«Occupiamo il nostro tempo»
Dalle scuole di Roma occupate il 4 dicembre arriva un grido di emergenza, pieno di idee strutturate e alternative a quelle della generazione precedente, accusata di non voler mollare l'attuale gestione scellerata del pianeta
«Il vostro tempo è finito, ora c’è il nostro». È un grido di emergenza quello che viene dalle scuole di Roma occupate la notte del 4 dicembre (Mamiani, Tasso, Righi, Manara, Morgagni, Virgilio, Aristofane, Archimede, Colonna), ma pieno di concretezza, di idee strutturate, per nulla banali o superficiali che compongono la piattaforma di rivendicazione approvata dall’assemblea cittadina che si è svolta nel pomeriggio del 4 dicembre. Un grido che risente della grande mobilitazione contro la violenza di genere e per una politica transfemminista, ma anche della necessità di contrapporsi alla generazione precedente che non vuol mollare di un centimetro la gestione scellerata del pianeta.
Ne viene fuori un programma articolato in cui i bisogni formativi si intrecciano a quelli psicologici e sociali, restituendo un piano di lavoro che ovviamente non potrà realizzarsi nei tempi brevi cui la politica istituzionale sa solo pensare, ha bisogno di spazi più ampi. Uno sguardo lungo che oltre a porre una lista di richieste alle strutture preposte – le singole scuole, gli Uffici scolastici regionali, il ministero – pone anche un tema generazionale, una rottura tra chi ha in mano tutte le leve del potere e delle decisioni – dalla scuola alle politiche ecologiche sacrificate ai profitti del fossile – e chi ha bisogno di costruire un immaginario credibile per il proprio futuro. E così «solo bloccando il vostro tempo, è possibile prenderci il nostro».
Il documento degli e delle studenti di Roma ritiene «impellente la necessità di decostruire la scuola attuale per realizzarne una che sia attraversabile da tutte le soggettività, libera da ogni dinamica patriarcale e da ogni autoritarismo». La scuola che propongono, dunque, è «transfemminista» e che «tenga conto delle linee di oppressione di genere, classe e razza». La violenza di genere è così posta al centro delle preoccupazioni e la scuola deve informarsi a questa emergenza: «Condanniamo il modo in cui gli ultimi femminicidi sono stati narrati come casi eccezionali, sporadici; essi rappresentano, invece, le estreme conseguenze di un’emergenza strutturale, non più rimandabile; il silenzio non ci può appartenere». E così «finché il modo di raccontare la cultura violenta e patriarcale che permea la nostra realtà non cambierà, sospenderemo tutto».
Ma il riferimento alla violenza contro le donne, la concreta percezione della forza del patriarcato – con buona pace di quel nucleo di maschi, bianchi benestanti che cerca di negare il problema – non serve per redigere un manifesto ideologico o una piattaforma iper-politicizzata. Si parte ovviamente dalla critica alle «misure autoritarie» del governo, ai provvedimenti «di carattere razzista» come il dl Cutro o «punitivo» come il dl Caivano o gli altri provvedimenti repressivi che caratterizzano l’esecutivo Meloni che sfrutta «episodi dirompenti derivanti da problemi sistemici per la propria agenda politica, anziché intervenire sull’educazione e la formazione per sradicarne le basi».
La scuola deve avere come priorità, si legge nel documento, «la salute mentale, un sistema di valutazione costruttivo, l’attraversabilità degli spazi, una nuova impostazione della scuola basata su una didattica orizzontale e la centralità della pubblica istruzione nella gestione dei fondi statali». Un programma politico di insieme, nettamente alternativo al vuoto, ma pericoloso, progetto che caratterizza l’attuale ministero retto da Giuseppe Valditara che «legittima una visione gerarchica e meritocratica della scuola».
Di Valditara si mettono sotto accusa le due uniche riforme finora presentate: il voto in condotta come voto «punitivo e autoritario» e la «Filiera Formativa Tecnico Professionale» che prevede l’introduzione di Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento) e stage lavorativi a partire dal secondo anno di scuola negli Istituti Tecnici e Professionali. Un’idea filo-imprenditoriale che fa aumentare le ore necessarie per l’ammissione all’esame in modo «da indirizzare gli istituti verso una forte aziendalizzazione».
A questa situazione gli e le studenti contrappongono una «pedagogia e un approccio transfemminista trasversale ad ogni aspetto del quotidiano scolastico». E quindi chiedono l’educazione sessuale e all’affettività, in netto contrasto alla proposta del ministero di «Educare alle relazioni» – gruppi di discussione mediati da docenti o influencer in un propgramma facoltavito nelle scuole secondarie – mentre «l’educazione sessuale e all’affettività deve essere materia di studio curricolare, a partire dalla prima infanzia». La proposta è che vi siano formazioni obbligatorie per approfondire «gli ambiti biologici-medici (malattie sessualmente trasmissibili, educazione al piacere e alla salute) e relazionali-affettivi (educazione al consenso e ai generi, e la decostruzione degli stereotipi) delle nostre vite».
La cosa importante, per nulla provocatoria ma molto sensata, è la richiesta di un’adeguata «formazione dei docenti». La richiesta è che nelle scuole sia garantito «un ambiente sicuro» ci sia «rispetto reciproco» – a fronte di una situazione in cui spesso i docenti si lasciano ancora andare a comportamenti irrispettosi e addirittura offensivi, a volte gravemente, nei confronti della popolazione studentesca come denunciato platealmente al Mamiani – e i docenti hanno certamente bisogno di darsi qualche buona ripassata, o studiare per la prima volta, temi che spesso non sanno padroneggiare specialmente la tutela della salute mentale. Anche in questo senso viene richiesta la «revisione dei testi scolastici protesa verso una lettura critica della cultura sessista e colonialista, che, soprattutto nei licei, è oggetto di studio quotidiano».
Proposto anche un «presidio di operator* antiviolenza all’interno delle scuole affinché possano prestare il loro servizio assicurando un collegamento permanente tra l’ambiente scolastico e le realtà che combattono la violenza di genere sul territorio» e infine la «carriera alias in tutte le scuole» per una accoglienza inclusiva «in nessun modo patologizzante e transfobica» ai e alle studenti che affrontano percorsi di transizione.
L’attenzione per la salute mentale viene ribadita ancora nel corso del documento come del resto fanno spesso tutti coloro che, da adulti pseudo-competenti, si occupano di scuola. Dopo il Covid questo aspetto è entrato prepotentemente nelle preoccupazioni studentesche che notano come «più della metà della popolazione in Italia non avverte uno stato di pieno benessere psicologico» e avvertono che «l’insorgenza di condizioni di disagio, come ansia e depressione, grava sull’apprendimento scolastico e spesso induce i giovani ad abbandonare gli studi». Quindi «sportello psicologico» nelle scuole, «accessibile gratuitamente a chiunque attraversi l’ambiente scolastico», sia «disponibile almeno quattro giorni a settimana», e in grado di «tutelare totalmente la privacy di chiunque partecipi».
Una rivoluzione nella didattica viene avanzata con la richiesta di una «sezione sperimentale» contro la mera valutazione meritocratica che «contribuisce a incrementare la competizione». Il modello di riferimento è quello «scolastico nord europeo il quale predilige i lavori di gruppo, la creatività, l’esperienza diretta e il dibattito, e non valutazioni numeriche o bocciature punitive».
Sul piano della socialità e delle attività culturali e non solo, gli e le studenti chiedono «spazi fisici autogestiti» all’interno di tutti gli istituti con le scuole messe a disposizione anche nel pomeriggio.
Ancora più concretamente si richiede la piena attuazione del Pnrr che ha stanziato 2,1 miliardi per la Scuola 4.0 orientata all’approccio digitale ma viene posta anche la questione della «retribuzione salariale» dei docenti visto che l’Italia si classifica al trentunesimo posto tra i paesi dell’Unione europea. «Inoltre l’aspetto edilizio è trascurato e gli ambienti fatiscenti e pericolanti che migliaia di student* del paese attraversano quotidianamente ne sono la diretta testimonianza”.
Questo programma è stato redatto dopo una serie di approfondimenti fatti nei vari collettivi, poi in assemblea nelle singole scuole e in assemblee cittadine. Il percorso è durato alcuni mesi così come la preparazione di queste nuove occupazioni che, ovviamente, sono state al momento prese con irritazione dai dirigenti scolastici (non tutti) e al momento da una sostanziale indifferenza da parte di politica e istituzioni.
Anche per questo questi e queste studenti hanno deciso di occupare per presentare le proprie idee, ma anche per «occuparsi del nostro tempo». Il loro tempo. Che ormai è regolato prepotentemente su un altro ritmo e punta decisamente in un’altra direzione. Per fortuna, si potrebbe aggiungere.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.