La fine del mondo (per come lo conosciamo)
Michael Stipe, ex frontman dei Rem, parla con Jacobin del suo incontro con Mandela, di cosa significhi provenire da Athens in Georgia come i B52's , del rapporto tra arte e impegno politico
Michael Stipe è l’ex frontman dei Rem, band statunitense apripista del rock alternativo che ha influenzato gruppi come Nirvana e Radiohead. Nonostante i Rem si siano sciolti, Stipe è ancora attivo come cantautore. Il suo nuovo singolo uscirà entro il prossimo mese. Stipe è anche un attivista progressista che ha si è battuto per cause come il controllo delle armi e il diritto di voto, e una volta ha aperto per Bernie Sanders una manifestazione della campagna di Coney Island.
Ho visto il video incredibile di una performance del 2001 di Losing My Religion a Trafalgar Square. La folla va assolutamente fuori di testa quando inizia la canzone. E mentre guardi il resto della band hai un sorriso enorme. La cosa che preferisco della musica dal vivo è vedere gli artisti felici di essere lì. Qual è il tuo set preferito di sempre e perché?
Quella performance era per il decimo anniversario della fine dell’apartheid. È stato il giorno in cui ho incontrato Nelson Mandela. E ho pianto. Ma mi sono trattenuto mentre ero con lui. Mandela era un fottuto eroe.
Ero lì con un’amica, Sue Wildish, cresciuta sotto l’apartheid. In seguito si è trasferita a Londra e ha trovato lavoro nell’industria musicale. È così che abbiamo finito per incontrarci e lavorare insieme. Essere presente quando Sue ha stretto la mano di Mandela è stato uno dei grandi momenti della mia vita. Aveva le lacrime agli occhi. Come dicevo, ho trattenuto le lacrime fino a quando Mandela ha lasciato la stanza. Appena è uscito, sono andato di sopra, mi sono chiuso in bagno e sono scoppiato a piangere. Era talmente forte…
Nella vita normale, non puoi incontrare molte persone che hanno trascorso del tempo in prigione per le loro convinzioni. E quelle persone inevitabilmente si portano dietro quel peso. In superficie, Mandela era un uomo molto dolce e allegro. Ma il sotto era profondamente sconvolgente. Quando siamo arrivati sul palco, tuttavia, ero davvero felice di essere lì.
Mandela, come Martin Luther King Jr, ai suoi tempi era un personaggio controverso. Poi la storia è stata riscritta e la gente ha fatto finta che gli fosse sempre piaciuto.
Si, lo so. Durante il tour in Sud Africa, ho appreso che Nelson Mandela e Desmond Tutu sono cresciuti nello stesso isolato. Erano adolescenti che vivevano a poche case di distanza. Quanto è incredibile tutto ciò?
Lo vedi molto anche con la musica. Anche i B-52’s, come i Rem, provengono da Athens, Georgia.
Sono così fantastici, cazzo! È una band che non è stata riconosciuta per il modo in cui ha cambiato radicalmente la musica. I B-52’s erano divertenti in un momento in cui avevamo bisogno di divertimento. Erano totalmente in anticipo sui tempi. I B-52’s hanno colto un momento di morte nella musica e gli hanno iniettato la vita. Molta della musica che usciva dal punk a quel tempo era volutamente nichilista. Fu allora che i B-52’s iniziarono a esibirsi a New York al Cbgb’s. Erano potentissimi. E, come noi, erano di Athens! Ma si sono trasferiti a New York nel momento in cui hanno firmato un contratto discografico. Buon per loro.
I miei genitori si sono trasferiti in Georgia dal Midwest per stare vicini ai miei nonni. Hanno scelto Athens proprio perché è una città universitaria e avevano tre figli adolescenti, me compreso. Athens è dove mio zio andava a scuola negli anni Sessanta. Era una parte importante del movimento locale per i diritti civili. Athens ha sempre avuto una comunità di hippy, queer, pensatori accademici e attivisti politici. In questo contesto, le persone possono esplorare i loro istinti creativi davanti a un pubblico che li supporta. Questo è quello che mi ha dato Athens. Come è stato per New York. Le cose accadono sempre a New York, anche nei momenti più bui. Dal mio punto di vista, siamo in un momento piuttosto buio. Ma penso che la città se la stia cavando e riemergerà trionfante.
Ti seguo, su New York.
Ciò di cui abbiamo bisogno è un sindaco che apra un confronto reale sul controllo degli affitti (e altri cambiamenti intorno a cose come la zonizzazione) in modo che ci siano alloggi a prezzi accessibili per le persone che non sono miliardari.
Dovremo cercare le responsabilità a livello statale. Eric Adams (ex poliziotto e probabile nuovo sindaco) è piuttosto a suo agio con gli investitori ed è lui stesso un proprietario.
Sì.
Hai dovuto fare i conti con i pro e i contro della celebrità. Pensi che ne valga la pena?
Suppongo che dipenda da cosa stai cercando di ottenere. La vita è molto più complessa di una fantasia adolescenziale. A meno che tu non sia Elvis o Frank Sinatra, devi essere in grado di scrivere la tua musica. Mi ci sono voluti alcuni dischi per farlo bene. Ma, alla fine, ci sono riuscito. Come persona creativa, sono cresciuto in pubblico. Quel processo è stato il modo in cui sono diventato la persona che sono oggi. Guardando indietro, sono contento di questo percorso. Ho tanti problemi come chiunque altro, ma sicuramente ho avuto una vita molto affascinante.
Quali sono le cose migliori e peggiori dell’essere una rock star?
Una delle cose migliori è che sei costretto a lottare con il tuo ego. Ti aiuta a capire chi sarai. Alcune persone si trasformano in coglioni rabbiosi. Penso di essere riuscito a evitarlo. Penso di aver fatto un buon lavoro nel maneggiare sia i miei fallimenti che le mie vittorie. E mi sono accertato di poter bilanciare gli aspetti egocentrici dell’essere una figura pubblica con un’umanità di base. Se lasci andare quell’umanità, non diventerai un buon artista. Diventerai invece un tipo piuttosto noioso.
Anche nella scienza c’è un certo livello di arroganza che serve per sfidare lo status quo e portarlo avanti. Kanye West è l’esempio prototipico del musicista brillante che è un egocentrico totale. Quindi a volte penso che ci sia una relazione positiva tra fare grande arte e avere abbastanza ego da sfidare il modo in cui le cose vengono fatte. Ma un grande ego può chiaramente essere un intralcio.
E può intralciare la tua stessa vita. È un vero peccato. Se arrivi alla fine della vita e ti rendi conto di esser stato un completo stronzo e di non aver imparato un cazzo di niente, cosa resta?
La classica storia triste è la persona famosa che ha allontanato da sé tutti coloro coi quali aveva una relazione significativa e autentica prima di essere famosa e poi è rimasta con le persone che vogliono solo far parte del suo entourage.
Devi avere la testa sulle spalle per passare attraverso la fama e uscirne fuori come una persona completa.
It’s the End of the World as We Know It (And I Feel Fine) è una delle canzoni più famose dei Rem. È anche una delle mie preferite. Ci sono alcune speculazioni online sul fatto che la canzone riguardi il dibattito politico.
Quelle voci non sono vere. La parte importante del titolo è «come lo conosciamo». È lì che ci troviamo ora. L’attuale vicepresidente ha descritto questo momento politico come un punto di svolta, il che non è del tutto corretto. Ma siamo in mezzo al guado tra due epoche che saranno per sempre considerate il prima e il dopo. Non so se noi come paese ci stiamo muovendo nella giusta direzione. Ci sono certamente elementi positivi nel nostro modo di essere. Ma, in questi tempi, devi davvero andarteli a cercare.
Siamo su Jacobin, quindi devo parlarti di politica. Hai detto che sei diventato politicamente consapevole grazie ai tour internazionali. Come definiresti le tue opinioni politiche?
Ho vissuto all’estero da bambino a causa del lavoro di mio padre. Era un pilota di elicotteri nell’esercito. Abbiamo vissuto in Germania e anche in tutti gli Stati uniti, principalmente nel sud e nel Midwest. Mia madre è abbastanza liberal nelle sue convinzioni. Come mio padre, che è deceduto. Aveva un sano disprezzo per i politici. In particolare, odiava il fatto che spesso trattano le decisioni politiche che hanno un impatto sulla vita delle persone come fossero mosse di scacchi. Come militare in servizio attivo, ne ha certamente sentito le conseguenze. Mio padre ha prestato servizio in Vietnam due volte e in Corea una volta, soffrendo di conseguenza di un disturbo da stress post-traumatico. Ciò ha danneggiato profondamente la sua salute. E, naturalmente, a quei tempi c’era poco sostegno per le vittime del disturbo da stress post-traumatico. Dovevi solo continuare a tenere la testa alta e andare avanti.
Mi considero un socialista democratico. Sono certamente molto più radicale del Partito democratico. Ma sono un membro del Partito democratico semplicemente per poter votare alle primarie. Questa è l’unica ragione per cui il mio nome è associato a loro. Sono fortemente consapevole del fatto che è stato il Dnc [Comitato Nazionale Democratico] che ci ha consegnati a Donald Trump nel 2016. E ne sentiremo l’effetto ancora per molto tempo. Noi newyorkesi sapevamo chi e cosa fosse Trump. Il fatto che lui, come star dei reality, sia in qualche modo arrivato a quel livello è fottutamente patetico. Da una prospettiva internazionale, è profondamente imbarazzante. Guardalo da Berlino, che è una delle mie altre case, dove la gente si chiedeva che cazzo stesse succedendo agli statunitensi. Cosa state facendo?!
Nel 2016, non avevo necessariamente bisogno di un presidente donna. Ne ho avuto uno in Germania con Angela Merkel. E non ero d’accordo con molte delle sue idee politiche. Ma ho visto gli aspetti positivi della sua cancelleria, almeno per quanto riguarda la crisi dei rifugiati.
Una delle cose che mi ha fatto più arrabbiare all’inizio del mandato di Trump è stata la drastica riduzione dell’accoglienza per i rifugiati. Poi Biden ha voluto mantenere quel tetto fino a quando non ha ricevuto un contraccolpo e l’ha innalzato. Non sono un fan di Biden, ma Trump chiaramente non si sarebbe piegato a pressioni del genere. E dovremmo fare molto di più. Il Canada, un paese un decimo delle nostre dimensioni, sta reinsediando molti più rifugiati. È imbarazzante ma anche orribile.
Guardate l’intervento statunitense in America Centrale negli anni Ottanta. Quindi guarda come il Canada ha risposto alle crisi dei rifugiati in quel decennio. Mi sono esibito a Toronto da giovane e ho visto quella città diventare di gran lunga la città più internazionale del Nord America. E molto era dovuto alle politiche sui rifugiati del Canada negli anni Ottanta. Nel frattempo, abbiamo vissuto l’orrore degli anni Reagan-Bush. All’epoca pensavamo che fosse il punto più basso che gli Stati uniti potessero toccare. Non avevamo idea di cosa sarebbe successo dopo.
Nel 2016, chiunque non fosse stato impegnato a rimirarsi il culo avrebbe potuto misurare la temperatura del paese e rendersi conto che eravamo vulnerabili al fascino di uno come Trump, qualcuno che non era un carrierista di Beltway. E l’alternativa, Hillary Clinton, rappresentava la politica interna più di chiunque altro. Io ho sostenuto Bernie Sanders. In effetti, di tanto in tanto indosso ancora il cappellino della sua campagna elettorale. L’intervistatore con cui ho parlato poco prima ha detto che l’ha indossato in un bar e ha ottenuto uno sconto del 20%, il che è fantastico. Come senatore di lunga data e politico a Washington, Bernie è riuscito stranamente a essere un oggetto alieno. Tanto che credo che avrebbe vinto le elezioni del 2016 se il Dnc non fosse stato così fottutamente cinico e corrotto. Detto questo, penso che Hillary Clinton da giovane fosse assolutamente brillante e altruista. Ma questi tratti sono svaniti quando è stata messa alla gogna sulla scena mondiale, non solo come donna ma come personaggio pubblico. Ecco la sfortuna.
Sono con Bernie per la rivoluzione politica, voglio un cambiamento enorme. Ma mi rendo anche conto che una parte enorme della politica e del processo decisionale, specialmente in un paese delle dimensioni degli Usa, è frutto di un compromesso. Devi essere in grado di scendere a compromessi. E molte persone non sono così brave a farlo.
Gli artisti spesso fanno politica. Ma in genere in forme molto generiche. Le loro richieste di «salvare il pianeta» o «essere impegnati» sono difficilmente attuabili. Molti musicisti hanno sostenuto Bernie. Quando fanno spettacoli potrebbero avere l’opportunità, ad esempio, di sostenere i candidati locali dei Democratic Socialists of America (Dsa) o posizioni di sinistra. Pensi che ci sia qualche possibilità per i musicisti di iniziare a fare cose del genere? Se sì, in che modo dovrebbero procedere?
Non voglio autoincensarmi, ma negli anni Ottanta coi Rem ho suonato per sostenere un gruppo di avvocati ambientalisti di Atlanta. Portavamo spesso con noi gruppi ambientalisti in viaggio e permettevamo loro di tenere uno stand vicino a quelli del nostro merchandising. Infatti, i Rem hanno messo insieme Greenpeace, Nature Conservancy e il National Resources Defense Council per la prima volta. La mia band ha fatto molto di più che gridare slogan generici.
C’è senz’altro un modo per far coincidere le arti e la politica. Avere un pulpito e un pubblico, un palco e un microfono non richiede che tu diventi eccessivamente politico. Puoi esprimerti anche in modi sottili. Bruce Springsteen ha fatto un ottimo lavoro in questo senso nel corso della sua carriera. Negli anni 2000, però, si è davvero stufato e ha deciso di parlarne esplicitamente. Ma, per tutto il tempo, aveva infuso nel suo lavoro idee e storie che facevano capire la sua posizione politica. Non mi rivolgo alla musica o alle arti per saperne di politica. Tuttavia, a volte funziona. Quando accade, è piuttosto bello. Quando non riesce, però, è un miserabile fallimento.
*Garrison Lovely è uno scrittore freelance che vive a Brooklyn. Ha contribuito a fondare il Cornell’s Prison Reform and Education Project. Conduce il podcast The Most Interesting People I Know. Questo testo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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