al deputato di Up. La reazione è stata dura – la segretaria di Podemos, Belarra, ha annunciato una denuncia per abuso di ufficio contro Batet – ma ha anche mostrato crepe in Up, apparsa inferocita ma impotente, e divisa su come reagire.
Sin dalla sua nascita, nel 2014, Podemos è stata sottoposta a una feroce guerra giudiziaria (quella che in Sud America viene chiamata lawfare, una tecnica che alle denunce vede seguire interminabili dibattiti sui mezzi di comunicazione in modo da generare, seppur in assenza di condanne, paura, sfiducia, erosione dei consensi). In sei anni sono stati più di venti le denunce e le indagini contro il partito fondato da Pablo Iglesias e contro di lui personalmente, e con le accuse più disparate: finanziamento illecito, uso indebito del finanziamento pubblico ai partiti, frode fiscale e furto. Quasi tutti questi procedimenti sono stati archiviati (ne rimangono aperti un paio) ma hanno generato infiniti dibattiti sui presunti reati del partito. Soprattutto si è diffusa la leggenda nera del finanziamento illegale per mano del Venezuela, un’accusa che si è tentato di provare con veri e propri falsi, senza che questo abbia generato conseguenze penali.
Il punto fondamentale, e che riguarda anche il rapporto col Psoe, è che queste campagne sono state realizzate nel cuore dello Stato. Come stabilito da una commissione parlamentare di inchiesta, negli anni dell’ascesa di Podemos e dell’indipendentismo catalano, nacque nel seno della polizia una «brigata patriottica» con l’obiettivo di screditare questi movimenti. E l’operazione, in fondo, ebbe successo, visto che le notizie riguardanti tangenti venezuelane in favore di Iglesias vennero pubblicate quando, nel 2016, Unidos Podemos, forte di 69 deputati, stava negoziando con il Psoe la nascita di un governo di coalizione. E nonostante il fatto che dopo tre anni quel governo ha visto la luce (con rapporti di forza ben diversi) il lawfare non ha mai cessato di funzionare.
Il Consiglio generale del potere giudiziario e il tribunale costituzionale rimangono saldamente in mano alla destra seppur con mandato scaduto da anni, e la politicizzazione di questi organi ha generato effetti nefasti. Il tribunale costituzionale sta accettando via via molti i ricorsi presentati da Vox – partito di estrema destra con grande presenza di alti funzionari dello Stato – tra cui soprattutto quello che ha dichiarato incostituzionale lo stato d’allarme dichiarato dal governo nel marzo del 2020 per fronteggiare la pandemia. Le leggi riguardanti la cessazione del finanziamento pubblico alle scuole segregate per sesso e cambio di genere sessuale, pure potrebbero avere vita breve. E nel frattempo, mentre centinaia di militari in riserva scrivono manifesti con velati appelli al golpe e cantanti finiscono in galera per le proprie canzoni opposte alla Monarchia, il Psoe appare più tentato di lasciare tutto intatto negli apparati dello Stato che procedere a una vera e profonda riforma. E il cuore della tensione con Unidas Podemos sta lì, ovvero tra una formazione che si è sempre sentita Partito-Istituzione, che ha governato in 24 degli ultimi 40 anni e che conosce i corridoi della burocrazia a menadito, e un’altra che è nata per riformare a fondo lo Stato, cominciando dal suo vertice.
Il Psoe si sposta a destra
La distanza tra queste due formazioni appare aumentare dopo il recente Congresso del Psoe, il 40° della sua lunga storia. Pedro Sánchez, tornato al vertice del partito nel 2017 come un outsider in polemica con i dirigenti storici, ha voluto ricucire del tutto con questi utimi dando un’immagine più moderata di unico garante di stabilità. È un messaggio minaccioso per la sinistra ma che vuole anche isolare un Pp legato strettamente a Vox. Come scritto da alcuni, proprio come Felipe González nel 1982, Pedro Sánchez vuole annullare del tutto la sinistra, dare tranquillità ai ceti liberali e all’apparato dello Stato che in questi anni si sono spostati a destra davanti alla crescita della sinistra e dell’indipendentismo catalano. Da cui la tensione sulla riforma del lavoro.
Il Psoe si sente forte: ha più voti, più potere, più conoscenza dell’apparato statale. Per Unidas Podemos si pone il solito dilemma: capire come marcare il proprio campo dentro al governo, oppure rompere. L’impressione è che la destra giudiziaria, mediatica e politica stia attendendo l’errore che farà deragliare la sinistra dai binari del governo.
*Nicola Tanno è laureato in Scienze Politiche e in Analisi Economica delle Istituzioni Internazionali presso l’Università Sapienza di Roma. Vive e lavora da anni a Barcellona.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.