
Un capitalista qualunque
Nel giro di pochi giorni Elon Musk ha tolto il velo all'ideologia avveniristica che proviene dalla Silicon Valley. E reso evidente che si comporta come un pessimo speculatore alla ricerca del profitto
La propaganda ideologica della Silicon Valley è potente e seducente allo stesso tempo. Mediante la fusione di tecnologia e mercati illimitati, o almeno così racconta la storia, una cultura del caos perpetuo e dell’assunzione di rischi radicali guida l’innovazione senza fine. Tale innovazione, a sua volta, porta con sé prodotti di consumo migliori, nuove comodità quotidiane e, naturalmente, nuove opportunità per creare ricchezza. Nella sua forma più utopica, tuttavia, la promessa ultima della Silicon Valley è rivoluzionaria: millanta addirittura una sorta di trascendenza secolare che condurrà la nostra specie a sfuggire ai confini della sua esistenza planetaria e, forse, anche ai confini dei nostri corpi mortali. Magari.
Si dice che l’ingrediente principale di questo cocktail futurista sia una genìa rara di individui eccezionali che raggiungono la vetta attraverso una combinazione di genio eccentrico e grinta personale. L’ascesa di questi übermenschen contribuisce al miglioramento dell’umanità e la loro ricchezza insondabile rappresenta una ricompensa commisurata al valore sociale che hanno creato.
In un’epoca di politica stagnante e crescente ansia per il futuro, è una storia attraente e persino confortante. È una narrazione che pochi hanno sfruttato con successo come Elon Musk, che per anni ha proiettato l’immagine del genio prometeico che in tantissimi hanno trovato singolarmente avvincente. Dato il comportamento reale di Musk – la presenza degna di nota sui social media, gli incessanti richiami ai prodotti della sua azienda (l’ultimo è proprio questa settimana) e la sua litania di dichiarazioni grandiose che non sono servite a nulla – a volte diventa difficile mantenere la rota. Tuttavia, il periodo di circa un mese trascorso dalla sua acquisizione di Twitter ha probabilmente causato più danni alla sua immagine – e ai miti fraudolenti ed egoistici della Silicon Valley da cui attinge – di tutto ciò.
A quanto pare, la strategia aziendale di Musk per Twitter è stata finora generica e priva di fantasia. Di fronte al calo dei ricavi di un’azienda che non realizza profitti dal 2019, ha immediatamente adottato una duplice strategia di monetizzazione e tagli: il grado di raffinatezza è simile a quello dei corsi di economia al primo anno sul «compra basso, vendi alto». Licenziando crudelmente migliaia di dipendenti e tagliando i benefit per coloro che rimangono, ha cercato di accollare agli utenti il privilegio della verifica, ma Musk evidentemente sperava di poter creare un nuovo flusso di entrate riducendo i costi operativi.
Tra le altre cose, è stato un disastro nelle pubbliche relazioni. Ma il lancio esilarante e caotico del rinnovato Twitter Blue è quasi riuscito a nascondere il fatto che in primo luogo solo una piccola parte degli utenti ha deciso di aderire (il servizio «Blue Verified», che costa otto dollari al mese, pare debutterà il 29 novembre). In mezzo al caos, gli inserzionisti principali, tra cui Chipotle, General Mills e United Airlines, hanno iniziato ad abbandonare la nave, un problema evidente per un’azienda che genera il 90% delle sue entrate dalla pubblicità.
In senso strettamente quantitativo, non sappiamo esattamente in che misura le cose si siano messe male per Twitter, anche perché l’azienda non è più tenuta a presentare rapporti finanziari alla Securities and Exchange Commission. Ma, come chiarisce una recente analisi pubblicata dal Wall Street Journal, le cose non vanno bene né per l’azienda né per Musk. Da quando ha lanciato per la prima volta l’idea di acquistare Twitter ad aprile il suo patrimonio netto è diminuito di miliardi e altrove il valore delle azioni Tesla è sceso di quasi la metà.
E anche se fossimo in possesso di dati più dettagliati, probabilmente impallidirebbero di fronte allo spettacolo reale della stessa leadership di Musk, finora caratterizzata da un processo decisionale impulsivo, da bruschi cambiamenti nella politica e da una definizione evidentemente incoerente di libertà di parola. Lo stile di gestione di Musk è caratterizzato dagli imbarazzanti tentativi del cinquantunenne di postare nel caos.
A un certo punto, anche i più devoti adulatori di Musk dovranno chiedersi quale sia il piano generale al di là del comportamento irregolare e del trollaggio pubblico. Alla fine, alcuni potrebbero persino arrivare alla stessa conclusione che gli scettici hanno raggiunto molto tempo fa: che non esiste un grande genio prometeico, un elaborato gioco di scacchi multidimensionale o un moderno re filosofo che si nasconde dietro i discorsi su Marte, i richiami di prodotti e gli epici meme sul bacon. Tutto ciò che c’è dietro il sipario è un capitalista qualunque che fa il genere di cose che i capitalisti hanno sempre fatto: in questo caso molto male.
*Luke Savage è redattore di JacobinMag, da cui è tratto questo articolo. La traduzione è a cura della redazione.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.