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Conoscere il proprio nemico è sempre utile. Questa volta è particolarmente vero: le forme che assume la destra sono rivelatrici di come i percorsi di liberazione abbiano scavato a fondo e generato la reazione a ogni mutamento sociale
Il numero scorso di Jacobin Italia metteva a tema il fascismo cent’anni dopo la Marcia su Roma, soffermandosi sul modo in cui è stato normalizzato. Questa volta, dopo che un partito che ha le sue radici nel fascismo storico è arrivato al governo del paese, si tratta di comprendere come i figli di quella tradizione si collochino dentro la contemporaneità e i suoi conflitti. Giorgia Meloni sa bene che non può restaurare un regime a un secolo di distanza. Per questo non si tratta tanto di vigilare su impossibili ritorni al passato, quanto di comprendere in che modo un archivio di idee, pratiche, linguaggi e atteggiamenti retorici affondi nelle contraddizioni del presente. Conoscere il proprio nemico è sempre utile ma questa volta è particolarmente vero: le forme che assume la destra sono rivelatrici di come i percorsi di liberazione abbiano scavato a fondo e generato la reazione di chi avversa ogni mutamento sociale.
A cominciare dalla questione di genere. La presidente del consiglio rivendica il suo essere donna e madre, rinfaccia alla sinistra di non essere stata in grado di fare quello che la sua destra ha potuto realizzare per la prima volta nella storia della Repubblica. Sara Farris interpreta la leadership femminile di un partito (e un governo) misogino richiamando la teoria dei due corpi del re: uno politico e l’altro naturale, il primo destinato a sopravviverle, il secondo finito e temporale. Scopriamo così che il dilemma della premier donna che fa politica per i maschi attiene alle contraddizioni della sovranità moderna. Donatella Di Cesare, invece, si chiede cosa significhi postfascismo nell’era della politica sottomessa all’economia. Il rapporto tra sovranismo e neoliberismo è indagato anche da Dario Gentili, che ci ricorda che già von Hayek aveva teorizzato che lo stato dovesse svolgere una funzione di servizio al funzionamento del mercato e che dunque un regime autoritario potesse offrire garanzie migliori. Giorgia Serughetti aggiunge un ulteriore elemento, spiegando come l’armamentario di Dio, patria e famiglia nel caso attuale sia funzionale a difendere l’ideologia dell’individualismo proprietario. A proposito di famiglia, Massimo Prearo spiega che i movimenti ultra-cattolici e anti-gender in questi anni hanno costituito una base per lo sbarco della destra nella stanza dei bottoni. A questo proposito, Enrico Gullo evidenzia come parte della sinistra abbia accettato di distinguere artificiosamente tra diritti civili e diritti sociali, per di più costituendo gerarchie e ordini di importanza: il che ha fatto il gioco dei reazionari. Per comprendere meglio le forme attuali, e rinnovate, del fascismo, Maddalena Gretel Cammelli propone uno sguardo antropologico. Andrea Pirro mette in relazione le campagne sull’immigrazione e anti-globaliste con quelle che arrivano dalle forze illiberali dell’est europa e Giorgia Bulli traccia il profilo delle altre estreme destre europee.
Bisogna ricordare che questa destra non brilla per profondità di analisi e retroterra culturale. Eppure, nel suo discorso di insediamento alle Camere, Meloni ha citato il pensatore conservatore inglese Roger Scruton: rileggendo le sue opere Salvatore Cannavò delinea il profilo di una destra italiana che prova a sganciarsi dal fascismo per condividere con i reazionari europei la grande paura della rivoluzione: quella russa del 1917, ovviamente, ma anche quella francese del 1789. Il che, comprenderete, per una rivista che ha scelto come nume tutelare il giacobino nero e anticoloniale è un motivo di soddisfazione non da poco.
Valerio Renzi si occupa del modo con il quale si auto-rappresenta la «Generazione Atreju» di Fratelli d’Italia che si è fatta classe di governo: nonostante siano fin da giovanissimi avvezzi alle stanze del potere, dove sono stati introdotti al seguito di Silvio Berlusconi, sostengono di essere parte di una minoranza oppressa dalle presunte violenze dell’antifascismo militante. A Stefano Palombarini abbiamo chiesto di tracciare una mappa del voto dello scorso 25 settembre: tra il blocco borghese e quello di destra rimane uno spazio politico ampio che in parte ha occupato il M5S, presumibilmente non in pianta stabile. Lorenzo Zamponi, poi, si esercita su una questione annosa: come mai molti cosiddetti «liberali» si accodano agli allarmi della destra più retriva invece di rivendicare battaglie di libertà?
Dal n. 47 dell’edizione statunitense di Jacobin che esce in contemporanea a noi abbiamo tratto alcuni testi che si integrano perfettamente con il nostro tema. David Broder ha intervistato Thomas Piketty, Amory Gethin e Clara Martínez-Toledano a proposito della tendenza che conduce soltantoo gli elettori maggiormente acculturati a votare a sinistra. Branko Marcetic mette in discussione l’ideologia dei tecnici, spesso contrapposti ai populismi di ogni tipo. Daniel Finn mostra come le destre si infilino nelle contraddizioni create dal disallineamento tra capitalismo e democrazia. Nel lungo saggio finale Anton Jäger cerca di capire se davvero la forma attuale della destra reazionaria abbia analogie con il fascismo vero e proprio. Dialogando con Lorenzo Zamponi e Francesco Massimo, il fondatore di Podemos ed ex vicepremier spagnolo Pablo Iglesias dice che la maggior parte degli attacchi alla democrazia arrivano dai media che avvelenano il confronto politico. A questo proposito, Giuliano Santoro si cimenta con linguaggi e retoriche del retequattrismo, fase suprema dell’informazione spettacolo. E Selene Pascarella indaga il rapporto tra l’immaginario di cui è portatrice Meloni e quello di alcune serie Tv.
Infine: il nostro inserto apribile, anch’esso tratto dall’edizione statunitense, in cui Adam Hochschild ricorda che il ricorso all’etnicizzazione e alla demonizzazione delle lotte non è affatto un fenomeno inedito. Vi presentiamo una mappa di Manhattan disegnata un secolo fa dai servizi segreti Usa: la città divisa per etnie, classificate per pericolosità sociale e in base alle sedi sindacali. Altri tempi, altre rivoluzioni, altri nativisti.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.