
Risalire il fiume al contrario
Dal 4 al 6 aprile si è svolta la terza edizione del Festival di letteratura working class a Campi Bisenzio. La vertenza operaia più lunga della storia fa la lotta di classe con i libri e di fronte ai nuovi licenziamenti vuole essere tutto
Puntuale per l’inizio del terzo Festival di letteratura working class, nel parcheggio della fabbrica ex Gkn di Campi Bisenzio è apparsa la Venere Biomeccanica. Si tratta di una monumentale scultura, alta cinque metri e costruita nel 2003 con materiali industriali di recupero dal network «Odissea negli spazi», nato a Firenze negli anni del movimento dei Social forum. Un network che fu protagonista di una serie di occupazioni temporanee e che costruì questo simbolo di autogestione e creatività collettiva. Rimasta dormiente per vent’anni nel vuoto della fabbrica abbandonata dell’ex Meccanotessile in zona Rifredi, la Venere è stata risvegliata nei giorni scorsi dai collettivi della rete Wish Parade fino ad apparire al Festival di letteratura working class, attratta dalle sue pratiche di convergenza e dal titolo di questa edizione: «Noi saremo tutto».




Piccoli e grandi miracoli
Anche l’apparizione nel nostro paese nel 2023 del Festival di letteratura working class è stato un piccolo miracolo, che dal 4 al 6 aprile si è ripetuto per la terza volta.
Un Festival unico nel suo genere a livello internazionale, tanto da suscitare molta curiosità anche all’estero: quest’anno ha ricevuto il sostegno del Rosa Luxemburg Stiftung di Berlino per le traduzioni in simultanea per le circa cento persone provenienti da vari paesi, tra cui un gruppo di giovani tedeschi che ha girato un documentario durante il Festival, riprendendo ogni istante fin dai lavori di allestimento.
Un Festival letterario unico perché organizzato insieme a un collettivo di operai, legando libri e autori ai ritmi e alle parole di una vertenza sindacale. Un evento che si svolge in una periferica zona industriale e non nel centro storico di una grande città, in una fabbrica che si vuole reindustrializzare dal basso e non in un luogo alla moda di «rigenerazione urbana». E che sta in piedi senza sponsor ma solo grazie alle piccole ma numerose sottoscrizioni del crowdfunding.
Nel primo anno i sostenitori tramite la piattaforma produzioni dal basso furono 300; nel 2024 sono diventati 400; quest’anno sono stati più di 500. Con la stessa proporzione sono cresciuti i volontari coinvolti nei turni di lavoro del Festival: dai 100 del 2023 ai quasi 300 dell’edizione del 2025. E così i partecipanti, che quest’anno – sommando i tre giorni, compreso il corteo del sabato – hanno raggiunto l’incredibile numero di 7.000 persone.
Un Festival che oltre a mantenere alto il livello letterario e artistico è divenuto quasi un movimento. E che pur nell’impossibilità o incapacità di accogliere molte delle tante proposte arrivate, si è fatto attraversare dagli interventi (ribattezzati «elefanti nella stanza») di tanti movimenti sociali in cerca di convergenza: dal Quarticciolo Ribelle a Non una di meno, dai movimenti pro Palestina all’Assemblea precaria universitaria, dal movimento sindacale del Sudd Cobas a quello dei redattori freelance di Redacta, dagli Stati generali per la giustizia climatica alle lavoratrici de La Perla.
Dopo la prima edizione svoltasi all’interno della tensostruttura della fabbrica, e la seconda nel piazzale antistante l’ex Gkn, stavolta i tre giorni si sono tenuti nell’enorme parcheggio per gli operai. Durante il montaggio di giovedì 3 aprile abbiamo avuto il timore che lo spazio che stavamo allestendo fosse troppo grande. L’immagine della giornata di sabato pomeriggio con almeno duemila persone a seguire in silenzio il reading di Michele Riondino tratto dal libro dell’operaio dell’Ilva Raffaele Cataldi, Malesangue, suggerisce quanto fosse infondato quel timore.
Questo Festival è insomma davvero un piccolo miracolo, reso possibile da un grande miracolo working class: i 1367 giorni di presidio operaio permanente dell’ex Gkn.





La lotta di classe con i libri
«Il capitale descrive un rapporto di forza. Non è solamente denaro, è capacità di influenzare una narrazione, è capacità di forgiare il pensiero», scrive Dario Salvetti del Collettivo di fabbrica nel suo libro Questo lavoro non è vita (Fuoriscena, 2024). Forse per questo l’attuale proprietà dell’ex Gkn ha preso molto sul serio la forza che può avere l’idea di fare la lotta di classe con i libri.
Nel 2023, il giorno prima del Festival arrivò agli operai una lettera con minaccia di denuncia per qualunque soggetto estraneo alla fabbrica avesse osato varcare i cancelli per discutere di poesia operaia. Nel 2024, tre giorni prima di iniziare fu manomessa da ignoti la cabina elettrica lasciando la fabbrica senza luce, costringendoci a spostare l’evento sul piazzale con l’ausilio di generatori. Quest’anno, esattamente alla vigilia del Festival, sono arrivate le lettere della terza procedura di licenziamento collettivo, dopo che le due precedenti (nel 2021 e 2023) erano state annullate dal tribunale per condotta antisindacale.
Un’escalation che segnala l’importanza che i lorsignori attribuiscono all’arma della narrazione nel conflitto di classe. Negli ultimi decenni infatti la vittoria delle classi dominanti si è misurata non solo con la riduzione dei diritti e dei salari ma anche con l’espulsione del concetto di classe, e ancora più del conflitto di classe, dalle narrazioni mainstream.
Del resto «gli sfruttatori parlano di mille cose diverse, ma gli sfruttati parlano di sfruttamento», ha sottolineato il direttore del Festival Alberto Prunetti in apertura citando Bertolt Brecht. Anche per questo, pur avendo radici forti nel secolo scorso, fino a qualche anno fa era quasi impossibile sentir nominare la letteratura working class negli inserti culturali dei grandi quotidiani. Da quando però abbiamo incontrato la vertenza che ha riportato all’attenzione del paese il conflitto di classe, qualcosa è cambiato. Del resto si tratta di una letteratura che fornisce un’arma alla lotta, ma che senza la lotta collettiva non ha la forza di farsi sentire.
Sabato 5 aprile alle 18 il programma del Festival prevedeva un corteo fino al centro di Campi Bisenzio per chiedere il riconoscimento della pubblica utilità della fabbrica e l’avvio delle procedure per rendere operativo il piano di reindustrializzazione ecologica dal basso proposto dagli operai e finanziato dall’azionariato popolare. In quello stesso momento la libreria del Festival era presa d’assalto da centinaia di persone che volevano acquistare i libri discussi nei panel (alla fine i libri venduti durante i tre giorni sono stati quasi 3.000). Subito dopo 5.000 persone si sono messe in marcia cantando dietro i tamburi e gli striscioni degli operai di Gkn, dando vita al corteo con la più alta densità di persone con un libro in mano della storia del movimento operaio.







Prospettive letterarie working class
Dopo le Genealogie del 2023 (il passato) e le Geografie del 2024 (il presente), quest’anno il programma si è incentrato sulle Prospettive (il futuro), nel duplice significato di futuri possibili e diverse angolature dello sguardo.
Wu Ming 4, Serge Quadruppani e Simona Baldanzi hanno discusso di come i generi letterari del romanzo storico, del noir e della fantascienza si possano aggiungere alla strada più battuta nella letteratura working class, quella del memoir: «Tutte le storie possono essere raccontate in un modo diverso da quello dominante – ha detto Wu Ming 4 – se le si fanno nascere da una comunità, da una collettività, da una collaborazione e non dal genio individuale». Con l’azione collettiva si modifica e si trasforma anche la forma più antica di letteratura working class, quella della musica e dei cori popolari che utilizzano e cambiano il ritmo delle stesse canzoni, ha poi spiegato Alessandro Portelli partendo proprio dal caso dell’ormai famoso inno della Gkn: «Occupiamola». Monica Dati, Simona Cleopazzo e Bernardo De Luca hanno invece indagato le prospettive contemporanee della poesia working class. Mentre Anne Pauly (autrice di Prima che mi sfugga), Claudia Durastanti (autrice de La straniera) e Annalisa Romani (traduttrice di Didier Eribon ed Edouard Louis) hanno analizzato il racconto familiare come lente con cui guardare alle contraddizioni sociali e di classe.
Il cameriere italiano immigrato a Vienna Luigi Chiarella (autore di Risto Reich) e la cameriera polacca immigrata in Svezia Daria Bogdanska (autrice di Nero vita) hanno rovesciato il punto di vista dell’enorme produzione editoriale e televisiva dello storytelling neoliberista degli chef stellati. «Scrivevo mentre lavoravo – ha detto Daria – e ho sviluppato un linguaggio e uno stile letterario proprio servendo tra i tavoli persone di un altro paese». Anche Janek Gorczyca (autore di Storia di mia vita) ha dimostrato come per scrivere la propria storia si possa usare efficacemente una «lingua migrante», mentre la ricercatrice cinese Luka Lei Zhang con la raccolta di racconti Asian workers stories ha evidenziato la natura di classe delle storie di vita migrante nei paesi asiatici.
È stata infine sfidata le prospettiva accademica del canone letterario con l’unico panel i cui protagonisti non erano autori o autrici working class ma insegnanti di letteratura: «Oggi l’unica critica letteraria militante che esiste – ha sottolineato Marco Gatto – è di destra e affolla le terze pagine dei nostri quotidiani». Per questo occorre invadere e ribaltare i canoni letterari con una vera e propria battaglia di resistenza dentro l’accademia, ha esortato Emanuele Zinato. Ma per farlo, ha ricordato Annalisa Romani, «bisogna anche avere presente che il campo editoriale è un campo di battaglia, bisogna saper leggere i posizionamenti politici delle case editrici e saper valorizzare anche i lavori letterari che invece vengono invisibilizzati, come il ruolo di chi traduce che subisce continuamente i principi di validazione della critica letteraria».








Un Festival non basta
«I lavoratori dell’industria del libro come me – ha detto Maurizio Maggiani rivolgendosi dal palco agli operai Gkn – devono imparare da voi. I miei colleghi scrittori non si sono mossi nemmeno di fronte allo scandalo dei nostri libri stampati in modo schiavile da Grafica Veneta. Mi dicevano di non voler mettere in imbarazzo il proprio editore. È come se gli operai della Gkn dicessero di non voler mettere in imbarazzo il loro padrone! Per questo non sono qui per non lasciarvi soli, ma per non rimanere solo io».
La filiera italiana del libro è piena di sfruttamento, e anche di conflitto di classe come si è visto recentemente con lo sciopero dei librai Feltrinelli. Il mercato del libro è in mano a quattro grandi gruppi editoriali, proprietari non solo dei maggiori marchi ma anche delle poche strutture di promozione e distribuzione libraria e delle più importanti catene di librerie. Catene che ad esempio impongono il 50% di sconto sul prezzo di copertina ai piccoli editori mentre alle librerie indipendenti è concesso solo il 30%. Per questo dal percorso del Festival è nato anche un appello per una filiera del libro working class, ribadito nel comunicato finale del Festival del Collettivo di fabbrica: «La costruzione di un immaginario working class è fondamentale per la lotta delle classi subalterne e per costruire un’alternativa alla deriva bellicista e anti-ecologista dell’economia. Per questo la proposta di un polo permanente della cultura working class entra a pieno titolo nel nostro progetto di reindustrializzazione».
Un tema che è stato anche al centro del Prequel del Festival che quest’anno si è svolto a Roma, il 2 aprile, nel working class district del Quarticciolo, dove il piano per una fabbrica socialmente integrata ha incontrato il piano per una borgata socialmente solidale, di fronte alla minaccia governativa del cosiddetto «modello Caivano». Un Prequel in cui è stato coinvolto l’assessorato alla cultura del Comune di Roma per riproporre la stessa sfida posta al Comune di Campi Bisenzio e alla Regione Toscana: usare la letteratura working class come mezzo di riqualificazione dei territori a disposizione del conflitto sociale, non della gentrificazione.
Risali il fiume al contrario con me
Davanti alla casa del popolo Rinascita di Campi Bisenzio, dopo la fine del corteo di sabato, Massimo Zamboni in concerto ha raccontato quella che fino a poco tempo fa era la lotta più lunga della storia del movimento operaio: le Officine ferroviarie reggiane occupate per 350 giorni nel 1950.
La Gkn ha chiuso il Festival nel giorno 1.367 di presidio permanente, e se questa lotta è riuscita a resistere così a lungo, anche senza stipendio e Cassa integrazione da 15 mesi, è perché è saputa entrare come nessun’altra nell’immaginario collettivo. «Narrarci è la terapia necessaria a tenere botta a questo tempo, al vostro tempo, al non avere più tempo», ha detto Dario Salvetti nel panel conclusivo.
«Se non ritorna la pace, se il male vince la guerra, risali il fiume al contrario con me, non rimanere per terra», recita il testo di Aprile, la canzone del Muro del canto scelta come colonna sonora del Festival. Per poter risalire insieme il fiume al contrario serve mutuo aiuto. Quello che il Collettivo di fabbrica ha messo in piedi sul territorio fiorentino e che sta provando ad allargare ad altre «realtà sorelle» con il Patto di mutuo soccorso Insorgiamo, e ad altri movimenti con i processi di convergenza.
«La brutta notizia è che non c’è un’altra soluzione. Non potremo mai controllare il capitalismo, non potremo obbligarlo a lavorare per noi: la storia è coronata dai fallimenti di quest’idea – ha scritto Ken Loach nella lettera indirizzata al Festival – Ma la buona notizia è questa: la classe lavoratrice ha la forza per farcela. Il gigante addormentato può essere risvegliato. Ecco perché il vostro festival è così importante. State mostrando la via da seguire».
*Giulio Calella, cofondatore e presidente della cooperativa Edizioni Alegre, è editor di Jacobin Italia.
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