L’apprendistato giacobino, per ripensare l’altrove
Il successo della seconda edizione della scuola di Jacobin: tre giorni intensi, con 26 lezioni e 3 assemblee plenarie, 35 relatrici e relatori e oltre 200 partecipanti
«Resistere non serve a niente se non c’è un altrove. Ma è la categoria del ‘resistere’ che ci impone di ripensare l’altrove, ci porta a lavorare su una via di fuga, un’osteria del futuro – direbbe Marx – che ci aiuta a resistere, e per cui resistere serve sempre». La citazione viene dall’articolo di Antonio Montefusco nell’ultimo numero di Jacobin Italia, e ripensare l’altrove per trovare nuove energie per resistere è stato lo scopo della seconda Scuola Giacobina, che si è tenuta a Firenze dal 22 al 24 settembre.
Tre giorni intensi, con 26 lezioni e 3 assemblee plenarie, un’organizzazione molto impegnativa per una piccola struttura come la nostra e per l’Associazione Casa Caciolle che ci ha ospitato. Eppure le 35 relatrici e relatori e gli oltre 200 partecipanti tra iscritti in presenza e online, sono andati via con molta più energia di quando erano arrivati. «È stata una boccata d’ossigeno», «Mi sono ricaricata le batterie», «ho scoperto che ci sono altre persone della mia città con cui organizzarmi», «avete coperto un vuoto», «era tanto che non vivevo in una dimensione del genere», «vado via piena di grazia», «non so se esiste un tripAdvisor dei luoghi alternativi, ma se esiste questo è stato per me un bellissimo trip». Sono solo alcune delle parole raccolte durante la plenaria conclusiva.
Una scuola partecipata da persone in quasi perfetto equilibrio di genere (47% le donne), con il 60% di età inferiore ai 35 anni, una provenienza geografica variegata anche se maggiormente concentrata nel centro-nord, una rappresentanza significativa di studenti universitari (25%), impiegati (25%), insegnanti (13%) e ricercatori universitari (10%). Una persona su quattro ha dichiarato di non avere più un impegno politico attivo da almeno tre anni, il resto esperienze di attivismo plurali: solo l’8% dei partecipanti è stato iscritto negli ultimi tre anni a un partito politico mentre la maggior parte in questo stesso periodo è stata impegnata nell’ordine in centri sociali, associazioni di volontariato, reti studentesche, collettivi femministi, esperienze mutualistiche, associazioni ambientaliste e organizzazioni sindacali.
L’idea dell’apprendistato giacobino sembra insomma cogliere un bisogno di politica alternativa che esiste ma che in un paese senza sinistra trova sempre meno luoghi credibili. L’attenzione durante i tre giorni è stata costante, con tanti interventi e domande, con il bisogno di critica della società capitalista e del liberismo ma anche di autocritica degli stessi contesti militanti, confrontandosi senza ipocrisie ma attenti alla cura reciproca. Continua è stata anche la partecipazione e le domande delle 50 persone iscritte online, con anche il caso del Centro sociale La Boje di Mantova che ha partecipato collettivamente a distanza ad alcune lezioni.
Le lezioni più partecipate delineano i temi e le pratiche percepite come più urgenti per affrontare il presente: l’uso politico della memoria da parte della destra al potere; la crisi abitativa e le politiche urbane; il nuovo rifiuto del lavoro; la lotta contro la crisi climatica; la critica femminista come antidoto a ogni identitarismo; l’immaginario e l’organizzazione della nuova working class.
L’atmosfera è stata estremamente accogliente oltre che stimolante, con persone che nella maggioranza dei casi non si erano mai viste prima e che eppure sembravano totalmente a proprio agio tra loro. Un clima collettivo molto bello a cui ha contribuito non poco il posto che ci ha ospitato: un’antica villa nel quartiere popolare di Novoli-Ponte di Mezzo, poi acquisita dall’Opera Madonnina del Grappa e che dal 2008 ospita persone detenute in pene alternative al carcere, con aule comode e funzionali, un bellissimo giardino dove abbiamo mangiato insieme e un grande campo annesso dove hanno pernottato molte iscritte e iscritti. L’Associazione Casa Caciolle ha permesso la convergenza nell’organizzazione della nostra iniziativa di energie militanti apparentemente molto diverse tra loro: volontarie e volontari dell’Opera, missionari comboniani, militanti dell’associazione Fuori mercato a cui Casa Caciolle è legata, qualche detenuto che vive nella villa e le operaie e operai del Collettivo di fabbrica ex Gkn pronti a «restituire» il sostegno solidale ricevuto in questi due anni di lotta. L’impasto di queste energie con la redazione di Jacobin Italia e gli iscritti e iscritte alla Scuola ha dato vita a un inedito e plurale bisogno di cambiare radicalmente, in modo rivoluzionario, il mondo in cui viviamo.
Il venerdì sera, grazie agli interventi di Tomaso Montanari, Chiara Colombini e Luca Baldissara insieme alla redazione di Jacobin, siamo tornati al settembre di ottant’anni fa, quando ebbe inizio la Resistenza armata nel nostro paese. Un modo non tanto per celebrare il passato ma per cogliere la dimensione universale – e internazionale – della resistenza, con la presentazione dell’ultimo numero della rivista.
La plenaria del sabato sera ha invece dato voce ai «conflitti inaspettati», che da sempre ricerchiamo nel nostro lavoro. Uno degli obiettivi dichiarati alla nascita di Jacobin Italia è stato quello di dividere ciò che viene artificialmente presentato come unito (sotto i concetti di nazione o popolo) e di unire ciò che al contrario viene falsamente diviso (con la costante atomizzazione individualista della società e con l’uso delle diverse oppressioni di genere, razza e classe per scatenare le più feroci guerre tra poveri). Negli ultimi due anni abbiamo più volte frequentato la città di Firenze grazie alle grandi manifestazioni costruite dal Collettivo di fabbrica della Gkn, oltre che per l’organizzazione del festival di letteratura working class. Proprio la proposta e la pratica di convergenza degli operai della fabbrica di Campi Bisenzio è stata discussa con i lavoratori di Mondo Convenienza, i giovani di fridays For Future, le studentesse del Coordinamento dei Collettivi della Sapienza di Roma e degli Studenti di sinistra di Firenze, gli attivist* Lgbtq degli Stati Genderali e la campagna «Ci vuole un reddito» nata dopo la cancellazione del Reddito di cittadinanza da parte del governo Meloni. Tutti movimenti consapevoli che per ottenere risultati concreti occorre cambiare gli attuali rapporti di forza. Perciò muoversi singolarmente non basta. Ma non basta neppure questa consapevolezza per invertire la tendenza alla dispersione più che alla convergenza: abbiamo infatti constatato come, in assenza di una forza sociale e politica centripeta, questo autunno inizia con una moltiplicazione di date di mobilitazione di strutture differenti. Convergere per insorgere è però l’unico metodo da ricercare per rompere le false scissioni tra diritti civili e diritti sociali, tra occupati e «occupabili», tra lotte ambientali e del lavoro, e rilanciare un’opposizione sociale efficace in questo paese.
Ci siamo lasciati con tanto entusiasmo e con l’intenzione di rendere diffuso l’apprendistato giacobino, con l’esempio della Scuola romana utopie reali, per provare ad affilare anche localmente le nostre «ghigliottine» contro il pensiero e le politiche dominanti.
Un po’ del nostro entusiasmo lo ha tradotto in immagini Andrea Sawyerr, che ringraziamo per queste bellissime foto.
*Carlotta Caciagli, Giulio Calella e Lorenzo Zamponi sono editor di Jacobin Italia.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.