Non è colpa vostra
Cercheranno di farvi pagare la crisi climatica giocando coi soliti ingredienti per scaricare sulle nostre vite i loro disastri: individualismo, moralismo e patriarcato
Hanno già cominciato a farlo e succederà sempre più spesso, con maggiore aggressività man mano che la catastrofe incombe. Vi diranno che se il pianeta terra e la sua atmosfera vanno consumandosi giorno dopo giorno i colpevoli siete voi. Che l’ambiente è una risorsa finita e dunque va utilizzata con parsimonia e giudizio. I predicatori del pensiero dominante giocheranno con i soliti ingredienti, individualismo e moralismo, per scaricare sulle nostre singole esistenze le esternalità negative di un sistema che funziona inseguendo il profitto nel breve termine e devasta l’ambiente. Noi pensiamo che i singoli uomini e donne abbiano in mano il loro destino e che con le loro scelte quotidiane possano cambiare il corso delle cose, ma che ciò avvenga quando queste diventano azione collettiva e non pratica atomizzata.
Questo numero di Jacobin Italia si interroga sulla radicalità della sfida posta dai giovanissimi che hanno cominciato a scendere in piazza ogni venerdì in tutto il pianeta e cerca di collocarla dentro la temperie del momento. Si apre con le voci di alcuni dei ragazzi e ragazze italiani che hanno raccolto il testimone dei Fridays for Future, collezionate da Salvatore Cannavò e Lorenzo Zamponi, e con le infografiche che riassumono il senso dell’avvenire come posta in palio: dal punto di vista dei dati dell’inquinamento e di chi lo produce e da quello della composizione dei movimenti che hanno deciso di scendere in campo. Daniel Tanuro, invece, ragiona sull’impossibilità di una politica ambientale che non costituisca anche una rottura con l’egemonia capitalista. Marco Armiero e Ethemcan Turhan fanno notare che non c’è nessuna apocalisse da scongiurare, perché in molte parti del pianeta e per i poveri di tutto il globo la catastrofe è già parte della vita quotidiana.
Ospitiamo poi uno dei principali teorici del concetto di «capitalocene»: Jason Moore. In un lungo e denso dialogo con Elena Musolino, Moore spiega come l’ambiente e le materie prime siano oggetto di sfruttamento esattamente come il lavoro. E che questa crisi ambientale corrisponde alla crisi economica globale. A questo punto avremo capito che non è possibile separare le questioni ambientali da quelle politiche, che natura e società sono in relazione.
In virtù dell’intreccio di cui sopra, non basteranno escamotage tecnici o soluzioni innovative a tirarci fuori dal disastro. Andrea Capocci ne passa in rassegna alcune e Matteo De Giuli ragiona sul rapporto tra nuove tecnologie considerate «pulite», materie prime ed emergenza climatica. Ci sono altre due trappole da evitare quando si parla di ambientalismo: la prima è quella di utilizzare la questione ecologica per pulire la coscienza sporca delle multinazionali (ce ne parla Giulia Franchi), la seconda quella di farvi credere che basta utilizzare una borraccia o fare la raccolta differenziata per mettere a posto le cose (è il tema di cui si occupa Wolf Bukowski). Non manca il lato prettamente elettorale della faccenda: Nicola Carella ricostruisce la storia ambivalente dei Grünen, il partito verde tedesco che secondo alcuni sondaggi oggi, con la fine dell’era Merkel, uscirebbe vincente dalle elezioni.
La vulgata vuole che le lotte operaie e quelle ambientali si giochino su terreni separati, quando non su fronti contrapposti. Emanuele Leonardi dimostra il contrario: la lotta contro la nocività in fabbrica, e spesso anche contro il lavoro, ha anticipato i temi ecologisti. Sempre a proposito di conflitti, Alberto Di Monte traccia un filo tra movimenti sociali e ambientali degli ultimi vent’anni.
Siamo arrivati all’inserto: Martoz e Lorenzo Palloni raccontano a fumetti la storia di Jude: le tavole fantascientifiche, introdotte da Elisa Albanesi, fanno i conti con la finitezza delle risorse terrestri e immaginano lo sfruttamento di altri pianeti.
Non dobbiamo smettere di imparare dai nostri nemici, decostruendone i linguaggi e analizzando le loro retoriche. Ecco perché abbiamo chiesto a Leda Berio di analizzare il modo in cui Greta Thunberg, la ragazza che ha dato il via agli scioperi per il clima, viene attaccata. È un ottimo modo per comprendere ciò di cui hanno paura i manovratori dell’esistente. C’è una relazione stretta tra ecologia e questioni di genere: ce ne parlamo Miriam Tola, sul fronte del pensiero femminista, e Tithi Bhattacharya, che traccia le connessioni tra lavoro di cura e riproduzione della vita. Marta Panighel osserva le questioni climatiche da una prospettiva obliqua e postcoloniale, analizzando il modo in cui hanno generato stereotipi razzisti. Gaia Benzi mette a critica il concetto stesso di natura: spesso predicare il ritorno alle origini e alle purezza nasconde messaggi reazionari. Alberto Prunetti ci regala alcune pagine del suo diario di contadino, utili a capire nella pratica come le mutazioni climatiche influenzano il ritmo delle stagioni e il lavoro della terra. Di agroecologia si occupano quelli di Mondeggi, fattoria senza padroni nelle colline a sud di Firenze, che ci raccontano il modo in cui hanno salvato un bene comune sottraendolo alla speculazione e alla coltivazione intensiva. Infine, Giulio Calella illustra il Green New Deal, la proposta presentata dalla deputata statunitense Alexandra Ocasio-Cortez di cui si parla in tutto il mondo.
La sezione dedicata alle traduzioni dal numero 34 – che esce in contemporanea a noi negli Stati uniti – della nostra testata sorella Jacobin Magazine è dedicata alla guerra e si intitola War is a racket, come il pamphlet del generale pluridecorato Smedley D. Butler, che negli anni Trenta del secolo scorso denunciò la rete di profittatori e corrotti che stava dietro alla macchina bellica. Il rapporto tra industria militare e società viene affrontato dalla denuncia dei crimini dell’esercito (se ne occupa Nick Turse), Sarah Lazare analizza le posizioni sulla guerra dei principali candidati alle primarie del partito democratico per le elezioni presidenziali del 2020 (vi anticipiamo che non sono esaltanti). David Broder disserta del rapporto tra popolo ed esercito a partire dal 1800: oltre al pacifismo c’è anche il sabotaggio dall’interno delle logiche belliche. Infine, Connor Kilpatrick racconta l’esperienza concreta di un giovane britannico nelle fila di un altro esercito possibile: quello anti-autoritario che combatte in Rojava.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.