
Non c’è tempo per cambiamenti graduali
Oltre 500 giovani da 100 città hanno partecipato alla prima assemblea nazionale di Friday For Future. Si conferma la freschezza e la trasversalità vista in piazza il 15 marzo, con un'identità ancora più politica e radicale
“C’è un elefante nella stanza, e si sta per sedere su di noi”. Nella chiusura tra l’ironico e l’apocalittico di uno dei primi interventi all’assemblea nazionale di Fridays For Future, c’è molto del senso politico di questo movimento: trasmettere l’eccezionale urgenza della questione climatica e farne il centro di un’azione politica immediata, radicale e su larga scala. Gli oltre 500 studenti in rappresentanza di più di 100 città riuniti nell’aula magna Levi dell’Università Statale di Milano hanno discusso in plenaria per 7 ore. Ne esce un’identità più politica e più radicale di quella accennata il 15 marzo, ma attenta a non perdere la freschezza e la trasversalità che sono state, finora, la più grande risorsa del movimento in termini aggregativi.
Le differenze ci sono, e sarebbe strano il contrario, in un movimento di ragazze e ragazzi nato poche settimane fa sostanzialmente su una spinta di indignazione diffusa nei confronti dell’inerzia con cui la politica evita sistematicamente di affrontare il tema del riscaldamento globale. Ma chi si immaginava che Fridays For Future fosse destinato a rimanere un movimento di anime belle, magari manovrate da qualcuno, che credono si possa cambiare il mondo con qualche correzione ai comportamenti individuali, è stato smentito. L’assemblea di Milano, certo popolata dagli attivisti più impegnati del movimento, com’è normale che sia, ma comunque ampia e trasversale e non limitata a qualche ristretta avanguardia, lancia un messaggio molto chiaro: a produrre gran parte delle emissioni nocive sono poche grandi aziende, e per fermare la folle corsa dell’umanità verso la propria fine va messo apertamente in discussione il modello economico dominante, quello che mette i profitti di pochi davanti al futuro di tutti. Un’assemblea che ha fissato l’agenda del movimento per i prossimi mesi, schierandolo con i comitati territoriali contro le grandi opere e annunciando una lunga stagione di mobilitazione, a partire dal nuovo sciopero globale del prossimo 24 maggio.
Il clima e il capitalismo
“Tic tac, tic tac” ha esordito uno dei ragazzi. La necessità di far percepire alla società e alle istituzioni l’emergenza climatica nella sua urgenza è probabilmente il nodo di fondo di questo movimento a livello globale, ciò da cui è nato e che a tutti preme ricordare. Non c’è più tempo. E la logica dell’emergenza, tante volte usata da destra come dispositivo regolatorio per zittire le alternative e imporre il pensiero unico (ricordate il “Fate presto” sparato in prima pagina dal Sole 24 Ore nei giorni della nascita del governo Monti?), stavolta finisce per permettere una radicalizzazione a sinistra delle istanze ambientali che qualche anno fa sarebbe stata impensabile. È proprio perché non c’è tempo, che, come direbbe Martin Luther King, “non è il momento di concedersi il lusso di darsi una calmata o di prendere il tranquillante del gradualismo”. È la situazione oggettiva a essere radicale e a richiedere, di conseguenza, soluzioni radicali. Su questo gli interventi all’assemblea sono stati categorici, seppur con sfumature diverse: cambiare i comportamenti individuali è giusto e necessario, ma non c’è soluzione che non passi sostanzialmente per un attacco frontale al capitalismo. Il report finale parla a chiare lettere di “cambiare il sistema per fermare il cambiamento climatico”, e mette da parte qualunque consolatoria tentazione di greenwashing neoliberista o qualsiasi tentativo di scaricare i costi della decarbonizzazione sulle fasce più deboli, come ha tentato di fare Macron con la tassa sul carburante: giustizia ambientale e giustizia sociale devono andare di pari passo, si legge nella sintesi prodotta da ragazzi e ragazze, ed è chi da questo sistema energivoro e distruttivo ha guadagnato che deve caricarsi i costi della conversione ecologica. Una radicalità, come si diceva, imposta dalla situazione oggettiva e che però, lo evidenziano in molti, va gestita con attenzione, per evitare il rischio che a sfilare dietro la bandiera scarlatta dell’anticapitalismo restino in pochi, rispetto alle piazze oceaniche del 15 marzo. Gli interventi degli oltre 100 territori rappresentati, da Scafati a San Donà di Piave, mettono in campo la saggezza della prassi, raccontando le decine di piccole azioni e grandi vertenze, dalla rinuncia alla plastica nelle università alla decarbonizzazione delle città, in cui dare sostanza alla propria opposizione al sistema.
I territori e la politica
In ognuno di questi territori, del resto, esiste un conflitto ambientale aperto. Il primo intervento della giornata arriva non a caso da Taranto, e non può non citare l’Ilva, nervo scoperto di questo governo, della sinistra e dell’intero sistema produttivo italiano. Ma non c’è intervento che non racconti una storia simile: dal Sarno “fiume più inquinato d’Europa” all’asfissia della Pianura Padana, dal petrolio in Basilicata alla centrale Enel a carbone a Spezia. Il tentativo di ricomporre le piazze del 15 marzo (lo sciopero globale del clima) con quella del 23 marzo (la marcia per il clima e contro le grandi opere inutili), per ora, sembra alla portata. Il testo di sintesi parla esplicitamente di sostegno ai conflitti territoriali e di battaglia contro le grandi opere. Anche qui, senza forzature che non sono nell’interesse di nessuno: la freschezza e la trasversalità di Fridays For Future sono un tesoro troppo prezioso perché qualcuno pensi seriamente di metterle a rischio provando a incasellarle negli schemi preesistenti. Per ora, il meccanismo virtuoso sembra funzionare e tutti si mettono a disposizione: dal Riot Village estivo della Rete della Conoscenza in Calabria al Climate Camp previsto per settembre al Lido di Venezia sotto l’egida di Globalproject, ognuno mette in campo quello che ha e spera che il movimento reale sia abbastanza vasto e forte da attraversare e superare ogni singolo pezzo.
Se però l’obiettivo è quello di fermare il riscaldamento globale, i territori non bastano. Il report propone di tagliare ogni finanziamento pubblico alle attività inquinanti e spendere il ricavato in istruzione e ricerca e in un piano di investimenti per la conversione ecologica e nella democrazia energetica. Un abbozzo di “Green New Deal” che comporta evidentemente un intervento legislativo. Ma nel parlamento italiano non si vede una Alexandria Ocasio-Cortez disposta a proporlo. I ragazzi e le ragazze di Fridays For Future ripetono in maniera quasi ossessiva il mantra dell’apartiticità del movimento, forse preoccupati dall’improvvisa resurrezione dei Verdi, o forse attenti a non farsi schiacciare nella contrapposizione tra il governo giallo-verde e il Pd “quasi nuovo” di Nicola Zingaretti. Eppure, dal confronto con le istituzioni non si scappa: “Dialogo sì, ma radicale” proclamano i ragazzi di Torino. “I partiti ci devono ascoltare”, fanno loro eco quelli di Porto Sant’Elpidio. Molti citano l’approccio proposto da Greta Thunberg: “i politici sanno cosa va fatto, a noi sta premere perché lo facciano”.
La stessa Greta sarà in Italia questa settimana, in un venerdì santo che si annuncia di penitenza per l’élite politica ed economica del nostro paese, tradizionalmente poco avvezza a prendere seriamente le questioni ambientali e le voci giovanili. Costruire un movimento vero, dopo l’esplosione mediatica, è un lavoro duro, che sconta tutte le difficoltà ereditate da decenni di analfabetizzazione politica di massa. Ma la strada è imboccata. A prescindere da cosa sarà, Fridays For Future ha già determinato due fatti politici, in Italia: ha dato materialità e consistenza alla battaglia ambientalista, facendone un elemento di discussione popolare e di critica dell’economia, e ha riportato in piazza, dopo parecchio tempo, centinaia di migliaia di studenti e studentesse, le cui voci, a quanto si è capito ieri, ci accompagneranno per un bel po’.
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*Lorenzo Zamponi, ricercatore in sociologia, si occupa di movimenti sociali e partecipazione politica.
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