
Il Cile non torna alla normalità
I risultati elettorali per l'assemblea costituente, pur in presenza di un'alta astensione, segnano una sconfitta storica per la destra cilena e un'affermazione delle sinistre. L'esito del processo dipenderà dalla pressione dei movimenti
La maratona elettorale di sabato 15 e domenica 16 maggio in Cile (per la prima volta in una paese sudamericano il voto si è svolto in due giorni a causa delle restrizioni sanitarie) si è risolta in una categorica sconfitta per il governo conservatore del presidente Sebastián Piñera. Circa 14 milioni di cileni sono stati chiamati a eleggere sindaci e consiglieri municipali, governatori delle 16 regioni amministrative (fino a oggi nominati direttamente dal presidente) e soprattutto i 155 membri dell’Assemblea Costituente che prevede, per la prima volta, la parità di genere e un numero di seggi riservato ai popoli originari.
Nonostante l’importanza della tornata elettorale, l’affluenza è stata, secondo il Servizio Elettorale del Cile (Servel) appena del 43,35%, un dato che rappresenta una valanga astensionista, spiegata in parte dalla pandemia, ma soprattutto da un clima di feroce diffidenza verso le forze politiche tradizionali, particolarmente forte tra l’elettorato più giovane che ha premiato i candidati indipendenti, cittadini comuni che hanno avuto, per la prima volta, la possibilità di candidarsi al di fuori di un partito.
La lista Chile Vamos, un’alleanza di destra che include la piattaforma politica del presidente Piñera e la Unión Demócrata Independiente (Udi), partito fondato dall’ex senatore Jaime Guzmán, considerato il padre della Costituzione pinochetista, non va oltre i 37 seggi. Un magrissimo risultato considerando l’obiettivo minimo dei conservatori cileni difensori dello status quo di controllare un terzo dell’Assemblea (52 seggi) che avrebbe permesso loro di esercitare un ostruzionismo nel processo costituente, attraverso il diritto di veto: infatti, per l’approvazione di ogni decisione nella futura Assemblea ci sarà bisogno della maggioranza dei due terzi (103 voti).
Non è andata meglio ai partiti della Concertación, la coalizione dei partiti socialdemocratici e democristiani che hanno governato il paese a partire dalla transizione democratica (1990) fino al 2010, che si fermano a 25 seggi. La lista Apruebo Dignidad, formata principalmentedal Partido comunista del candidato presidenziale e attuale sindaco del municipio di Recoleta, Daniel Jadue, e dal Frente Amplio, conterà su 28 voti all’Assemblea.
Altri 17 seggi spettano ai popoli originari. Uno dei principali conflitti mai risolti storicamente è infatti quello con le comunità indigene, in particolare con il popolo mapuche, presenti in Araucania e in Patagonia, ma con reti di sostegno nelle grandi città. La forza del movimento mapuche è all’origine dei contenuti etnici del processo costituente, in particolare la sfida per la conformazione di uno stato plurinazionale che riconosca loro spazi di autonomia territoriale e culturale.
Il resto dei seggi finisce in mano dei veri vincitori della votazione, le formazioni indipendenti, tra cui emerge la Lista Del Pueblo, una piattaforma elettorale di candidati indipendenti provenienti dal movimento e dalle organizzazioni sociali, che ha saputo capitalizzare la grande rivolta del popolo cileno, el estallido social, iniziato ad ottobre 2019. Tutto iniziò con l’annuncio di un aumento di 30 pesos (0,035 €) del biglietto della metropolitana della capitale Santiago, che scatenò una serie di proteste soffocate nel sangue dai Carabineros, la polizia nazionale cilena. Secondo l’Instituto Nacional de Derechos Humanos al 30 di ottobre 2019 si contavano già oltre 20 morti, 1.233 feriti (tra cui molti traumi oculari provocati da proiettili di gomma e lacrimogeni lanciati ad altezza uomo) ed almeno 3.712 arresti.
L’aumento del costo del biglietto, provvedimento tra l’altro tempestivamente ritirato, è stato solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Le cause del malcontento sono molto più profonde e strutturali tra cui spiccano il precariato sociale, la privatizzazione del sistema pensionistico, della sanità e dell’istruzione (secondaria e universitaria), l’uso del suolo a servizio dello sfruttamento delle risorse (idriche e minerarie), i salari irrisori, l’estremo indebitamento delle famiglie, la disuguaglianza sociale e l’assenza di piani di edilizia popolare.
Il 15 novembre 2019, a poco piú di un mese dall’inizio della rivolta, tutti gli schieramenti politici presenti in Parlamento, a eccezione del Partito comunista, si videro obbligati dalla pressione della piazza a firmare l’«Accordo per la pace e la nuova Costituzione» convocando un referendum nazionale, tenutosi lo scorso 25 ottobre 2020. In tale circostanza circa l’80% dei votanti si dichiarò a favore di una nuova Carta Magna.
I costituenti neo-eletti avranno il compito di dare una spallata definitiva alla Costituzione pinochetista e porre fine a un «modello», esaltato dai sostenitori delle politiche neoliberiste di tutto il mondo, che fa acqua da tutte le parti. Infatti, oltre allo sterminio fisico dei sostenitori del governo popolare di Salvador Allende (1970-1973), le torture e le migliaia di desaparecidos, il Cile vive ancora nel segno di un progetto politico, economico e culturale erede della dittatura e dell’attuale Costituzione. A partire dal 1976 e soprattutto negli anni Ottanta, il Cile inaugurò una trasformazione strutturale del sistema economico e politico, con ricette neoliberiste, ispirate alle teorie monetariste di Ludwig von Mises, Friedrich von Hayek e Milton Friedman, messe a punto dai Chicago Boys, un gruppo di economisti e accademici divenuti personaggi di spicco all’interno delle alte gerarchie politico-militari del regime.
Furono ricette radicali che modificarono sostanzialmente il sistema produttivo, spingendo verso un’apertura commerciale con gli Stati uniti, il Sudest asiatico e, successivamente la Comunità europea, soprattutto per il settore agro-industriale, il tutto accompagnato da una privatizzazione dei principali settori strategici dell’economia (a eccezione dell’industria del rame), nazionalizzati ai tempi del governo di Allende. Per questo, si iniziò a parlare di un modelo chileno, come esempio virtuoso di sviluppo sociale ed economico da esportare, sotto l’auspicio del Fmi. e della Banca Mondiale. Tali riforme provocarono lo smantellamento radicale del welfare state e un brusco ridimensionamento del ruolo dello Stato nell’economia. Nel 1982, sotto la spinta di José Piñera, fratello dell’attuale presidente cileno, si arriva a una delle principali riforme radicali neoliberiste: la creazione delle Afp (Administradoras de Fondos de Pensiones), il primo sistema al mondo di fondi privati pensionistici obbligatori che sostituisce completamente il sistema previdenziale pubblico.
Le trasformazioni neoliberiste, rese possibili soltanto dalla repressione esercitata del regime autoritario, si inserirono in un progetto politico ben preciso, che va oltre la durata del regime militare: è la configurazione di un modello di democrazia limitata e dai caratteri autoritari, accompagnato dal neoliberismo economico, aspetti che permeano e si fondono nella Costituzione del 1980.
A seguito del referendum che sancì la fine della dittatura di Pinochet nel 1989 e inaugurò la transizione democratica, i governi della Concertación segnarono il ritorno a un periodo di riformismo moderato, ma con un’accettazione implicita del modello neoliberista e la continuità della costituzione politica del 1980, mai messo seriamente in discussione. Per questo il malcontento e la conflittualità sociale non hanno mai avuto una battuta d’arresto e fin dai primi anni di democrazia formale, vi sono stati omicidi extra-giudiziari da parte dei Carabineros.
Il fallimento dei principali partiti tradizionali segna anche l’inizio di una possibile trasformazione che può riflettersi non solo nella redazione della nuova carta costituzionale, ma anche rappresentare una svolta nelle prossime elezioni presidenziali previste per il mese di novembre 2021. Scampato il rischio di un ostruzionismo tenace da parte della destra, la composizione della nuova Costituente, che inizierà i lavori a fine giugno, lascia spazio all’ottimismo, indicando il cammino verso una trasformazione sociale radicale. Infatti, buona parte dei movimenti sociali che hanno alimentato le proteste per più di un anno e mezzo sarà rappresentata nell’Assemblea Costituente. Il femminismo cileno, dopo la grande prova di forza dello sciopero generale dello scorso 8 marzo e sulla scia dell’energia prorompente del movimento Ni una menos, ottiene un buon risultato con l’elezione di cinque delegate della Plataforma Feminista Constituyente y Plurinacional, un fronte elettorale composto dai principali collettivi di donne che portano avanti una serie di rivendicazioni tra le quali il diritto all’aborto libero, la remunerazione delle casalinghe e la messa a punto di un piano di azione contro la violenza di genere. Il femminismo può inoltre festeggiare il trionfo storico della giovane comunista Irací Hasler Jacob, neo sindaca del municipio di Santiago del Cile, fino a oggi bastione della destra.
Rilevante è anche l’elezione, al primo turno, del portavoce del Movimiento de Defensa por el acceso al Agua, la Tierra y la Protección del Medio Ambiente (Modatima) Rodrigo Mundaca, a governatore della regione di Valparaiso, una regione a circa 120 km dalla capitale, colpita negli ultimi anni da dolorosi incendi forestali. Mundaca rappresenta una delle voci più critiche nei confronti della privatizzazione delle risorse idriche, imposta dal regime militare e sostenuta anche durante tutti i governi democratici degli ultimi trent’anni. La battaglia per l’acqua, considerata come un bene comune e come un diritto umano sarà uno dei punti cruciali del dibattito costituente dei prossimi mesi, il cui esito dipenderà non solamente dal numero dei delegati eletti, ma soprattutto dalla capacità di esercitare pressione popolare, attraverso una mobilitazione permanente che non intende placarsi.
*Alberto Pesapane è avvocato in Argentina e studente del master in studi latinoamericani presso l’Universidad Nacional de San Martín della provincia di Buenos Aires. Orso Colombo è ricercatore in studi latinoamericani presso l’Universidad Nacional de Colombia. È analista di conflitti territoriali e geopolitica latinoamericana.
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