La follia di lavorare a ogni costo
Si parla tanto di come i governi stanno provando a fronteggiare il virus, ma c'è molta meno attenzione su come nell'emergenza viene rimodellato il mondo del lavoro scaricando il peso della crisi su lavoratori e lavoratrici
Dopo l’evacuazione dei passeggeri contagiati, la nave da crociera Princess Diamond ha avuto bisogno di pulizie approfondite. Un appaltatore australiano ha vinto la gara e puntualmente ha inviato ai suoi addetti alle pulizie un messaggio in cui offriva una «grande opportunità» per una settimana di lavoro. I lavoratori in questione erano addetti alle pulizie delle scuole, privi dell’esperienza necessaria a rapportarsi a situazioni di pericolo batteriologico. Ma visti i loro bassi salari, i cinque-seimila dollari promessi per una settimana di lavoro avrebbero suscitato sicuramente interesse.
Per fortuna, l’United Workers Union non era disposta ad accettare l’atteggiamento irresponsabile dei dirigenti. Hanno protestato davanti al quartier generale dell’azienda e hanno esortato i lavoratori a non accettare l’incarico. L’orario proposto e le condizioni di lavoro erano tutto fuorché trasparenti – e gli addetti alle pulizie non avevano ricevuto nessuna formazione specifica. I lavoratori non erano stati testati per precedenti problemi di salute, che li avrebbero resi più vulnerabili.
La disputa sulla Princess Diamond esemplifica bene il problema alla base del modo in cui i media stanno presentando la crisi del Coronavirus. Si parla tanto di come i governi e le imprese stanno provando a fronteggiare la crisi, ma molta meno attenzione è prestata a come questa stessa crisi sta rimodellando il mondo del lavoro – e il peso che scarica sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici. Invece è la cosa che potrebbe davvero fare la differenza e non solo tra i professionisti del comparto sanitario.
Dai lavoratori del terzo settore a basso reddito fino ai fattorini che a Wuhan hanno continuato a nutrire la popolazione in quarantena, alcune categorie stanno subendo più di altre gli effetti di questa crisi – e spesso sono quelle più a rischio. Gli addetti alle pulizie e gli impiegati delle carceri, ad esempio, sono in molti casi la prima linea di difesa contro la diffusione del virus. È assurdo che spesso siano anche i lavoratori pagati peggio di tutti.
Di fronte a questa situazione – e ai cambiamenti crescenti sulle modalità di lavoro per i lavori a bassissimo reddito – non dobbiamo pensare al Coronavirus come a una sorta di disastro naturale. È urgente stimolare i sindacati affinché proteggano la sicurezza dei lavoratori, per assicurarci che quanti stanno in prima linea siano pagati adeguatamente, da un lato, e dall’altro abbiano tutte le protezioni necessarie.
Il presenzialismo è pericoloso
I capi si lamentano sempre dell’assenteismo dei loro dipendenti. Tuttavia, ai tempi del Coronavirus, dovremmo essere più preoccupati del contrario: il presenzialismo di quanti dovrebbero riguardarsi o avere accesso a trattamenti sanitari ma si sentono obbligati a presentarsi al lavoro.
Ad esempio i lavoratori della ristorazione e affini, che spesso guadagnano talmente poco che saltare un giorno di lavoro li metterebbe nei guai. Come ha commentato un utente di Twitter, se questi lavoratori non avranno accesso alla malattia retribuita, continueranno a presentarsi a lavoro – e con ciò contribuiranno alla diffusione del virus. Nel 2017, secondo l’Us Bureau of Labor Statistics solo il 46 percento dei lavoratori del settore dei servizi ha avuto accesso ai permessi per malattia [negli Stati uniti, ndt].
In Gran Bretagna, invece, la malattia retribuita inizia solitamente dopo il terzo giorno di assenza. Nondimeno, la catena di pub Jd Wetherspoon – che conta più di 45 mila dipendenti – ha dichiarato che tratterà il Coronavirus come qualsiasi altra malattia, e cioè che i lavoratori malati che resteranno a casa per paura di diffondere il virus rimarranno senza paga. La forza lavoro part-time della catena di pub sarà particolarmente colpita da questa politica, dato che i lavoratori inglesi hanno diritto alla malattia retribuita solo se guadagnano più di 118 sterline a settimana.
In Cina, teatro del primo focolaio, le aziende private hanno decurtato i salari o ritardato i pagamenti. In molti casi, i lavoratori sono stati costretti a usare le proprie ferie e a prepararsi per congedi non retribuiti. Alla Foxxconn, fornitore Apple, i lavoratori stanno tornando a lavoro dopo la quarantena per un terzo del salario. Nel frattempo, nel settore della ristorazione i lavoratori si trovano disoccupati perché privi di clienti.
Alcuni datori di lavoro stanno facendo dei cambiamenti. Il Financial Times sta dando consigli ai colletti bianchi su come lavorare da casa, e sostiene che il tanto decantato avvento dello smart working al di fuori dell’ufficio stia finalmente diventando realtà. Molti luoghi di lavoro tradizionali stanno andando verso il lavoro agile, un tempo prerogativa della Silicon Valley e dell’industria tecnologica, per impedire che i propri dipendenti contraggano il virus perdendo ancora più giorni di lavoro per malattia. L’azienda petrolifera Chevron ha chiesto ai suoi trecento e passa lavoratori di Londra di lavorare da casa. Ma questi professionisti che passano al lavoro da casa hanno ben poco impatto sulla diffusione della pandemia, dato che milioni di lavoratori dei servizi e delle fabbriche devono necessariamente operare nei luoghi di lavoro. Se qualche lavoratore si presenta a lavoro malato, si corre il rischio di infettare i clienti; se li fai restare a casa, potresti essere costretto a chiudere del tutto bottega.
Il problema è che la cultura del presenzialismo scarica il peso della decisione sui lavoratori e le lavoratrici – e spesso fa sì che si presentino al lavoro quando dovrebbero invece stare a casa. Il rapporto di forza nei luoghi di lavoro – la tirannia dei capi e il bisogno di essere pagati – porta spesso a prendere una decisione irrazionale che mette in pericolo tutta la società. Anche se presentarsi al lavoro nonostante tutto viene considerato «dedizione», non è affatto un bene per i propri colleghi – né per i clienti.
Il lavoro sta cambiando
Ma non è solo la cultura dei colletti bianchi a cambiare. Sta anche cambiando il contenuto stesso del lavoro – cosa vuol dire lavorare. Questo è soprattutto il caso di quanti lavorano nelle industrie che potrebbero contribuire alla prevenzione delle malattie, come i lavoratori e le lavoratrici di cura, nei settori delle pulizie e sanitario, lo staff medico, che può porre un freno alle conseguenze peggiori del virus, così come per altre persone che possono potenzialmente farsene vettore.
In Nigeria, dove il primo paziente positivo al Coronavirus è stato identificato due settimane fa, le guardie giurate sono state mobilitate per distribuire igienizzanti a tutti quelli che entrano negli edifici. Utilizzare i lavoratori peggio pagati per impedire un focolaio deve andare di pari passo con un aumento dei benefit per i lavori a rischio e, soprattutto, con il diritto alla malattia, così che possano svolgere il loro lavoro in maniera efficiente. Purtroppo, questo non sta assolutamente accadendo – con la maggior parte dei lavoratori sotto pressione affaticati da ulteriori responsabilità senza aumenti di paga.
È una cosa che ho notato durante una recente visita a un museo di Brussels, dove lo staff del museo doveva sanificare le audioguide dei visitatori. Anche se sembra un compito poco importante, i lavoratori quasi mai ricevevano una formazione adeguata su come eseguire questo compito improvviso, che spesso diventava parte del loro lavoro. E ancor più raramente venivano pagati di più per questi compiti aggiuntivi: «fa parte del lavoro», dicevano i capi. Chiunque lavori a contatto con il pubblico sa bene come spesso questi piccoli compiti e attività si sommino finendo col diventare ingestibili. Fatto particolarmente vero quando la malattia causa una carenza di personale.
Nell’industria delle pulizie, il Coronavirus sta intensificando il regime di lavoro, con l’introduzione di nuovi standard di igiene. Questi standard sono decisi da organismi di normalizzazione dominati da compagnie che spesso codificano i propri metodi di lavoro per guadagnare un vantaggio competitivo sul mercato. Ma i lavoratori non possono mettere bocca su questi standard – né è scientificamente provato che producano effetti positivi.
I lavoratori della sanità incaricati di occuparsi della situazione non stanno messi meglio. Una fonte interna all’Us Department of Health and Human Services ha rivelato che il dipartimento non ha abbastanza mascherine protettive per tutti i lavoratori. La mancanza di mascherine protettive sta peggiorando, dato che la popolazione generale le sta acquistando in dosi massicce. Persino l’Us Surgeon General ha dovuto chiedere al pubblico di limitare l’acquisto di mascherine, così che i professionisti del settore sanitario che ne hanno davvero bisogno possano contenere il Coronavirus e curare i lavoratori senza infettarsi a loro volta.
Il focolaio cinese illustra molto bene come sovraccaricare i lavoratori degli ospedali mini alla base tutti gli sforzi nel contrastare il virus. Qui, più di tremila operatori sanitari cinesi hanno contratto il Coronavirus, e otto di loro sono morti. In un caso, un paziente ricoverato nell’ospedale di Wuhan ha infettato dieci medici. La mancanza di rifornimenti sanitari, l’aumento esponenziale del numero di pazienti, e l’alta contagiosità del virus si sono combinati con lo stress, i lunghi orari di lavoro, e la carenza di personale, creando un circolo vizioso per coloro a cui era affidata la gestione della crisi.
Mentre il Coronavirus viaggia da paese in paese, non c’è quasi alcun dubbio che sempre più lavoratori saranno responsabili di doverne gestire gli effetti. Quello che resta da capire è se questo carico di lavoro extra comporterà un aumento dei salari, una maggiore formazione e una maggiore sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. Tutte cose fondamentali per garantire alle prime linee di mantenere la propria dignità nello svolgimento del lavoro che sono chiamati a fare.
La fine della gig economy?
I lavoratori della gig economy corrono un rischio particolarmente alto di contrarre il virus – eppure sono fra quelli peggio retribuiti. In Cina come altrove, i rider del food delivery sono in prima linea nel far sì che la popolazione in quarantena sia ben nutrita. Eppure non sanno se la persona che sta ordinando del cibo è malata oppure no.
È vero che il turismo sta rallentando, ma i lavoratori dei servizi che si trovano a stretto contatto con i turisti hanno spesso contratto il Coronavirus, a volte con conseguenze mortali. A Taiwan, un autista di taxi che ha trasportato passeggeri dalla Cina e da Hong Kong è morto lo scorso febbraio. Mentre il turismo rallentava, gli autisti di taxi in Thailandia hanno visto i loro mezzi di sussistenza venire distrutti da paghe che passavano da trenta a dieci dollari al giorno.
Gli ammalati sono spesso invitati a usare taxi o app di ridesharing al posto delle ambulanze. A Londra, una paziente di Coronavirus quando è stata male non ha chiamato l’ambulanza, ma al suo posto ha preso un taxi Uber per andare al pronto soccorso più vicino, dove ha varcato la soglia e si è presentata allo staff della reception. È stata una corsa breve, e l’autista non è stato contagiato. Tuttavia, queste storie sottolineano il pericolo a cui i lavoratori della gig economy sono esposti.
I lavoratori indipendenti della gig economy non hanno diritto alla malattia retribuita o ad agevolazioni per l’assistenza sanitaria. Il Washington Post ha riportato che gli autisti stanno pulendo le loro macchine. Ovviamente, questi autisti non sono pagati per il tempo passato a pulire. A differenza di Lyft, Uber ha mandato ai propri autisti un messaggio interno con le precauzioni dettagliate che devono prendere. Questo non fa altro che sottolineare il fatto che sono suoi impiegati – e dovrebbero essere trattati come tali.
Il modello di lavoro di queste aziende, e la loro gestione algoritmica e il controllo che hanno sui lavoratori, sono insostenibili al tempo del Coronavirus. La mancanza di trasparenza o dei basilari diritti dei lavoratori – con datori che non fanno niente per proteggere i propri dipendenti dalla diffusione del virus – sta contribuendo anche a un razzismo anti-asiatico, e alcuni autisti si rifiutano di accettare passeggeri con tratti asiatici.
Le richieste dei lavoratori, le risposte dei sindacati
Attualmente, sembra che il Coronavirus stia continuando a esacerbare le diseguaglianze del mercato del lavoro. Il movimento dei lavoratori non dovrebbe smettere di fare pressioni sui datori di lavoro, come se fossero semplicemente vittime della situazione. Le aziende dovrebbero garantire mascherine protettive, offrire opportunità di lavoro da casa, e fornire giorni di malattia aggiuntivi e più agevolazioni per l’assistenza sanitaria.
Il Trades Union Congress (Tuc) della Gran Bretagna sta facendo da esempio nel chiedere dei cambiamenti per la malattia retribuita. Per il Tuc, ai lavoratori al di sotto della soglia delle 118 sterline a settimana dovrebbe essere garantita la malattia a partire dal primo giorno. Un cambiamento simile coinvolgerebbe 2 milioni di lavoratori. Il 3 marzo, il primo ministro Boris Johnson ha detto alla Camera dei Comuni che la paga legale per la malattia (94,25 sterline a settimana) sarà garantita a partire dal primo giorno, ma si è rifiutato di rispondere alla domanda del leader del Labour Jeremy Corbyn se questa estensione sarà applicata ai lavoratori part-time.
Nel frattempo, i lavoratori della sicurezza aeroportuale dell’Aeroporto di Francoforte, in Germania, hanno chiesto che gli siano garantite le mascherine protettive. Anche se le mascherine non impediscono necessariamente la diffusione del virus, i sindacati dovrebbero sicuramente chiedere più misure di sicurezza e di salute per i lavoratori della prima linea.
Soprattutto, i sindacati dovrebbero chiedere più giorni di «lavoro da casa» o da remoto – una domanda crescente nella forza lavoro odierna. Anche se il lavoro da casa può presentare dei problemi, come quello di lavorare nei fatti molte più ore, questa misura avrebbe dei vantaggi considerevoli soprattutto per le donne – che hanno più difficoltà nel bilanciare il lavoro con la cura dei bambini e degli anziani.
Senza dubbio, la crisi del Coronavirus porterà a numerosi cambiamenti nel mondo del lavoro. Ma, come per ogni crisi, la domanda è chi ne dovrà pagare il conto. Per i lavoratori e le lavoratrici, un’opzione è il fatalismo – accettare le pretese dei capi che affrontare questi rischi sia oramai «parte del lavoro». Oppure, possiamo insistere sul fatto che i datori di lavoro si prendano le loro responsabilità, e implementino i cambiamenti necessari a far sì che i lavoratori e tutti quanti siano al sicuro.
*Mark Bergfeld è direttore del Property Services & Unicare at Uni Global Union – Europa. Questo articolo è uscito su Jacobinmag.com. La traduzione è di Gaia Benzi.
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