
Quelli dell’1%
Le lenti dell’ideologia possono nascondere le più sottili forme di comando e sfruttamento. In questo numero di Jacobin Italia cerchiamo di svelare alcuni di questi dispositivi dalla prospettiva di chi sta in alto: i ricchi, la classe dominante, le élites
Ricordate Essi vivono, il film di John Carpenter del 1988? Un operaio disoccupato trova degli occhiali grazie ai quali può vedere e riconoscere l’esistenza di un’élite di alieni che controlla il mondo grazie a messaggi subliminali che esortano la gente a lavorare in silenzio, consumare il più possibile e conformarsi alle regole. Questa allegoria descrive bene come le lenti dell’ideologia possano nascondere le più sottili forme di comando e sfruttamento. In questo numero di Jacobin Italia cerchiamo di inforcare gli occhiali e raccontare questi dispositivi dalla prospettiva di chi sta in alto: i ricchi, la classe dominante, le élites. È lo stesso tema del n. 41 di Jacobin magazine che esce in contemporanea negli Stati uniti,The ruling class, del quale trovate alcuni articoli qui di seguito.
Trattiamo di quelli che il movimento Occupy Wall Street ha definito 1% della società: le tavole a fumetti di Assia Petricelli e Sergio Riccardi che trovate nell’inserto illustrano la storia del concetto dell’1% contrapposto al 99%, esploso con Occupy grazie soprattutto a David Graeber ma che era ispirato agli scritti dal carcere del militante afroamericano George Jackson.
Come sostiene Francesca Coin aprendo le danze, la caratteristica di questa epoca è che la ruling class deve sostenere la necessità della sua esistenza propinando politiche economiche che vengono presentate come naturali e irreversibili. Ciò non cancella il fatto che il mondo, dicono Nadia Urbinati e Marco d’Eramo nella loro discussione con Marco Bertorello, si divide ancora in dominanti e dominati. E che le promesse di benessere che sono servite a mettere a tacere gli sfruttati sono sempre meno credibili. L’ideologia neoliberale si nutre dei media e delle narrazioni egemoni: si pensi a figure come quella di Flavio Briatore (del quale Giulio Calella legge il libro-manifesto), al ruolo dei Think Tank che hanno il compito di perpetuare il pensiero dominante e farcelo considerare inevitabile (se ne occupano Giuliana Freschi e Demetrio Guzzardi), alle parabole dei buoni samaritani del filantro-capitalismo alla Bill Gates (passate in rassegna da Piero Maestri), al modo in cui i ricchi vengono descritti nelle serie televisive (le ha viste per noi Selene Pascarella). Tutto ciò ha origini antiche, ecco perché abbiamo chiesto all’antropologo Timothy Earle di spiegarci quando e come cominciano ad affermarsi le gerarchie (spoiler: tutto dipende dalla nascita dei confini). Jennifer Guerra, invece, ci mette in guardia da quelle forme di femminismo che si concentrano sulla carriera individuale delle donne e non sulla liberazione collettiva, e che per questo finiscono per essere funzionali al perpetuarsi del dominio. Lorenzo Zamponi ripercorre la storia del concetto di «radical chic», passato nel giro di pochi anni dal descrivere l’infatuazione di alcuni borghesi per la rivoluzione allo stigmatizzare vagamente una (presunta) élite culturale progressista: una grande operazione di distrazione di massa a protezione dell’élite economica.
Salvatore Morelli mette insieme alcuni dati per mostrarci perché analizzare l’evoluzione della ricchezza, della sua composizione e distribuzione, è necessario a capire in che società viviamo e come pretendere dei cambiamenti. Dalle classifiche (e dai profili) dei più ricchi d’Italia traiamo spaccati e sveliamo narrazioni propagandistiche, oltre ad accertare che negli ultimi vent’anni i ricchi sono diventati sempre più ricchi. Del resto, il giornalista d’inchiesta Alberto Nerazzini racconta a Francesca Coin che l’origine delle fortune dei più ricchi spesso è oscura. Ma non è detto che tutto ciò sia illegale, come scrive Lorenzo Bagnoli a proposito della finanza offshore che distrae centinaia di miliardi di euro dalle casse pubbliche.
I ceti dirigenti hanno bisogno di apparati esterni cui delegare il lavoro sporco. È il caso della McKinsey, società di consulenza globale cui ricorrono indifferentemente grandi aziende e governi, come lo stesso governo Draghi per il Recovery Fund. Se ne occupa Nichole M. Aschoff. C’è poi, come sostiene Carla Ricci, una linea di continuità dei funzionari pubblici che garantisce che non siano sufficienti le elezioni a cambiare la sostanza delle politiche. Del resto, afferma Jonah Birch, i capitalisti non hanno bisogno di governare direttamente per garantire che vengano fatti i loro interessi, per questo stesso motivo non è mai bastato conquistare il governo per attuare politiche socialiste.
Sanità, casa e istruzione sono tre settori in cui riconoscere odiosi privilegi e invisibili ascensori sociali. Li raccontano rispettivamente, e da prospettive e linguaggi differenti, Lorenzo Paglione, Nadeesha Uyangoda e Tommaso Giagni. Alberto Prunetti descrive in forma di invettiva poetica i piccolo borghesi di oggi, quelli che intimamente aderiscono al pensiero dominante e che al tempo stesso sposano forme di protesta sterili e rassicuranti.
Infine, l’incredibile storia narrata in prima persona da Ted Jessup, oggi affermato autore e produttore televisivo statunitense cresciuto in una famiglia agiata di funzionari della Cia nel pieno della Guerra fredda: gente cosmopolita, aperta al mondo, progressista.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.