
Un bluesman in corsa per la Casa bianca
Cornel West, filosofo afroamericano, racconta la sua corsa alle presidenziali, sulla scia di Martin Luther King e della tradizione del blues, che impone di dire la verità
Laureatosi ad Harvard e primo afroamericano a ottenere un dottorato di filosofia a Princenton, Cornel West, settant’anni compiuti il 2 giugno scorso, è stato professore in entrambe le università oltre che a Yale, a Parigi e in altri prestigiosi istituti universitari. Tra i più rinomati intellettuali e attivisti americani, West gode di una grande popolarità anche tra la gente comune per le numerose partecipazioni a trasmissioni televisive con interventi che spaziano nei più vasti ambiti culturali tra cui il blues e il jazz. Autore di una ventina di libri tra cui Race Matters e Democracy Matters, Cornel West, già sostenitore di Bernie Sanders nelle campagne del 2016 e 2020, si è candidato a sorpresa un mese fa alle presidenziali del 2024, lanciando la sua campagna con il People’s Party per poi approdare al Green Party molto più strutturato e riconosciuto a tutti i livelli. In questa intervista ho avuto il piacere e l’onore di parlare con lui della situazione politica statunitense, della sua candidatura e di molto altro.
Dr. West, prima di entrare nel cuore della sua candidatura alle presidenziali del 2024, vorrei farle alcune domande che hanno a che fare con la percezione che gli italiani hanno generalmente della politica americana. Nei nostri media mainstream domina una sorta di pensiero unico che vede Repubblicani e Democratici contrapposti come destra e sinistra. Recentemente in un programma televisivo sugli Stati uniti il giornalista italiano Federico Rampini – invitato a tutti i talk show politici e considerato quasi unanimemente la nostra massima autorità in campo americano – si è riferito come di consueto al Partito democratico come «sinistra» e all’ala che fa riferimento a Bernie Sanders e Alexandria Ocasio Cortez come «estrema sinistra» pur sapendo che nell’immaginario italiano l’«estrema sinistra» è qualcosa di molto differente da ciò che Bernie, Aoc e anche lei, dottor West, rappresentate. Può darci un quadro più oggettivo della situazione politica americana?
Innanzitutto bisogna essere chiari sul fatto che gli Stati uniti sono governati da due partiti. Uno è il Partito repubblicano che è dominato da Donald Trump e che si sta muovendo sempre più verso il neofascismo, come esplicitato dal non avere accettato il passaggio di consegne con Biden e le procedure e le pratiche democratiche. Il neofascismo governa secondo le regole del big money, del grande militarismo, tenendo i cittadini senza potere in modo che, per sentirsi potenti, debbano seguire i pifferai, i leader carismatici, prendendo di mira i più vulnerabili invece di confrontarsi con i veri potenti. I loro capri espiatorti sono immigrati, neri, gay, lesbiche e via dicendo.
L’altro partito, il Partito democratico, è ugualmente legato al big money, al militarismo e alle guerre, ma ha una sensibilità liberale su donne, gay, lesbiche, trans e gente di colore.
Abbiamo dunque due partiti con uguali posizioni verso Wall Street e le grosse corporation così come verso il Pentagono. Poi c’è il Green Party, con il quale mi candido e nel quale lavoro con persone critiche del duopolio formato dalle due ali politiche dell’America delle corporation. Pertanto etichettare il partito Democratico o Joe Biden come «sinistra» è semplicemente non vero. Quello è il partito del neoliberismo, non è la sinistra. Il neoliberismo è per il mercato, per il potere delle corporation, per l’espansione militare all’estero, per le guerre e così via. Sfortunatamente la sinistra è stata storicamente molto debole negli Stati uniti, anche per la repressione: perché molti suoi leader sono stati uccisi e assassinati o hanno subito manipolazioni caratteriali, oppure le loro organizzazioni sono state oggetto di infiltrazioni o attacchi diretti.
La politica negli Usa è soprattutto un scontro tra la destra e il centro. Quando sei un liberal può sembrare che tu sia di sinistra, ma sei solo un liberal. Quando invece sei di sinistra te ne stai là fuori con l’impressione di essere completamente solo.
Il «grande intellettuale nero» Shelby Steele, professore alla Stanford University, ha sostenuto in quel programma che chiunque negli Usa oggi parli di «razzismo sistemico» nei confronti dei neri sia un «imbroglione» e che il movimento Black Lives matter è la personificazione dell’«industria della lamentela» che usa il «vittimismo razziale» per guadagnare potere politico, vantaggi e agevolazioni varie, ad esempio nelle università. Qual è la sua posizione rispetto a queste affermazioni?
Conosco Shelby Steele da più di quarant’anni. È un fratello nero profondamente conservatore. Ma etichettare come un imbroglio la lotta contro la brutalità e gli assassinii della polizia, contro il regime di incarcerazione di massa dove il 45% dei detenuti è nero in un paese che ha circa il 12% di neri, contro la povertà infantile in un paese in cui sul totale del 23% di bambini che ne soffrono il 39% è costituito da bambini neri, per me mette radicalmente in dubbio l’integrità e l’indole di Steele. Possiamo non essere d’accordo intellettualmente, ma non si può ridurre a un attacco personale questioni che hanno a che fare con la vita e la morte di esseri umani. Martin Luther King era un imbroglione? Malcolm X era un imbroglione? Quello che vorrei dire al mio caro fratello Shelby è che ciò di cui parlavano Martin e Malcolm negli anni Sessanta derivava da cent’anni della più barbarica schiavitù suprematista del mondo moderno e da altri cent’anni di leggi segregazioniste. E se lui pensa che tutto ciò sia scomparso negli ultimi quaranta o quarantacinque anni e che le persone che parlano degli effetti e delle conseguenze di quel sistema siano imbroglioni, allora in passato avrebbe potuto definire anche Martin un imbroglione. Non possiamo raggiungere una condivisione di opinioni sul modo in cui certe strutture di dominio continuino ad avere effetti e conseguenze sulle persone anche quando alcune di quelle strutture sono state cambiate e riformate? Cambiamento e riforma non significano avere eliminato alcuni degli effetti e delle conseguenze più profonde.
Forse lo preoccupano coloro che negano il progresso. Io non nego il progresso. Ma il solo modo in cui lo si ottiene è con le lotte. E se coloro che lottano nel 2023 sono imbroglioni, allora nel 1960 anche Martin lo era. Non tener conto di queste verità significa sia non preoccuparsi della profondità della sofferenza, sia giustificare la grottesca ineguaglianza di ricchezza, riducendo ogni grande protesta all’industria della lamentela. È il genere di linguaggio che io considero molto pericoloso, perché finisce col tenere la sofferenza nascosta. Potrebbe essere quella delle donne rispetto ai moralisti, degli ebrei rispetto all’ideologia anti-ebraica, dei palestinesi rispetto all’occupazione israeliana, dei dalit rispetto alla supremazia dei bramini e così via. Tutte queste forme di sofferenza devono essere portate in primo piano. Non si può parlare delle sofferenze della gente come di sofferenze di imbroglioni.
Un altro leit motiv è l’altissimo livello di pericolosità di New York dove sono aumentati criminalità, violenza e numero delle gang. Ciò viene in gran parte imputato a Black Lives Matter e all’ex-sindaco Bill De Blasio che, dopo le proteste per la morte di George Floyd, ha scarcerato 1.700 persone. Mentre arriva il plauso al neo-sindaco Democratico di colore Eric Adams, ex-ufficiale del dipartimento di polizia di New York, che ha vinto con una piattaforma di severo «law and order». Lei cosa ne pensa?
Il «law and order» è maggioritario in entrambi i partiti. Di solito in America significa contrastare, e spesso sopprimere, i poveri e la working class. Quando Wall Street ha commesso enormi crimini attraverso la manipolazione del mercato commerciale, i prestiti predatori, le attività fraudolente, nemmeno uno dei dirigenti di Wall Street è andato in prigione. Quindi avere «law and order» nella parte povera della città e criminalità impunita nella parte ricca significa non essere seri su «legge e ordine». Significa rendere brutale la polizia che di fatto ammazza cittadini neri o brown in misura sproporzionatamente più alta dei bianchi. Non c’è dubbio che tra i poveri e la working class ci sia una criminalità che deve essere perseguita. Ma parte del problema è che il 60% della popolazione lotta ogni giorno per portare cibo in tavola nella nazione più ricca della storia del mondo e credo che già questo fatto sia una sorta di crimine morale.
Nelle strade di New York si possono vedere altissimi livelli di povertà e di persone senza tetto e poi girato l’angolo ci sono i ricchi che vivono come fossero re, regine e principini del Medio Evo. Questa contrapposizione non è solo americana, c’è in tutto il mondo ed è parte integrante della globalizzazione delle corporation in cui i vincitori sono all’apice e i perdenti sono i poveri e la working class. E quando la gente sente di non avere più niente da perdere, che nessuno si occupa dei suoi bisogni, e nello stesso tempo c’è il bombardamento di una cultura di mercato che induce al possesso di beni di consumo, allora si arriva alla militarizzazione. Bisogna analizzare e capire il fenomeno che ha portato molti nostri concittadini ad abbandonare risposte non-violente per scagliarsi gli uni contro gli altri.
Veniamo ora alla sua candidatura alle presidenziali, inizialmente lanciata dal People’s Party e poi, grazie all’intervento di Chris Hedges e Jill Stein, approdata al Green Party che ha un potenziale elettorale molto più ampio. Peraltro lei si era già unito al Green Party di Jill Stein nel 2016 quando, dopo aver sostenuto la campagna di Bernie Sanders, quest’ultimo aveva concesso la vittoria a Hillary Clinton. Nel 2020 poi lei è stato di nuovo tra i più prestigiosi sostenitori di Sanders insieme a Nina Turner, Michael Moore e Susan Sarandon. Ed ora eccola qui. Come è arrivato alla decisione di candidarsi?
Ho sempre dedicato un profondo impegno nella lotta per la verità e la giustizia, ma non immaginavo che questo impegno sarebbe sfociato nella politica elettorale, di cui sono sempre stato sospettoso, perché ho vissuto in un’epoca in cui entrambi i partiti sono stati catturati dal potere e dalla ricchezza delle corporation.
In un momento in cui l’impero degli Stati uniti si trova in una tale condizione di declino e decadenza, è importante che ci siano voci che provino a riportare l’America al meglio di sé. Noi abbiamo una forte tradizione di lotta per i poveri e la working class nella nostra storia: Martin Luther King, il rabbino Abraham Joshua Heschel, Edward Said, Grace Lee Boggs e tutta quell’onda di persone che nel ventre dell’impero statunitense hanno cercato di essere critiche verso le politiche imperialiste e militariste, verso i rapaci processi capitalistici, verso la supremazia bianca e quella maschile. Così quando mi sono guardato in giro mi sono detto: «O mio Dio, avremo davvero ancora un Biden contro Trump? È questo il meglio che l’America può offrire? Trump che spinge il paese verso una seconda guerra civile e Biden che spinge il mondo verso una terza guerra mondiale con la sua risposta all’Ucraina?». I fratelli e le sorelle ucraine con la loro sofferenza sono importanti per me, ma l’espansione della Nato come arma del potere globale degli Usa provoca e genera la possibilità di arrivare a un olocausto nucleare. Allora ho pensato che fosse necessaria la presenza di un’altra voce, di un insieme di voci che criticassero in modo sostanziale l’impero, il capitalismo, la supremazia bianca. E siccome guardandomi intorno quelle voci non le ho viste, mi sono detto: «Be’, forse è meglio che entri in corsa», anche se non lo avevo pianificato, ma è questione di essere fedeli all’impegno per la verità e la giustizia.
Nonostante la deferenza con cui lei è sempre stato trattato dall’informazione mainstream, è già stato definito un candidato «spoiler», responsabile dunque della divisione dell’elettorato Democratico che favorirebbe Trump, cosa che è stata detta anche di Bobby Kennedy jr e Marianne Williamson, che sfidano Biden dall’interno del partito. Tra l’altro, con Marianne Williamson che corre nel Partito democratico, lei che corre nel Green Party e Sanders e Aoc che hanno dato l’endorsement a Biden, l’impressione è che tra i progressisti ci sia un gran caos. Che cosa risponde a chi l’accusa di essere uno spoiler?
Circa il 40% degli aventi diritto al voto non votano a causa del consistente rifiuto del sistema bipartitico. Quelle persone sono parte del mio obiettivo, oltre naturalmente agli elettori votanti. Andrò anche nella terra di Trump dove uno su dieci di quelli che nel 2016 hanno votato per lui avevano votato per Sanders alle primarie, perché erano molto delusi dalle politiche di mercato del Partito democratico che avevano avuto un impatto devastante sulla working class. La gente è stufa dell’impasto neoliberista e non vuole nemmeno andare verso il neofascismo, dopo che il populismo di sinistra di Bernie è stato completamente fagocitato dal Partito democratico. Nelle sue due candidature Bernie è stato trattato in maniera inqualificabile da parte di un partito che con le sue manovre interne ha messo in atto un comportamento del tutto anti-democratico.
Me lo ricordo perfettamente. E anche in questo ciclo elettorale non è da meno, per esempio non ammettendo dibattiti che possano mettere in discussione, o meglio in imbarazzo, Joe Biden.
Ha assolutamente ragione. Nessun dibattito nelle primarie. Ma io non credo affatto che un qualsivoglia candidato possegga i voti. Penso che se li debba guadagnare. Il Partito democratico ha voluto togliere di mezzo ogni cosiddetto «spoiler». A me non piace quel termine perché esprime il loro concetto di possesso dei voti. Ma molta gente sta venendo dalla mia parte proprio perché quei voti non sono stati guadagnati. E se i voti non te li guadagni non li ottieni. È una questione basilare. Noi stiamo già ottenendo consensi da diversi tipi di comunità, perché le persone percepiscono che se parlo di un certo tipo di verità e mi preoccupo per la giustizia, per i loro problemi e per le loro difficili condizioni di vita, allora io sono il miglior candidato. Ma c’è un’arroganza e una supponenza nell’affermare che ottenere i voti di queste persone significa «rubarli». No, si tratta di essere umani che stanno diventando consapevoli. E se ai vostri concittadini non piace la vostra politica, se non sono soddisfatti dai vostri argomenti è perché vedono la vostra ipocrisia e l’inconsistenza dei vostri comportamenti codardi.
Data la sua popolarità e il suo prestigio lei sarà invitato sulle reti televisive più importanti. Come affronterà quelle domande che le verranno sicuramente poste secondo la classica impostazione da establishment, come è già successo con Bernie: «Dove troverà i soldi per il Medicare for All che costerà alla nazione tot miliardi di dollari? Cosa ne sarà di tutti i lavoratori impiegati nel settore in vigore? Perché i cittadini dovrebbero perdere i loro medici di fiducia per passare a un sistema dove un dottore vale l’altro? Con quali fondi si finanzierà questo e quello?»
Risponderò facendo riferimento alla loro ipocrisia. Quando si tratta di andare in guerra con l’Iraq, l’Afghanistan o altri paesi, come ora con il finanziamento della guerra in Ucraina, si trovano miliardi su miliardi di dollari. Ma quando si tratta di combattere la povertà, di avere lavori dignitosi con un salario che consenta di vivere, la sanità per tutti, case decenti, allora ti dicono «dove troviamo i soldi?», distorcendo le priorità. Ecco, io ho priorità e dati diversi. Sono priorità eliminare la povertà delle famiglie, rafforzare la working class, istituire sindacati, sostenere i diritti riproduttivi delle donne. E non solo a parole. Il Partito democratico avrebbe potuto codificare la legge sui diritti riproduttivi molto tempo fa, ma non lo ha fatto. Anche con i diritti di voto è stato lo stesso, solo parole, ma quando si trattava di codificarli non è stato fatto. Perché? Perché anche questa è una questione molto legata a Wall Street, alla Silicon Valley, al potere. È molto chiaro che non esiste un serio impegno per l’eliminazione della povertà, così come non c’è interesse a modificare il sistema di incarcerazione di massa. Ma la gente di tutto il mondo deve sapere che il 25% dei detenuti di tutto il mondo si trova negli Stati uniti e uno su due è nero o brown.
E spesso sono incarcerati nelle prigioni private che sono un grossissimo affare.
Certo, perché le prigioni private sono governate dal sistema di mercato. Tutte queste cose sono realtà. Il nostro impegno è verso la verità. E la verità rappresenta un grande pericolo, lo sappiamo, ma ci porta anche a essere autocritici. Possiamo essere autocritici senza auto giustificarci. Il Partito democratico si autogiustifica, è troppo arrogante. Nello stesso tempo possiamo essere umili senza essere deferenti. Possiamo essere fallibili pur riconoscendo che siamo disposti a batterci per certe verità. Ma al di là di tutto c’è un qualcosa di invisibile che io definisco spirituale. Oggi gli Stati uniti sono guidati da troppo odio e spirito di vendetta. Io appartengo all’eredità di amore e giustizia di Martin Luther King. Non odio Donald Trump, odio la sua falsità e la sua criminalità. Non odio Joe Biden, odio la sua ipocrisia e vigliaccheria. E posso dire che grazie all’amore potremmo vedere quella dimensione spirituale che parla anche all’anima delle persone. Non bisogna limitarsi alla politica machiavellica, e mi scuso se cito il mio caro fratello italiano Niccolò Machiavelli. Voi avete così tanti grandi pensatori che potremmo parlare di Antonio Gramsci o di Gian Battista Vico, forse il più grande filosofo italiano insieme a Tomaso D’Aquino. Ma non voglio che gli italiani pensino che quando cito Machiavelli io usi un linguaggio stereotipato, poiché mi riferisco al calcolo di tensioni e potere invece che a virtù e valori.
A proposito di amore per la verità, lei ha avuto il coraggio di citare esplicitamente le responsabilità di Barack Obama, di cui lei è stato peraltro un fervente sostenitore nel 2008, non solo per diverse politiche attuate quando era presidente, ma anche per il ruolo avuto nella sconfitta di Bernie Sanders nel 2020. Come sono andate le cose?
Io ero in Nevada [terzo stato al voto e terzo consecutivo vinto da Sanders, Ndr] col mio caro fratello Bernie ed era chiaro che eravamo sulla strada verso la vittoria, tanto che centristi e neoliberisti erano nel panico. E Barack Obama ha preso il telefono per dire a tutti i principali candidati neoliberisti di ritirarsi, perché sarebbe andato bene chiunque tranne Bernie Sanders. E i primi furono appunto Buttigieg e Klobuchar, che in quel momento avevano il secondo e il terzo posto. Ora, basandosi sui sondaggi era chiaro che Bernie avrebbe potuto battere Trump. Ma Obama e l’establishment hanno preferito rischiare con un candidato neoliberista perché Bernie sarebbe stato critico verso Wall Street e il Pentagono. Era palese che c’era questa battaglia nel Partito democratico tra l’ala delle corporation e l’ala progressista, e l’ala delle corporation ha divorato l’ala progressista persino nel momento in cui progressisti stavano vincendo: un’altra volta l’anti-democrazia nella sua essenza. Cosa che avevamo già visto all’inizio dell’amministrazione Obama quando lui poteva scegliere tra Wall Street e il volere della gente e ha scelto Wall Street, finanziandola con trilioni e trilioni di dollari persino dopo che l’aveva salvata.
La stessa cosa è avvenuta con i droni lanciati in Libia, Somalia, Pakistan e via dicendo, che hanno ucciso troppe persone innocenti. E così è stato anche nel Medio Oriente: 551 bambini palestinesi uccisi, più di 2000 palestinesi uccisi in 50 giorni e non un sussurro di solidarietà o compassione. Ecco, per me queste sono cose immorali, e non mi importa di che colore sia il presidente. Bisogna essere coerenti. Noi sappiamo che c’è un’occupazione in Palestina e che se gli ebrei subissero le stesse sorti dei palestinesi si solleverebbe un enorme coro di voci negli Usa. Quella per me è ipocrisia, io voglio essere solidale con tutti gli esseri umani che subiscono un’occupazione, che sono dominati e vengono uccisi. Non mi importa di che colore sono. Io vengo dall’eredità di Martin Luther King e specialmente del blues. E se sei un bluesman canti e racconti la verità accettando le conseguenze. Significa che non mi faccio avanti come un politico, ma cercando di essere un uomo onesto che dice la verità per ottenere giustizia.
Quindi sarà pronto anche a denunciare apertamente le colpe di Biden.
Assolutamente. E, lo ripeto, non nello spirito dell’odio ma solo in nome dell’onestà. A Joe Biden potrei chiedere: perché hai reso le cose facili per Clarence Thomas? [il riferimento è alla commissione parlamentare, presieduta da Biden, istituita nel 1991 per le accuse di molestie sessuali mosse da Anita Hill contro il futuro giudice della Corte Suprema Clarence Thomas]. Perché hai sostenuto il Crime Bill [1994] che ti ha reso uno degli architetti del sistema di incarcerazione di massa? Perché hai supportato l’invasione in Iraq e un’occupazione durata decenni, un altro crimine contro l’umanità? Più di mezzo milione di vite irachene perse, eppure la vita irachena ha lo stesso valore della vita italiana o della vita americana. Io sono un cristiano, e credo che ogni essere umano è fatto a immagine e somiglianza di Dio. Ma questi politici pensano davvero che sia possibile prendere decisioni che portano a mezzo milione di morti e poi, senza una sola parola di pietà, voltarsi dall’altra parte e affermare di agire per il conseguimento della giustizia? No, noi non ci stiamo. Se mi troverò a confronto con Biden e Trump denuncerò direttamente il neofascismo di Trump, il neoliberismo di Biden e il militarismo di entrambi.
Nel caso Biden vinca ancora, non è escluso il fatto che per un motivo o per l’altro non riesca a portare a termine il mandato, pur naturalmente non augurandogli nulla di male. In quel caso diventerebbe presidente Kamala Harris. Il suo gradimento è però persino più basso di quello di Biden. Qual è il suo punto di vista?
Non c’è dubbio che Kamala Harris sia una leader molto debole. E se Biden dovesse vincere e non dovesse riuscire a finire il mandato e lei diventasse presidente, avremmo una presidente neoliberista persino più debole di Biden. È una donna, è nera ed è asiatica. Quindi rappresenterebbe un simbolo con il quale molte persone potrebbero identificarsi. Ma una faccia nera in una posizione alta è insufficiente quando si tratta delle sofferenze dei poveri e della working class. Certo l’establishment ha giocato molto sul colore e sul genere e via dicendo, ma ci vuole molto di più che la pigmentazione della pelle e il genere sessuale per prendersi carica del peso e della dominazione delle classi povere negli Stati uniti e nel mondo. Lei cerca di essere un’imitazione di Biden. Quindi quel che abbiamo è l’imitazione della debolezza.
Quali saranno le sue prime azioni, nel caso fosse eletto presidente?
Innanzitutto, come ho detto alla mia bellissima moglie, potrei perfino rifiutarmi di andare a vivere alla Casa Bianca finché tutti in America non avranno una casa. In questo modo verrebbe accentuato e affermato lo spirito di essere al servizio della gente. La gente potrebbe vedere che ho intenzione di essere concreto nel battermi per i senzatetto e per l’abolizione della povertà. E ciò significa che diventerebbe una priorità spostare una parte consistente dei fondi per le spese militari ad altri programmi, ai vari modi in cui poter rendere prioritarie cose come il lavoro con salari che permettano di vivere, la sanità per tutti e l’istruzione gratuita. Nel mio team ci sono già persone molto in gamba, altamente creative intellettualmente e di buon cuore che si stanno occupando di questi problemi. E in questo modo diremmo al mondo: «Non ci interessa più essere come l’Impero Romano. Vogliamo essere una nazione tra le nazioni. Non abbiamo bisogno di essere una superpotenza con soldati in 150 paesi e con 800 unità militari in giro per il mondo con la scusa dei conflitti e della risoluzione violenta dei conflitti. Cominciate ad abituarvi a una diversa concezione di quello che è l’America».
Un’altra cosa riguarderebbe l’auto-comprensione dei cittadini di quello che l’America rappresenta: «Dovete abituarvi al fatto che il meglio di quello che siete come nazione, come esperimento sociale non consiste nella vostra potenza militare e neppure nelle bugie che vi raccontate su quanto siate eccezionali. Siete grandi proprio perché avete gente che si prende a cuore i poveri e la working class qui e nel mondo, siete grandi perché credete in una forma profonda di democrazia che consente alle persone comuni di forgiare il proprio destino».
Con un Congresso in gran parte corrotto che agisce prevalentemente a favore dei finanziatori invece che degli elettori, lei si dovrebbe confrontare con forze molto potenti, con quegli oligarchi che, come dice Sanders, possiedono la democrazia. È pronto ad affrontare queste forze che si scatenerebbero contro di lei, come del resto immagino faranno anche in campagna elettorale?
Non c’è dubbio che sarà un inferno. Ma provengo da una dinastia nera che ha sempre portato ad esempio Davide contro Golia. E di fatto io diventerò solo una voce nella landa selvaggia del governo americano, una voce che si alzerà contro il Congresso caratterizzato da abusi d’ufficio e corruzione legalizzati. Non c’è dubbio che dobbiamo essere disposti a pagare caro per poter dire la verità e perseguire la giustizia.
La mia ultima domanda riguarda il modo in cui vi state organizzando per raggiungere sempre più persone e avere accesso al voto nel maggior numero di stati possibile, in modo che lei non sia solo uno «spoiler» per Biden ma anche per Trump.
La buona notizia è che la mia cara sorella Jill Stein e la mia bellissima moglie Annahita e i miei cari fratelli e sorelle Chris Hedges, Ajamu Baraka, Nina Turner e altri, con i quali sono in costante contatto, stanno lavorando affinché si possa avere accesso al voto in quasi tutti gli stati. Ora come ora il Green Party è accreditato in una ventina di stati. Probabilmente ne aggiungeremo altri 22 o 23, in modo da essere presenti in circa 45, 46 stati. Alcuni sono molto difficili perché il sistema bipartitico rende molto arduo accedere al processo di voto. Bisogna raccogliere un certo numero di firme. In alcuni stati sono 5.000, in altri 7.000. New York è il più difficile perché richiede 45.000 firme ed è ormai solo questione di alcune settimane.
Allora tanti auguri Dottor West. Spero di incontrarla di persona nelle mie future incursioni americane nelle campagne elettorali. E grazie di cuore per il suo tempo e per l’onore di questa bella chiacchierata.
Grazie a lei mia cara sorella.
*Elisabetta Raimondi è stata docente di inglese nella scuola pubblica. È attiva in ambito teatrale ed artistico, redattrice della rivista Vorrei.org per la quale segue dal 2016 la Political Revolution di Bernie Sanders. Cornel West insegna filosofia alla Harvard Divinity School, attivista politico e co-conduttore del podcast The Tight Rope. Tra le sue pubblicazioni Race Matters e Democracy Matters.
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