Ripensare l’istruzione
Soltanto immaginando una nuova scuola si possono creare nuovi mondi e aprire la possibilità di una società più giusta e più equa
L’istruzione, comunemente riconosciuta come il principale strumento per contrastare le disuguaglianze sociali e la loro perpetuazione, sembra spesso fallire nel suo intento. Nonostante diverse riforme del sistema scolastico abbiano cercato di migliorarne le condizioni, i risultati ottenuti non hanno portato a cambiamenti radicali e duraturi. Ciò solleva importanti interrogativi sulla natura del sistema educativo e sull’efficacia delle misure finora adottate per garantire un’istruzione equa ed emancipatoria per tutte e tutti.
A partire dagli anni Ottanta, si è verificato un notevole incremento nel divario di ricchezza e reddito, nonostante si sia registrato un costante aumento nel numero di individui che hanno ottenuto un diploma di scuola superiore o una laurea universitaria. Questo fenomeno mette in luce una disconnessione tra la formazione e l’accesso a opportunità socio economiche con effetti di lungo periodo sulla vita delle persone. Nonostante il crescente numero di laureati, molte persone si trovano ancora intrappolate in lavori precari, sotto-remunerati e privi di sicurezza occupazionale. Inoltre, la narrazione dominante sulla «meritocrazia» colpevolizza gli individui per il proprio insuccesso, ignorando i molteplici fattori strutturali che influenzano le opportunità di accesso e successo. Perché? Quali sono gli elementi che le riforme scolastiche non hanno preso in considerazione? Questa domanda implica una radicale messa in discussione della direzione prevista della relazione causale tra credenze e risultati sociali e politici.
La scuola, indubbiamente, si configura come un costante terreno di scontro dove molteplici attori convergono, rendendo imprescindibile la preoccupazione per il benessere e la salute di questo settore cruciale. L’idea di istituire il liceo del «Made in Italy» da parte del governo di estrema destra rappresenta un’ulteriore evidenza della subordinazione dell’istruzione agli interessi economici. L’ennesima iniziativa, all’interno della cornice dell’idea della scuola-impresa, che promuove il potenziamento delle «competenze imprenditoriali», ma che in realtà rappresenta soltanto un’altra concessione alle imprese. Questa proposta promuove la mercificazione dell’educazione, riducendo gli studenti in meri strumenti per la promozione del brand «Made in Italy», rinforzando un’immagine nazionalista e identitaria che ignora le realtà delle lavoratrici e dei lavoratori migranti e delle comunità oppresse nel resto del mondo. Questi gruppi contribuiscono alla produzione, ma vengono esclusi dai benefici derivanti dall’etichetta. Per promuovere invece un’istruzione veramente equa ed emancipatoria, occorre una visione radicale che sfidi le logiche del libero mercato e ponga l’accento sulla giustizia sociale ed ecologica. Ciò implica investimenti significativi nelle scuole pubbliche, la riduzione delle classi sovraffollate, l’accesso a risorse e supporto adeguato per studenti e insegnanti, tenendo presente le specificità territoriali e valorizzando diverse forme di conoscenza. Con un ripensamento critico dei modelli di valutazione e delle pratiche pedagogiche, mettendo al centro l’autonomia degli studenti, la creatività e la capacità di pensiero critico.
Uno strumento di riproduzione sociale e culturale
Se è vero che «anche l’operaio vuole il figlio dottore», è altrettanto certo che non tutti i figli degli operai possono permettersi di essere dottori o ricoprire altre posizioni lavorative socialmente prestigiose e/o a elevati salari. In un sistema che premia e sostiene la classe sociale dominante, è inevitabile che alcuni debbano sopportare il peso e l’onere di garantire il benessere degli altri. Tuttavia, queste dinamiche non sono casuali o naturali, ma sono il risultato di un sistema economico, politico e sociale che favorisce gli interessi delle élite. Il sistema di libero mercato, spesso celebrato come un’entità neutra e oggettiva, in realtà perpetua e amplifica le disuguaglianze esistenti.
In questo contesto, il sistema di libero mercato tende a discriminare in modo selettivo le schiene che saranno sacrificabili, mostrando una predilezione per donne, immigrati, individui provenienti da classi socioeconomiche svantaggiate e altri gruppi marginalizzati e oppressi. Tutte le schiene sono uguali ma alcune schiene sono più sacrificabili di altre.
Il ruolo dell’istruzione nella società viene fatto corrispondere alla sua capacità di formare lavoratrici e lavoratori qualificate, educare i futuri cittadini e far progredire la conoscenza. L’istruzione è stata costantemente propagandata come uno strumento di mobilità sociale, un mezzo per migliorare le condizioni di vita degli individui all’interno della scala socioeconomica. Tuttavia, la narrazione dell’istruzione come strumento di uguaglianza sociale è stata minata dall’ascesa del neoliberismo, che ha trasformato l’istruzione in un bene di mercato, accessibile solo a chi può permetterselo. Questo nella pratica si è tradotto in un sistema scolastico che riproduce le disuguaglianze, anziché sfidarle. Nella pratica la scuola ha (ri)costruito il suo fine intorno alla visione neoliberale del produrre lavoratori. Studiare per poter lavorare.
Sotto il neoliberismo l’istruzione viene vista solamente attraverso la lente economica, come mezzo per produrre una forza lavoro qualificata in grado di competere nel mercato globale. Negli anni questa visione ha portato a dare priorità alle materie Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) rispetto a quelle umanistiche, e a privilegiare la formazione professionale rispetto al pensiero critico. Per la maggior parte delle persone questo si traduce nell’essere costrette a vendere la propria forza lavoro a un datore di lavoro per un determinato periodo di tempo, in cambio di un mero salario da fame. Contrariamente all’assunto che vede il sistema scolastico come il «grande equalizzatore sociale», la storia delle scuole pubbliche dimostra che questa non è mai stata la sua principale funzione, ponendosi nella pratica l’obiettivo di socializzare i futuri lavoratori e lavoratrici alle continue crisi sistemiche dell’economia capitalista.
L’accesso all’istruzione, ai finanziamenti e alle risorse mantiene un sistema gerarchico che privilegia gli interessi della classe dominante. Le scuole private e le università d’élite fungono da guardiani di circoli sociali ed economici esclusivi, perpetuando l’esclusione dei gruppi marginalizzati e oppressi da processi decisionali tramite potere e risorse. Nel frattempo, le scuole pubbliche nelle aree a basso reddito subiscono continui tagli, con poco personale e prive di risorse, vivono cicli di povertà e opportunità limitate. Queste disparità sistemiche generano un circolo vizioso in cui i gruppi sociali svantaggiati si trovano con minori opportunità di apprendimento e crescita, comportando un ampliamento del divario già esistente tra disuguaglianze spaziali e sociali.
Nel capitalismo, l’istruzione funge principalmente da strumento di riproduzione sociale e culturale dello status quo. Le scuole sono strutturate per premiare il conformismo, l’obbedienza e l’acquisizione di competenze spendibili sul mercato, piuttosto che il pensiero critico, la creatività e il senso di responsabilità sociale e comunitaria, di persone in relazione. Agli studenti e alle studentesse viene insegnato ad accettare l’ordine sociale ed economico esistente come «naturale» e inevitabile e a dare priorità al successo individuale rispetto al benessere collettivo. In questo modo, l’istruzione diventa un potente agente di socializzazione che rafforza i valori, le credenze e le pratiche dominanti.
Istruzione e mobilità sociale
La mobilità sociale si rivela così una favola, utilizzando rari e fulgidi esempi di successo come prova fallace della presunta meritocrazia del sistema capitalista. In altre parole, la mobilità sociale sposta l’attenzione dai gruppi e dalla collettività agli individui, facendo leva su casi isolati che migliorano le proprie condizioni di vita, ma che rimangono eccezioni rispetto alla regola universale: il perpetuarsi delle disuguaglianze e dello sfruttamento in un sistema gerarchico. In questo modo, la mobilità sociale diventa un tentativo individualistico di migliorare la propria posizione sociale all’interno di un sistema che ignora l’analisi dei gruppi sociali. La mobilità sociale risulta perciò ingannevole, poiché il sistema capitalista tende a perpetuare le disuguaglianze e a concentrare il potere nelle mani di pochi. L’unico modo in cui studenti e studentesse provenienti da famiglie meno avvantaggiate possono sperimentare una crescente mobilità verso l’alto è che i coetanei delle classi superiori scendano nella scala sociale. Tuttavia, questi ultimi sembrano essere ben protetti da risorse familiari, principalmente attraverso istruzione e reddito, che le famiglie avvantaggiate utilizzano per mantenere e perpetuare il proprio status e privilegio. Inoltre, a livello strutturale, è presente un sistema che lavora come una macchina di selezione attraverso la quale si creano nuove forme di disuguaglianze sociali e/o si ampliano le disuguaglianze esistenti in un effetto cassa di risonanza dei privilegi delle origini sociali. Al contempo, questo si configura in forme di intrappolamento per gli studenti provenienti da contesti socio-economici svantaggiati. Questo divario si verifica soprattutto nell’ambito dell’istruzione, in quanto nelle società odierne esso risulta uno dei canali principali attraverso cui le famiglie cercano di mantenere il proprio status e di garantire la riproduzione del proprio privilegio per i propri figli. A prescindere dal rendimento scolastico e dalle loro abilità, individui provenienti da contesti sociali privilegiati tenderanno in media a essere più incentivati nel continuare gli studi, compensando i costi della scelta universitaria come un possibile modo per garantire la riproduzione dei privilegi della loro famiglia. Al contrario, studentesse e studenti provenienti da un contesto socioeconomico più svantaggiato saranno costretti a soppesare le scelte educative in modo differente, svendendo il loro potenziale nel vivere tra un lavoro precario e l’altro.
Istruzione ed emancipazione
Un’istruzione universale, pubblica e gratuita per tutti e tutte, invece, può mettere gli studenti in condizione di sfidare il sistema capitalista e di immaginare modi di vita alternativi, modelli economici e sociali diversi. Perché non sostituire i termini produzione e consumo, che hanno dominato l’economia politica del XX secolo, con quelli di cura e libertà? Perché non definire l’apprendimento come un percorso che ha come obiettivo principale il mantenimento o l’aumento della libertà delle persone come parte fondamentale di una comunità? Questo tipo di istruzione dovrebbe privilegiare il pensiero critico, la creatività e la responsabilità sociale e favorire un senso di attivismo civico. Dovremmo dotare gli studenti e le studentesse degli strumenti per analizzare e criticare l’ideologia dominante, permettere loro di sfidare e trasformare le relazioni di potere esistenti. Un’educazione che enfatizza la sostenibilità ecologica e sociale può promuovere lo sviluppo di valori e pratiche che privilegiano il benessere collettivo rispetto al profitto individuale e favoriscono un senso di connessione con il mondo naturale in un’ottica antispecista. È necessaria una rivoluzione dei metodi di insegnamento, che abbandoni l’approccio basato sulla mera memorizzazione delle competenze, per abbracciare il pensiero critico e promuovere la creazione di valori comuni e condivisi dalla collettività studentesca. È fondamentale integrare gli studi postcoloniali, di genere e l’educazione sessuale nell’istruzione pubblica, trasformandola in un terreno fertile di lotta per l’autonomia e la libertà dei popoli.
Il fine della scuola dovrebbe andare oltre l’idea di formare semplicemente lavoratori e lavoratrici pronti per l’ingresso nel mercato del lavoro. La scuola dovrebbe essere uno spazio in cui le persone possono sviluppare la propria curiosità, creatività e capacità di pensiero critico, abbracciando coscienza di sé e di classe. La scuola non dovrebbe essere solo un luogo in cui si imparano abilità tecniche, ma un’istituzione che promuove la formazione di individui liberi e consapevoli. In altri termini la scuola deve incoraggiare l’autonomia, l’emancipazione e l’immaginazione, consentendo agli studenti e alle studentesse di diventare attori attivi e critici nella società.
È giunto il momento di reimmaginare l’istruzione, di dare responsabilità agli studenti di decidere la giornata scolastica e la vita all’interno di essa. Pertanto, è inevitabile che tali percorsi necessitino delle lenti analitiche dei femminismi intersezionali. Gli studenti e le studentesse devono poter scegliere autonomamente di studiare argomenti che li appagano profondamente, anche se valgono meno nel mercato del lavoro. Approccio pericoloso per le classi dominanti perché potrebbe far emergere nuovi mondi e garantire a tutti una vita dignitosa. È attraverso questa diversità di studi e prospettive che si possono creare le condizioni per una società più giusta ed equa, in cui ogni individuo può scoprire sé stesso e contribuire al benessere comune. Sta a noi lottare per questa visione dell’istruzione.
*Rodolfo Pezzi è dottorando presso il Dipartimento di Sociologia del Trinity College di Dublino. I suoi principali interessi di ricerca riguardano la sociologia dell’educazione e le diseguaglianze sociali. Con una prospettiva critica sul falso mito della meritocrazia, esplora le dinamiche che influenzano l’accesso all’istruzione e al mercato del lavoro, mettendo in luce i molteplici vincoli istituzionali che ne limitano l’equità.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.