
L’assedio è rotto
A Casal Bruciato una rete composita ha smascherato l'operazione mediatica di CasaPound contro una famiglia rom. Resta un problema di ordine pubblico: come mai un gruppetto di fascisti ha potuto minacciare e insultare in libertà?
Un mese fa a Imer, Senada e i loro dodici figli, è stata notificata l’assegnazione di una casa popolare in via Satta, Casal Bruciato alla periferia nord-orientale di Roma. Aspettavano da dieci anni questa notizia, da quando avevano fatto domanda per scappare dal campo rom dove hanno sempre vissuto. «Il campo è dove c’è la comunità ma non è una casa – dicono – Non ci si vive bene e i bambini se ne vergognano con i compagni di scuola».
Lunedì, felici come chi vince una vita nuova, sono entrati nel nuovo appartamento. Niente luce, niente gas, nessun mobile, non ancora, ma un appartamento vero.
Dal pomeriggio però alcuni residenti e militanti di CasaPound hanno organizzato un presidio proprio sotto casa di Imer e Senada per intimidirli e indurli a lasciare l’abitazione. Urla, insulti, grida indirizzate alle loro finestre, abbastanza per traumatizzare le più piccole delle bambine che hanno passato ore a chiedere se quelle persone fossero arrabbiate con loro. Poi hanno capito.
Da subito alcune realtà sociali e alcuni cittadini si sono messi a fianco di questa famiglia. Con una presenza costante, facendo i turni per dormire insieme a loro la notte e portare da mangiare. Perché in questi giorni, di fatto, quattordici persone tra le quali diversi bambini sono state assediate e sequestrate a casa loro, oltre che insultate. Perché, di fatto, è stata impedita la libertà di circolazione: non potevano uscire se non scortati dalla polizia o assumendosene il rischio. Già dallo scorso martedì 7 maggio, al mattino i militanti dell’organizzazione fascista hanno invaso l’androne del palazzo con bandiere e montato un gazebo sotto gli occhi distratti (o complici?) della polizia. Poche ore dopo, nel pomeriggio, la situazione era paradossale: a CasaPound era consentito stazionare sotto casa di Imer e Senada per insultarli, ai cittadini riuniti in un presidio antifascista non era permesso entrare nell’androne per portare alla famiglia la propria solidarietà.
Ho visto con i miei occhi i bambini terrorizzati abbracciare la mamma mentre si chiedevano il perché di tutto questo. Come si fa a spiegare ad una bambina di 3 anni che qualcuno la odia?
Ho visto la frustrazione per non avere niente, neanche un letto dove stendersi, la rabbia per la violenza subita, ma soprattutto l’enorme determinazione di un padre e una madre decisi a non mollare, senza chiedere neanche una soluzione alternativa al dipartimento politiche abitative e con l’intenzione di rimanere lì, pure in questi giorni, senza andarsi a rifugiare al campo nomadi. Decisi a proteggere la loro casa ed il loro futuro.
Solo grazie ad un importante e partecipato presidio solidale di mercoledì pomeriggio promosso da associazioni e sindacati sì è riusciti a imporre l’uscita di CasaPound dall’androne del palazzo di via Satta. Ci è voluta una notte ancora perché il gazebo, simbolo dell’assedio neofascista alla famiglia assegnataria, venisse rimosso.
Incredibile l’atteggiamento delle forze dell’ordine. Nelle prime 24 ore, mentre il presidio sotto la loro finestra sputava minacce di ogni tipo, la polizia è rimasta rigorosamente fuori dalla palazzina e alla nostra richiesta di intervenire a protezione della famiglia hanno opposto la libertà di manifestazione e di dissenso dei cittadini. In sintesi viene prima la libertà di un’organizzazione neofascista di intimidire una famiglia, solo dopo il diritto di quella famiglia stessa alla serenità e all’incolumità in casa propria. Tutto ciò suona ancora più paradossale in un paese in cui, con la nuova legge sulla legittima difesa, alla violazione della proprietà privata si può rispondere con le armi.
La vicenda di Casal Bruciato segue un copione ormai noto: la stessa dinamica si era osservata meno di un mese fa nello stesso quartiere; così come la settimana scorsa a via della tenuta di Torrenova, nel quartiere di Tor Vergata, sempre ai danni di una famiglia rom.
Il comune diu Roma negli ultimi mesi sta finalmente assegnando le case popolari secondo le graduatorie. Tra i legittimi assegnatari ci sono ovviamente italiani, ma anche migranti, rom e tutti coloro che ne hanno i requisiti. È da tempo però che per ogni famiglia straniera a cui viene assegnata una casa si verifica la protesta organizzata o attivamente sostenuti da CasaPound o altre forze neofasciste con il tentativo di farne dei casi mediatici e di coinvolgere la cittadinanza.
Che queste vicende tengano banco sulla stampa e nelle tv è un fatto conclamato. Si tratta di scene che si prestano a essere enfatizzate, mediatizzate, spettacolarizzate. La realtà però non è esattamente come spesso viene raccontata. Non è vero che CasaPound riesce a coinvolgere la cittadinanza in queste proteste. A Casal Bruciato non abbiamo visto il quartiere scendere in piazza per cacciare la famiglia rom. C’erano invece, come sempre, 30 o 40 militanti fascisti che urlavano slogan contro i migranti, i rom e i manifestanti che si oppongono alle proprie iniziative politiche.
È vero che a Roma e nel paese ed in particolare nelle zone periferiche e popolari c’è un crescente sentimento di intolleranza nei confronti dei migranti, che le forze di estrema destra in qualche modo intercettano. Si tratta di insofferenza dovuta alla mancanza di servizi e all’impoverimento diffuso, di cui la precarietà abitativa è principale indicatore, cui si unisce la presenza di campi nomadi e centri di accoglienza che alimentano una percezione di insicurezza. CasaPound non riesce a organizzare questa insofferenza, ma ci si mette in connessione.
La povertà a Roma si chiama “emergenza abitativa”.
A Roma sono 10 mila i senzatetto che vivono per strada e almeno altrettante persone stanno nelle occupazioni abitative promosse dai movimenti di lotta per la casa. Di fronte a questa emergenza la risposta delle istituzioni rimane del tutto insufficiente quanto a risorse investite; manca una sanatoria per chi ha occupato le case popolari e non vi è adeguata manutenzione delle stesse. Insomma si tratta di una questione centrale nella vita della città e di moltissimi dei suoi cittadini che però non è al centro dell’agenda di nessuna forza politica, sicuramente non di coloro che governano regione e città.
In questi giorni però abbiamo visto anche una tempestiva risposta di movimenti e associazioni, che si sono messe a disposizione concretamente e che hanno organizzato manifestazioni antirazziste. Pur nell’arretramento della sinistra organizzata e del sociale nei quartieri periferici, rimangono alcuni presidi. Sportelli sulla casa, doposcuola per i ragazzi, distribuzione del cibo alle famiglie più svantaggiate sono alcune delle attività solidali e mutualistiche che movimenti e associazioni mettono in campo, seppur con non poche difficoltà. Esse hanno un valore in sé per l’utilità immediata e per l’aiuto concreto che forniscono a chi è vittima di ingiustizie e violenze. Ma riescono anche a permettere una relazione costante con i ceti popolari e più un generale tentano di ricostruire un blocco sociale togliendo terreno all’estrema destra che da tempo ha mutuato in queste zone le tradizionali pratiche sociali dei movimenti.
*Alberto Campailla è attivista dell’associazione Nonna Roma e sindacalista Flc-Cgil
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